Con l’avvento di Netflix e affini, i prodotti seriali hanno subito diversi cambiamenti. Innanzitutto, sono diventati più brevi (basti pensare ad una stagione di una serie come Lost con più di 20 episodi a stagione della durata di circa 50 minuti l’una) e hanno, inoltre, assunto una nuova forma di pubblicazione, caratterizzata prima dall’uscita “in toto” della stagione e successivamente dalla pubblicazione di blocchi di puntate (come sarà, per esempio, per la quarta stagione di Stranger Things con una prima parte in uscita a Maggio ed una seconda in uscita a Luglio). Ultimamente stiamo assistendo ad un parziale ritorno al passato, come in alcune produzioni su Amazon Prime Video o Disney+, in cui vengono pubblicati i primi due/tre episodi per poi dedicarsi ad una release episodica settimanale.
Tornando indietro a quando i vari siti streaming ancora non esistevano, per riuscire a guardare una serie tv si doveva andare a casa di amico con un abbonamento Sky oppure si aspettava (e sperava) che la nuova stagione della serie di riferimento sarebbe stata, prima o poi, trasmessa in chiaro, magari in qualche orario improponibile, orari ai quali la serie si doveva adattare, in quanto fasce più “accessibili” si presentavano i programmi o i prodotti seriali di punta delle reti italiane, le fiction Rai e Mediaset. Prodotti come L’onore e il rispetto, Un medico in famiglia, Don Matteo o Il peccato e la vergogna, a volte buoni e a volte pessimi, la cui funzione veniva spesso relegata a mero “sottofondo” della quotidianità delle famiglie italiane.
In mezzo al miasma di fiction mediocri e film ripetuti con cadenze annuali, capitava raramente qualcosa di nuovo ed efficace. Fu così il 28 ottobre 2011, quando su Canale 5 in prima serata venne mandata in onda la prima puntata di Viso d’angelo.
LA RIVOLUZIONE IN PRIMA SERATA
La storia si apre con una figura mascherata che, dopo aver abbordato una prostituta, si dirige con lei in un luogo inquietante dove le conferisce il sacramento della Comunione, per poi ucciderla ed abbandonarla su una spiaggia con le mani legate da un rosario. Viene quindi chiamato Roberto Parisi, specialista di serial killer con un passato oscuro che assieme ad Angela, poliziotta distrutta dal lutto e caduta nel tunnel della tossicodipendenza, e che lavorerà sotto copertura per Roberto, tenterà di scoprire l’identità dell’assassino.
Una storia abbastanza semplice, che si dipana nell’arco di quattro puntate dalla durata di circa due ore ciascuna seguendo un canovaccio abbastanza classico ma comunque funzionale: ritrovamento di un cadavere, indagine, omicidio, e poi ancora ritrovamento, indagine… ed il cerchio ricomincia, aggiungendo però ogni volta effetti speciali e scene di tensione per mantenere costante l’attenzione dello spettatore. A rendere maggiormente interessante la narrazione sono però le numerose sottotrame che la storia ci mostra attraverso i background dei diversi personaggi, sia principali sia secondari: oltre a quelli già citati, come la perdita di una persona amata e la tossicodipendenza, la serie si dipana nel raccontare rapporti familiari contorti e disfunzionali, razzismo che sfocia in atti di vero e proprio nazi-fascismo, maschilismo, violenza sessuale, furti, fanatismo. Una pletora di tematiche messe in scena in maniera mai scontata e senza scadere nell’eccesso o nel ridicolo, portando anche a riflettere nell’audacia e nel coraggio del mostrare questi temi in prima serata su una rete di punta come Canale 5.
Il tutto risulta consolidato da un cast di attori tipici dell’ambiente fiction, basti pensare a Gabriel Garko e Cosima Coppola nel ruolo dei protagonisti. Non stiamo certo parlando di Daniel Day-Lewis, ma sorprendentemente non si è nemmeno di fronte ad una recitazione così scadente o sopra le righe come sarebbe solito aspettarsi da questi prodotti (e da questi attori).
UN THRILLER NEOGOTICO DALLE TINTE HORROR
Altro elemento che eleva questa fiction distinguendole dalle altre serie televisivi simili dello stesso filone, assieme alla già citata sceneggiatura, è senza dubbio il suo virare verso una messinscena decisamente inquietante e ricca di sangue, tanto da ricordare i capisaldi dell’horror all’italiana degli anni ’60 e ’70. C’è una fotografia ricca di grigi e colori freddi che si mescola al rosso del sangue e al giallo delle poche luci che illuminano il piccolo borgo dai tratti medievali in cui si svolgono le indagini e nel quale si muove il misterioso assassino, apice della componente orrorifica dell’opera, vestito con un lungo abito nero ed una maschera bianca candida raffigurante un volto solcato dalle lacrime. In aiuto vengono anche la regia, ottima nel costruire le varie sequenze anche se forse un po’ troppo classica, e le musiche, in gran parte originali, che riescono ad immergere ulteriormente il telespettatore in quella cupa atmosfera di morte.
Ultimo elemento che si vuole sottolineare è una peculiare rottura della quarta parete che avviene ad episodio concluso: dall’oscurità compare infatti l’assassino che, rivolgendosi con tono quasi sprezzante, chiede agli spettatori “Avete capito chi sono? No? Allora non siete stati attenti” per poi procedere mostrando il trailer della puntata successiva. Un’aggiunta semplice che favorisce innanzitutto il contatto diretto tra spettatore e personaggi tipico di una serialità più popolare e costruendo -usando un termine moderno- hype per il venerdì successivo.
CONCLUSIONI
In quell’ormai lontano 2011 nessuno, di fronte al proprio televisore, si aspettava di trovarsi davanti ad una fiction così atipica, coraggiosa ed audace sia per il momento che per il luogo in cui si proponeva da tramite completamente esterne ai canoni dei palinsesti italiani dell’ora di punta. Una fiction che poteva rappresentare l’inizio di un’epoca d’oro, ma che probabilmente ricorderemo come un momentaneo bagliore spentosi nel buio della mediocrità televisiva italiana.
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Viso d’angelo la miglior serie TV italiana…
mi è rimasta nel cuore!