L’anno appena concluso è stato segnato dal ritorno sul grande schermo di grandi registi italiani come Matteo GarroneMarco Bellocchio. Il cinema italiano, però, si compone anche di tanti registi emergenti capaci di sorprendere con delle produzioni originali che fuoriescono dai più classici canoni cinematografici a cui siamo abituati.

In questo articolo, ci dedicheremo a tre registi che si sono distinti nel panorama nazionale e che rappresentano alcune tra le più interessanti promesse del nostro cinema.  

Mario Piredda

Mario Piredda, classe 1980, è un regista sassarese che ha esordito nel 2017 con il corto A Casa mia che gli valse un David di Donatello. Due anni dopo ha girato il suo primo lungometraggio dal titolo L’agnello, presentato in occasione della 5° edizione del Festival Fuori Norma alla Casa del Cinema di Roma.

Così come nel corto d’esordio, il regista torna a raccontare la propria terra. La storia si svolge in provincia di Nuoro e la protagonista è Anita, una 17enne che vive con il padre Jacopo in una casa molto semplice. Il loro nucleo familiare è molto ristretto, poiché la madre è scomparsa qualche anno fa e il padre non è in buoni rapporti con il fratello. I due vivono in prossimità di un’area militare in cui vengono testate nuove armi.

Il regista ha affermato che il focus della storia è duplice: la denuncia di una realtà purtroppo ancora presente in Sardegna e il legame viscerale padre-figlia.

Ma andiamo per ordine e partiamo dalla fonte di ispirazione che ha ispirato la scrittura della storia. Parte della popolazione sarda è vittima del demanio militare italiano e lì, da 60 anni, vi sono varie basi Nato che provocano insopportabili conseguenze sulla vita, sulla salute della popolazione e sul territorio. La presenza dei militari è discreta, ma anche minacciosa e tangibile, seppure non interagiscono con i personaggi e non si mischiano alla loro vita. A renderli presenti nella narrazione è Anita, che sembra essere l’unica cosciente dei disastrosi effetti sulla vita della popolazione e con una voglia di rivalsa che non appartiene più al padre, rassegnato ad una realtà che percepisce essere incontrovertibile. A renderla così combattiva è anche l’evidente correlazione tra la malattia che ha portato via la madre e il progressivo ammalarsi del padre, condizione che sovvertirà il ruolo genitore-figlio.

Piredda ama mettere insieme elementi apparentemente inconciliabili, dando vita ad uno stile estremamente personale e ricco di contrasti. Infatti, nonostante la storia si svolga in una realtà molto semplice, in ambienti che sembrano remoti e popolati da pastori, l’ambientazione non ha nulla di ‘antico’ e a creare questo contrasto sono proprio i personaggi, che hanno delle forti personalità e uno stile rock fatto di piercing e tatuaggi. Le poche musiche utilizzate sono alternate ad una fragorosa batteria suonata in scena e alla musica della discoteca. I personaggi comunicano esclusivamente in sardo e i dialoghi sono scarni. Il regista ha dichiarato di aver fatto proprio il principio cinematografico “show, don’t tell” e vi riesce perfettamente in una narrazione portata avanti da suoni, gesti e sguardi.

La pellicola è approdata in sale nel 2020 e ha ricevuto vari riconoscimenti, tra cui il premio per la miglior regia alla X edizione dell’Asti Film Festival e i premi Prix d’Interpretation per la protagonista Nora Stassi e Prix Meilleur Long Metrage al Festival International du Film de Aubagne.

Valerio Mieli

Valerio Mieli è un regista e sceneggiatore oramai conosciuto e apprezzato dalla critica italiana, che lo ha premiato con un David di Donatello per il miglior regista esordente e un Nastro d’argento nel 2010 per la sua prima opera Dieci inverni (2009). 

La storia di due ragazzi che non riuscendo ad amarsi subito devono imparare a farlo, destreggiandosi tra le difficoltà di diventare adulti.

Con queste parole ha presentato la sua pellicola d’esordio Mieli, in cui racconta la storia d’amore tra l’esuberante Silvestro e la timida Camilla nel susseguirsi di dieci momenti invernali (dal 1999 al 2009). In questo lasso di tempo lo spettatore li vede maturare, fare nuove esperienze, incontrarsi e scontrarsi. La storia è ambientata tra Mosca e Venezia, quest’ultima ritratta nei suoi tratti più quotidiani e periferici. L’apprezzamento unanime della critica e del pubblico, deriva indubbiamente dall’universalità della storia che mette al centro l’amore vero ed eterno, la persona che capisci essere “quella giusta” solo con il passare del tempo: non a caso, il regista descrive la sua pellicola come “l’anti-colpo di fulmine”.

