Basato sull’omonimo romanzo di Miriam Toews, Women Talking è il quarto lungometraggio della regista canadese Sarah Polley. Due candidature ai prossimi premi Oscar che verranno assegnati il 12 marzo al Dolby Theatre di Los Angeles: miglior film e miglior sceneggiatura non originale. Approdato in anteprima al Telluride Film Festival il 2 settembre 2022, Women Talking è un film profondamente femminista, crudo e difficile, ma al contempo necessario. Necessario perché il piccolo universo della colonia mennonita in cui si svolgono le vicende è teatro di una condizione femminile degradata dalla violenza maschile, un’esistenza in cui le donne non sono esseri umani, bensì una proprietà da sfruttare fino al midollo. Ma Women Talking è, soprattutto, una storia di rivalsa e ribellione, della capacità di resilienza delle donne che reagiscono alla violenza per assicurare a loro stesse e alle future generazioni una vita dignitosa.
Il diritto di scegliere
2010: una colonia mennonita è isolata dal mondo. Agli uomini è concesso studiare: le donne sono condannate all’analfabetismo. Per molti anni, gli uomini hanno fatto uso di anestetici per drogare e violentare sistematicamente le donne, causando traumi psicofisici e gravidanze indesiderate; la colpa di tutto ciò viene attribuita a fantasmi e al diavolo, facendo pressione sulla profonda fede religiosa che funge da caposaldo della colonia. Ma un giorno, il terribile segreto viene svelato e i colpevoli vengono arrestati. Rimaste sole nella comunità, le donne si danno la possibilità di scegliere: restare e perdonare; restare e combattere; andare via. In seguito a una procedura di voto, un gruppo di donne si riunisce nel fienile per decidere delle sorti di tutte.
Women Talking non poteva essere titolo più adeguato: “donne che parlano”, che pensano, che raccontano ciò che è accaduto loro, che cercano di trovare una soluzione. La loro prima forma di espressione è il voto: essendo del tutto analfabete, appongono una croce sotto tre disegni che rappresentano le tre possibili scelte. La seconda forma è la riunione che si svolge nel fienile: solo a un uomo è concesso partecipare, August (Ben Whishaw), il quale ha il compito di comporre il verbale dell’assemblea; un ex-membro della colonia che è stato ostracizzato dagli anziani insieme alla madre, rea di non assecondare il regime patriarcale della comunità. In questo senso, Women Talking risulta simile, nella forma, a La parola ai giurati (Lumet, 1957): il dibattito, in ambedue i film, è il fulcro della narrazione e il mezzo attraverso cui viene delineata la psicologia dei personaggi partecipi della riunione. In entrambi i casi, viene posto particolare accento sia alle interpretazioni che alla sceneggiatura. La parola e il dialogo sono i due fattori cardini delle sequenze ambientate nel fienile, i mezzi attraverso i quali le donne si confrontano, litigano e si riappacificano, mentre i minuti e le ore scorrono incessantemente.
Una lezione di femminismo
Women Talking è senza dubbio un film corale: nonostante la presenza di ben note interpreti quali Rooney Mara, Jessie Buckley, Claire Foy e Frances McDormand, tutte le attrici del cast restituiscono interpretazioni profonde e sincere, incarnando personaggi diversi fra loro. Se Ona (Mara) è mite e riflessiva, Salomé (Foy) è testarda e combattiva; Mariche (Buckley) contesta duramente le scelte del gruppo, tentando di nascondere la sua fragilità; Janz (McDormand) è disposta a perdonare pur di non incorrere nella collera divina. La diversità fra le donne della comunità esplicita anche diversi approcci verso la violenza subita e la scelta migliore da compiere, i quali non vengono mai giudicati nel corso del film. Mejal (Michelle McLeod) viene colta spesso da attacchi di panico ricordando le violenze subite: nonostante Mariche contesti il suo comportamento, il sentimento di sorellanza placa ogni conflitto. L’elemento del canto, in particolare, rappresenta il collante della comunità di donne: nei momenti di dissidio, la canzone interpretata dalle donne funge da chiarificatore dei loro stati d’animo che, da turbolenti, ritornano a essere limpidi come la superficie di un lago.
Ma Women Talking è un film femminista non solo in virtù del tema della violenza di genere, ma anche in seno alla riflessione su come educare i più giovani a non imitare i gesti deplorevoli degli uomini. Nel corso della riunione, le donne si confrontano anche sulle sorti dei loro figli: se dovessero andarsene, dovrebbero portarli con loro? Solo le femmine o anche i maschi? A che età un bambino è capace di emulare la violenza? L’amore e un’educazione femminista sono le due armi che Ona, senza esitazione, nomina nel corso del suo discorso, pensando al bambino che porta in grembo.
Storie di donne in una comunità mennonita
La storia di Women Talking ha inizio con una violenza e si conclude con una decisione. Gli abusi non vengono mai mostrati nel corso del film: ciò su cui la regista si concentra sono le conseguenze degli stessi sia da un punto fisico che mentale. Il tema della violenza di genere, in questo senso, non viene trattato ai fini di una pura spettacolarizzazione del dolore, in cui le donne sono vittime e gli uomini carnefici. Il film di Sarah Polley è il racconto della resilienza femminile e della possibilità di scegliere una vita migliore. Un lungometraggio corale che, nella forma, risulta sensazionale sotto diversi punti di vista. La regia di Polley alterna primi piani sulle donne e i bambini a campi lunghi e lunghissimi della colonia, generando sia un profondo coinvolgimento emotivo, sia un senso di immersione nei territori della comunità mennonita. In armonia con lo stile registico, c’è la fotografia desaturata di Luc Montpellier che sortisce la sensazione di un tempo che, nella colonia, pare essersi fermato. La colonna sonora di Hildur Guðnadóttir, invece, restituisce sia la dimensione agreste, attraverso dei passaggi di chitarra, sia il dolore delle violenze, mediante l’impiego del violino.
Women Talking è un film necessario che non si rivolge solo a un pubblico femminile: la storia delle donne protagoniste lascia senza parole in seno agli abusi perpetrati; eppure, la possibilità di scegliere il proprio destino è l’arma che, nonostante tutto, può mettere sotto scacco ogni forma di violenza.
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