Questo articolo contiene spoiler sul film Il Pianista (2002) di Roman Polanski.
“E, verso l’ora nona, Gesù gridò a gran voce:
«Elì, Elì, lamà sabactàni?»,
cioè: «Dio mio, Dio mio,
perché mi hai abbandonato?»”
Mt 27-46
La Shoah è, senza dubbio, uno degli eventi più drammatici e disumani della Storia, sul quale sono stati realizzati un’infinità di film al fine di mantenere viva la memoria di questo orrore, nella speranza che ciò non si ripeta mai più. Tra tutte le opere realizzate, esistono pellicole meravigliose che, però, sfociano in un linguaggio eccessivamente retorico, come può essere Schindler’s List ad esempio, e pellicole che sono semplicemente vere e crude come Il Pianista.
L’opera di Polanski è un film che è impossibile definire bello, ma è qualcosa che può essere considerato assolutamente necessario. Wladyslaw Szpilman è un pianista ebreo estremamente famoso e talentuoso della Varsavia degli anni ‘30 . Attraverso il suo vissuto personale il regista ci mette di fronte alla disgrazia e alla distruzione di un popolo intero, passando dalla primissima istituzione del ghetto nel ‘39 fino alla liberazione della Polonia da parte dell’Armata Rossa nel ‘45.
La storia di Wladyslaw, infatti, è una storia di perdita, di fame, di freddo e di disperazione totale. Fin dalle primissime scene in cui la famiglia Szpilman riceve via via le notizie di tutte le varie restrizioni a cui saranno sottoposti gli ebrei, lo spettatore è quasi costretto a vivere la confusione e la rabbia dei personaggi e questo fortissimo senso di totale immersione emotiva nella vicenda sarà una costante per tutta la durata della pellicola.
Il vero Wladyslaw Szpilman
Il sentimento di smarrimento provato da Wladyslaw è lacerante. Egli cerca infatti di adattarsi alla vita del ghetto: vende il suo pianoforte per una cifra irrisoria, lavora suonando in un ristorante per ricchi borghesi che lo umiliano e vive ogni giorno non sapendo se la sua famiglia avrà cibo per poter mangiare. In questa prima parte di film è evidente come il protagonista, così come la maggior parte della popolazione ebraica, consideri la ghettizzazione come la misura massima che verrà presa contro di loro, pensando quindi che, per quanto questa condizione possa essere grave, sia solo una situazione temporanea. Questo sentimento di sommessa rassegnazione alla miseria del ghetto, nella speranza di un futuro migliore, viene però progressivamente distrutto dalla crescente violenza dei Nazisti e il mondo di Wladyslaw diventa così un incubo di terrore e incertezza, in cui la morte può colpire in qualsiasi momento.
Oltre a ciò, un altro sentimento che caratterizza il personaggio è il totale e straziante senso di impotenza di fronte agli eventi. Con il passare del tempo, infatti, iniziano i primi rastrellamenti nel ghetto e Wladyslaw riesce a ottenere un permesso di lavoro per sé e per la propria famiglia, convinto che ciò li terrà al sicuro dalla deportazione. Quando, però, i tedeschi fanno irruzione nella baracca in cui vivono gli Szpilman la disperazione del protagonista esplode e, vedendosi portare via insieme ai suoi cari, chiede ai genitori di perdonarlo per non essere stato in grado di salvarli, colpevolizzando sé stesso per non essere riuscito a fare di più.
Leggendo la storia del Pianista come la rappresentazione di un popolo attraverso un solo individuo è importante notare come il protagonista, lungo tutta la pellicola, provi un costante senso di vergogna. Le scene, ad esempio in cui, dilaniato dalla fame, si trova a chiedere del pane a chi lo ospita o in cui si scusa per essere sporco rincontrando una vecchia amica, sono permeate da una profonda sensazione di disagio provata da Wladyslaw. Ciò è evidente risultato della distruzione, perpetuata dai nazisti contro gli ebrei, di qualsiasi tipo di dignità umana. Essendo il protagonista costretto in condizioni mostruose e subendo questo meccanismo di spersonalizzazione, non riesce quasi nemmeno più a percepirsi come un essere umano di fronte ad altri esseri umani, vergognandosi della sua presunta inferiorità.
La disperazione vissuta da Szpilman dopo aver perso la sua famiglia, la sua casa, la sua città, è totale. In questo inferno di morte e distruzione, però, è presente ancora una speranza a cui aggrapparsi: la Musica. Essa rappresenta per Wladyslaw l’unica luce in un mondo che gli ha tolto tutto. Le uniche scene, infatti, in cui vediamo il protagonista estraniarsi da tutto l’orrore che lo circonda è quando viene suonata della musica. Emblematica in questo senso è la sequenza in cui, dopo essere finalmente riuscito a scappare dal ghetto e aver trovato un appartamento dove nascondersi, si siede al pianoforte e finge di suonare, per evitare di essere scoperto, vivendo questo gesto come una liberazione, un momento di pace in una guerra terribile.
Un dettaglio estremamente importante sono le dita del Pianista che, nei momenti di maggiore disperazione, si muovono quasi impercettibilmente come se stessero suonando, come per forzare il protagonista stesso a ricordare chi era, come per obbligarlo a non dimenticare la propria dignità umana e a resistere, attraverso la memoria, alla violenza.
L’arte in questa pellicola diventa, quindi, simbolo universale di umanità. In una delle scene finali Wladyslaw viene trovato in una casa da un ufficiale tedesco che, dopo aver scoperto la professione del protagonista, per schernirlo lo obbliga a suonare per lui.
In questa sequenza (che è di una potenza emotiva disarmante) Szpilman, sapendo che probabilmente verrà ucciso, suona una ballata di Chopin rendendola una sorta di canto di dolore liberatorio, un urlo di disperazione trattenuto fino a quel momento ed espresso finalmente sotto forma di note.
Il miracolo dell’arte accade proprio in questo momento: il nazista comprende che la persona davanti a sé è un individuo tale e quale a lui e non una bestia come la sua dottrina insegna. Attraverso la Musica avviene una comunione umana che non ha bisogno di parole, nella quale il carnefice stesso si scopre fratello della vittima e riconoscendo ciò non può che provare pietà e salvarla.
Il personaggio di Wladyslaw Szpilman, quindi, colpisce e resta impresso indelebilmente nella memoria dello spettatore per la sua capacità di essere una figura universale che rappresenta la pagina più dolorosa della storia di un popolo, ma mettendo in scena, allo stesso tempo, il profondissimo dramma di un uomo a cui viene tolto tutto e che grazie alla sua arte sopravvive.
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