Torna alla regia solo nove anni dopo con Ricordi? (2018) in cui mette in scena ancora una volta una storia d’amore, ma questa volta stupisce lo spettatore attraverso una narrazione in cui domina l’assenza di coordinate temporali. I due innamorati, interpretati da Luca Marinelli e Linda Caridi, vivono una relazione turbolenta in cui lui inizia a non credere più che esista l’amore eterno e lei sperimenta la nostalgia. Grazie alla presenza di un attore celebre come Marinelli, il regista unisce il lato più commerciale del cinema senza tuttavia sacrificare l’unicità del suo stile. Infatti, la costruzione di una storia frammentaria in cui i flashback dei due protagonisti si intrecciano chiede allo spettatore lo sforzo di ricostruire la storia

La caratteristica di questo film non è tanto cosa è raccontato ma come viene raccontato […] noi non vediamo quello che succede in quel momento, ma come ciò che è successo l’ha vissuto l’uno e come l’ha vissuto l’altra”

Con queste parole il regista ha esplicitato che al centro della storia non c’è la relazione amorosa, ma il ricordo e la possibilità che questo venga inconsciamente falsato, piegato dall’uomo. Per questo motivo le versioni dei due presentano a volte delle incongruenze e non è possibile arrivare ad una verità unica per tutti. Secondo Mieli, la parte più interessante in una storia d’amore è l’incontro tra due visioni del mondo che inevitabilmente si intrecciano e si scontrano. Quest’ultima pellicola, in particolare, è stata particolarmente apprezzata dalla critica poiché ha dimostrato che le nuove generazioni sono disposte e capaci di discostarsi dai grandi esempi cinematografici e a sperimentare stili narrativi perlopiù ancora inesplorati. Il film gli è valso tre premi alla Mostra internazionale del cinema di Venezia nel 2018 e la nomina a tre David di Donatello nel 2020. 

Davide Maldi

“Questo è il tuo mestiere, questo è il tuo destino”

Queste sono  le parole che fanno da sfondo all’intero film di Davide Maldi L’apprendistato (2019), presentato al 72° Festival del Cinema di Locarno nella sezione “Cineasti del presente”. Il protagonista è il 14enne Luca Tufano, un adolescente dall’animo ribelle che si ritrova a vivere presso una rinomata scuola alberghiera in cui viene formato per diventare un cameriere. Tuttavia,  si trattava per Luca di un destino che i suoi genitori avevano scelto per lui e ciò rende il percorso di formazione particolarmente faticoso. Dai suoi occhi annoiati e dai suoi comportamenti, si evince la difficoltà a conformarsi alle rigide regole della scuola e la tristezza di aver abbandonato troppo presto la gioventù. Non a caso, nei primi minuti del film il respiro affannato di Luca che corre su per una collina si trasforma gradualmente nella colonna sonora che fa da sfondo alla nuova routine mattutina del giovane mentre si prepara ad affrontare un altro giorno di apprendistato. 

L’opera di Maldi si colloca a metà strada tra il cinema di finzione e il documentario; di questa ibridazione il regista ha fatto la propria marca stilistica per esplorare la società contemporanea. Il regista ha infatti deciso di dare spazio ad una narrazione quanto più fedele dell’austera scuola alberghiera, lasciando che la maggior parte delle parole proferite siano le stringenti regole imposte dai docenti. Per la realizzazione del film, il regista ha visitato vari istituti alberghieri, consapevole che gli studenti del passato non avevano molte possibilità di scelta. Una volta entrato nell’istituto Mellerio Rosmini, uno studente in particolare ha attirato la sua attenzione: Luca Tufano, che ha subito scelto come protagonista.

I suoi film hanno ricevuto diversi riconoscimenti e sono stati presentati in concorso a numerosi festival internazionali. L’apprendistato è stato anche proiettato al Museum of Modern Art di New York.

Conclusione

I nomi di registi contemporanei che meriterebbero un posto in questo articolo sarebbero ancora numerosi, ma per motivi di spazio ci limitiamo solo a tre nomi. Tuttavia, sono una testimonianza di come il cinema italiano contemporaneo sia in costante fermento e ricco di menti originali capaci di stupire la critica nazionale e internazionale.

Alessia Agosta
Alessia Agosta,
Redattrice.