IL FESTIVAL

Era partita partita nel peggiore dei modi questa 79a edizione della mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, tenutasi al Lido della Serenissima dal 31 agosto al 10 settembre 2022, con il grosso problema della prenotazione dei biglietti per gli accreditati legato alla piattaforma Vivaticket, che è stata scelta come provider per questa edizione del festival dopo le ingenti problematiche riscontrate anche lo scorso anno con Boxol. Il primo giorno la catastrofe, ore e ore di attesa per gli accreditati di qualsiasi tipo (rossi, blu o verdi), poi si è continuati a zoppicare per i giorni successivi – dove è seguito anche un criticatissimo annuncio del direttore artistico Alberto Barbera – fino alla quiete finale. Ancora non abbiamo notizie di conferme o novità per quanto riguarda il servizio per accreditati della prossima edizione.

La mostra cinematografica ha portato sul red carpet tante star italiane ma anche dello star system hollywoodiano che hanno contribuito a far correre al Lido fiumane di fan in trepidante attesa: Harry Styles, Brad Pitt, Cate Blanchett, Timothée Chalamet, Alessandro Borghi, Ana De Armas, Luca Guadagnino, Hugh Jackman, Penelope Cruz e tanti altri.

Ad aprire il festival – la cui giuria internazionale è stata presieduta dall’attrice statunitense Julianne Moore – sono stati il film in concorso di Noah Baumbach con protagonista assoluto Adam Driver e tratto dall’omonimo romanzo di Don DeLillo, White Noise, accolto tiepidamente dalla critica senza odi smisurate ma nemmeno con nette stroncature, assieme al film di Orizzonti diretto da Roberto De Paolis, Princess, che ha potuto godere invece di una critica unanimemente positiva. Pertanto, apertura del festival all’insegna della paura del consumismo americano più becero e delle paranoie della contemporaneità di White Noise e delle conseguenze delle tratte clandestine di vite umane di Princess, ma anche all’insegna della N rossa di Reed Hastings, amministratore delegato di Netflix, visto che White Noise sarà distribuito da Netflix il 25 novembre per essere poi disponibile sulla piattaforma dal 30 dicembre. C’è infatti stata una grande presenza delle piattaforme on demand nei film in concorso: Netflix si occuperà anche della distribuzione di Athena di Romain Gavras (23 settembre 2022), Blonde di Andrew Dominik (28 settembre 2022) e di Bardo di Iñárritu (18 dicembre 2022), mentre Prime Video distribuirà Argentina, 1985 di Santiago Mitre (21 ottobre 2022).

Laura Poitras ritira il Leone d’oro

UN’EDIZIONE RICCA DI PROPOSTE

Tornando ai singoli film non si può certo tacciare questa edizione di povertà di contenuti o di non aver saputo volgere l’occhio a un’ampia platea di culture, epoche storiche e tendenze (contemporanee o meno): siamo passati dagli States della lotta di Nan Goldin contro la famiglia Sackler del Leone d’oro All the Beauty and the Bloodshed, alla guerra civile irlandese di inizio novecento impregnata di folklore ne Gli Spiriti dell’Isola (migliore interpretazione maschile a Colin Farrel e migliore sceneggiatura originale a McDonagh), passando per l’Italia di metà scorso secolo a confronto con l’omosessualità ne Il Signore delle Formiche, ma anche per il (meta)cinema di attori alla ribalta e in cerca di rivalsa al pari dei loro personaggi, com’è stato per Brendan Fraser e il suo personaggio formidabilmente interpretato in The Whale di Darren Aronofsky, rimasto a secco di Coppa Volpi con sorpresa di tutti i cinefili e allibratori.

Preme sottolineare l’attenzione particolare e necessaria riservata all’Iran e al suo cinema dove – a seguito dell’incarcerazione del regista Jafar Panahi (padre della new wave cinematografica iraniana assieme ad Abbas Kiarostami e colleghi) avvenuta il 12 luglio scorso per un’imputazione che pendeva su di lui dal 2010 -, a più battute abbiamo potuto assistere ai gridi di protesta contro il regime dei registi in concorso con Gli Orsi non esistono dell’appena citato Panahi (in cui in un gioco di metacinema interpreta sè stesso: anche qui ha colpito il mancato Leone d’oro) e Oltre il muro di Vahid Jalilvand, ma anche in Orizzonti Extra con Without Her di Arian Vazirdaftari.

Jafar Panahi nel suo Gli orsi non esistono

IL BILANCIO FINALE

Qual è il bilancio di questa 79a edizione del festival di Venezia?

Stando alle parole del presidente della Biennale Roberto Cicutto e del già citato direttore artistico Alberto Barbera, si tratta di un bilancio più che positivo: è stato apprezzato il “coraggio degli artisti che hanno usato il mezzo cinema per raccontarci le criticità del mondo“, e non poteva mancare una certa sviolinata al sentimento fluido della contemporaneità aggiungendo che il film vincitore del Leone d’oro, All the beauty and the Bloodshed è “un segnale forte legato al fatto che anche il cinema di oggi ha conquistato una sua fluidità” perché “Se pensiamo ai film dei premi principali, è la seconda volta che vince quello che una volta si chiamava documentario. […] La differenza tra finzione e documentario non ha più senso”. Dovuto anche l’intervento dei vertici del festival riguardo alla vittoria del film di Luca Guadagnino, Bones and all – Premio Marcello Mastroianni a Taylor Russel e Leone d’argento del premio speciale per la regia a Luca Guadagnino -, riguardo al quale è stato nuovamente sottolineato il carattere fluido della pellicola: “Quello di Luca Guadagnino è un film con creatività e finanziamenti italiani, ma film girato in inglese con un cast americano nel cuore dell’America retriva e poco raccontato al cinema con lucidità di sguardo e capacità di raggiungere metafore narrative che raggiungeranno il pubblico. […] Fluido perché non è americano o italiano, ma è un film“.

Tutto secondo i piani e finito nel migliore dei modi, secondo gli organizzatori. Ma sotto sotto sappiamo tutti che le cose non stanno proprio così: tralasciando il focus sui premi assegnati (che potete trovare a questo link) e sorvolando sui commenti – secondo il parere di chi scrive – abbastanza sconsiderati e poco rispettosi nei confronti del sentimento contemporaneo della “fluidità di genere” strumentalizzato dalle dichiarazioni sopraesposte (suvvia, i film italiani ambientati in America con attori americani si fanno da sempre e da più di 40 anni artisti come Jonas Mekas stanno sperimentando a cavallo fra documentarismo e film di finzione), bisognerebbe soffermarsi su due punti cardine per tirare le somme: la qualità dei film in concorso e, vista l’importanza del festival per l’Italia, i film italiani presentati.

I TITOLI IN CONCORSO

Prendiamo alcuni titoli: When the waves are gone di Lav Diaz, Gli ultimi giorni dell’umanità di Enrico Ghezzi e Alessandro Gagliardo, Copenhagen Cowboy di Nicolas Winding Refn, The Kingdom: Exodus di Lars Von Trier, Un uomo di Kei Ishikawa, Love Life di Koji Fukada, Trenque Lauquen di Laura Citarella. Perché questi titoli? Perché si tratta di titoli non in concorso (alcuni “Fuori Concorso, altri in “Orizzonti”) molto più apprezzati dalla critica rispetto alla stragrande maggioranza dei film in concorso, sezione nella quale abbiamo assistito a plausi unanimi soltanto per Gli orsi non esistono (rimasto, come già detto, comunque a secco di premi), Saint-Omer (Leone d’argento al Gran premio della giuria e Leone del futuro per la migliore opera prima) e Gli spiriti dell’isola.

Non si pretende lanciare o sollevare polemiche per la mancata presentazione in concorso (ci sono complicati criteri di selezione per i quali non è questa la sede di discussione), ma soltanto evidenziare la scarsa qualità di quelli presenti nella selezione principale (alcuni dati ci lasciano intuire si sia optato per quelli che avevano già una distribuzione sicura in Italia, come vale per i quattro di Netflix e quello di Prime Video). Sempre secondo il sottoscritto – c’è la necessità di delimitare l’ambito del discorso, visto che si sta parlando del lato strettamente qualitativo delle opere – undici lungometraggi su ventidue (ben la metà!) di quelli in concorso sono di relativo (se non poco) interesse per il cinema contemporaneo e per la sensibilità degli spettatori (Les Miens, Un Couple, The Son e via dicendo), oltre che di dubbia riuscita (prettamente) cinematografica. Di fronte a una buona metà di selezione in concorso con la sufficienza risicata, lascia abbastanza perplessi che non abbia potuto concorrere il bellissimo film di Lav Diaz, regista che fra l’altro si è aggiudicato il Leone d’oro nel 2016 con il suo The Woman Who Left (soprattutto per la denuncia aperta che sferza alle (semi)dittature contemporanee) e stesso discorso vale per Gli ultimi giorni dell’umanità, mastodontica riflessione (anche qui, metacinematografica) di Ghezzi sulla sua vita e sull’arte, che sarebbe stato bello poter veder vincere anche come coronamento e riconoscimento del contributo seminale e fondamentale di Ghezzi alla narrazione e (soprattutto) alla diffusione in Italia del cinema meno conosciuto e più ricercato.

Quello che traspare dalla selezione di quest’anno è una certa sterilità non contenutistica – abbiamo sottolineato la sua diversificazione – ma cinematografica: il Cinema con la “C” maiuscola è da trovare rovistando a fondo nell’offerta dei film in concorso (ritorniamo nuovamente a Gli Spiriti dell’isola ma anche Tár, Bones and all, Saint Omer, Blonde e pochi altri), perché anche un buon docu-film come All the Beauty and the Bloodshed non ha certamente quell’ampio respiro cinematografico di cui possono godere invece i film appena citati, risultando un’opera coinvolgente e istruttiva ma il cui nome non rimarrà certo scritto indelebilmente nella storia del cinema.

Luca Guadagnino ritira il suo Leone d’argento

IL CINEMA ITALIANO

Invece, per quanto riguarda il cinema italiano avevamo:

  • In concorso: Bones and All di Luca Guadagnino, Il signore delle formiche di Gianni Amelio, Chiara di Susanna Nicchiarelli, L’immensità di Emanuele Crialese e Monica di Andrea Pallaoro
  • Fuori concorso: Siccità di Paolo Virzì, In viaggio di Gianfranco Rosi, Gli ultimi giorni dell’umanità di Enrico Ghezzi e Alessandro Gagliardo, The Hanging Sun – Il sole di mezzanotte di Francesco Carrozzini e The Matchmaker di Benedetta Argentieri
  • Orizzonti: Ti mangio il cuore di Pippo Mezzapesa e Princess di Roberto De Paolis
  • Orizzonti extra: Amanda di Carolina Cavalli, Notte fantasma di Fulvio Risuleo
  • Settimana internazionale della critica: Nostos di Mauro Zingarelli e Margini di Niccolò Falsetti
  • Giornate degli autori: Bentu di Salvatore Mereu a cui si annette tutto il carrozzone delle “Notti veneziane”

Nella conferenza d’apertura, il direttore Barbera aveva detto di aver notato “un netto abbassamento del livello di qualità del cinema italiano”, mentre al termine del festival si è ritenuto “contento e soddisfatto della quantità e della qualità dei film presentati”. Arrivati al termine di questa importante mostra cinematografica non dovremmo soffermarci sulla qualità, come invece ha fatto il direttore artistico (sbagliando, oltretutto, perché quella c’è sempre stata anche prima di Venezia). Da anni in Italia si prosegue con vani tentativi di portare in sala il pubblico per mezzo del cinema d’autore ma, come ha giustamente ribadito Robert Bernocchi in questo interessante e mirato articolo per Cineguru, non è quella la soluzione al problematico dilemma della mancanza di pubblico in sala.

Su questo versante, Venezia è stata una cocente delusione: non c’è stato un tentativo di portare uno star system in Italia, non c’è stato un folgorante prodotto con un target preciso, non c’è stato un progetto che sapesse coerentemente quale pubblico portare in sala (no: Bones and all non conta, è un caso isolato con attori americani), non abbiamo visto alcun prodotto che porti in sala i giovani (coloro su cui bisogna puntare sia per il presente che per il futuro del cinema), addirittura un film come L’immensità che è fra i pochi a parlare al pubblico odierno, fluido e femminista, necessita di una presenza internazionale come Penélope Cruz per avere più ampia visibilità. Il cinema italiano esce da Venezia (forse) con ancora più qualità, ma con l’impressione che non ci sia ancora un progetto coeso per il suo sfruttamento e la sua distribuzione nelle diverse finestre cinematografiche, perché la sensazione è di trovarsi sempre di fronte a piccole perle d’autore che giungeranno a pochi, vedranno in pochi e che saranno ricordate da pochissimi.

Ovviamente speriamo tutti che non sia così, ma a settembre di ogni anno ci troviamo sempre a fare lo stesso discorso, e nessuno pare aver mai mosso un dito per cambiare la situazione.

Che sia questo l’anno adatto

I NOSTRI VOTI

Alberto Faggiotto Silvia Strambi MEDIA
Concorso
Il signore delle formiche 7 6 6,5
The Whale 5,5 5 5,25
White Noise 7 7 7
L’immensità 6,5 6 6,25
Blonde 9 7 8
Tar 8 6 7
Love Life 9 7 8
Bardo 7 7 7
Athena 7,5 4 5,75
Bones and All 8 8 8
The Eternal Daughter /// 5 5
Oltre il muro 6 7 6,5
The Banshees 9,5 8 8,75
Argentina, 1985 7 6 6,5
Chiara 3,5 4 3,75
Gli orsi non esistono 7,5 8 7,75
All the beauty 8 7 7,5
Un Coupole 4 3 3,5
The Son 4 5 4,5
Les Miens 5,5 5 5,25
Les enfants des autres 7,5 8 7,75
Monica 5 /// 5
Saint Omer 7,5 /// 7,5
Fuori concorso
Copenaghen Cowboy 9 /// 9
The Hanging sun 5 5
Living 4 4
Dead for a Dollar 3 3
La chiamata dal cielo 7 4 5,5
Master Gardener 5 5
Siccità 3 3
Dreamin wild 5 5
Don’t Worry Darling 4,5 4 4,25
A compassionate spy 6 6
The Kingdom Exodus 9,5 9,5
Gli ultimi giorni dell’umanità 9 9
When the waves are gone 8,5 8,5
Orizzonti
En Los Margenes 5 5
Vera 2 2
Princess 5 5 5
Blanquita 5 5
Lucembourg Luxembourg 7 7
Ti mangio il cuore 4 4
L’uomo più felice del mondo 8 8
A noiva 5 5
Un uomo 9 9
Autobiography 5 5
Orizzonti Extra
L’origine du mal 4 4
Without Her 6 6

Questo articolo è stato scritto da:

Alberto Faggiotto, Redattore