sìmbolo s.m. – Qualsiasi elemento (segno, gesto, oggetto, animale, persona) atto a suscitare nella mente un’idea diversa da quella offerta dal suo immediato aspetto sensibile, ma capace di evocarla attraverso qualcuno degli aspetti che caratterizzano l’elemento stesso, il quale viene pertanto assunto a evocare in partic. entità astratte, di difficile espressione.

[…]

In semiologia […] segno il cui significante è in rapporto puramente convenzionale con la cosa significata, alla quale si collega in virtù di una regola costante, e in genere nota e accettata dai più.”

Dal vocabolario Treccani

Il 19 aprile di cinque anni fa arrivava nelle sale americane, con una distribuzione estremamente limitata, Under The Silver Lake, terza opera diretta da David Robert Mitchell (che molti conosceranno probabilmente per l’hit horror It Follows uscito cinque anni prima) e che vedeva nel ruolo di protagonista un Andrew Garfield impegnato a “scrollarsi” di dosso i ruoli-immagine acquisiti con The Social Network e i due Amazing Spider-Man. Un film che permetteva anche a Mitchell stesso di distanziarsi dal suo passato e di sperimentare con nuovi generi e nuovi stili di narrazione con un “film [che] è un mistero e ci sono misteri dentro quel mistero ed alcuni personaggi potrebbero essere considerati misteri a loro volta. Andrò a spiegarli? No.”

Un’affermazione semplice e chiara da parte del regista stesso, da non intendere però con l’intenzione di presentare un racconto confuso e sconclusionato quanto piuttosto di costruire più layer di significato, ognuno permeato di segni e simboli, che permettono così di aprire molti più spunti di riflessioni di quanto si possa originariamente preventivare. Ma andiamo per gradi.

Disclaimer: l’articolo, per poter andare affondo nell’analisi, conterrà ovviamente numerosi spoiler. Consigliamo caldamente quindi di recuperare prima il film e poi di tornare sull’approfondimento in un secondo momento!

Sam: tra anestesia e sesso

Sam risulta fin da subito un personaggio molto particolare da porre come protagonista di una storia: non è un eroe, non è un modello archetipico, è semplicemente un giovane uomo come tanti altri. Al tempo stesso sembra però una persona vuota, che passa le sue giornate senza lavorare e senza hobby (quasi fosse un cortocircuito tra l’uomo libero dai fardelli della società e quello a cui il vero raggiungimento personale pare impossibile, situazione simboleggiata fin da subito dalla morte dello scoiattolo che cade ai suoi piedi, ritenuto comunemente simbolo dell’organizzazione meticolosa a cui fa da contraltare il “vivere alla giornata di Sam”), in un loop i cui unici momenti degni di attenzione sono gli sporadici ed occasionali sguardi-spia verso le vicine. Proprio da questo ricaviamo un ulteriore elemento di definizione negativa del protagonista: venendo a conoscenza sulle battute finali del film di come Sam sia stato lasciato dalla precedente fidanzata, è facile visualizzare in lui una persona con un’idea contorta e corrotta delle donne, che fatica perciò ad interagire con loro al di fuori della sfera sessuale. Non a caso solo le shooting star e la ballon girl (scopertesi tutte escort) e l’amica attrice (che si presenta alla sua porta solo per un rapporto sessuale) costruiscono un dialogo con lui, mentre le altre donne sembrano ripudiarlo e cacciarlo via, con la scena delle “donne che abbaiano” nel bagno che ne diviene la rappresentazione perfetta.

L’Owl’s Kiss e il Dog Killer nella copertina di un albo di “Under The Silver Lake”

È quindi altrettanto facile vedere in questa lettura l’Owl’s Kiss come manifestazione indiretta di vendetta da parte delle donne nei confronti della sua visione, mischiando al tempo stesso sessualità e pericolo. Unica vera differenza sembra essere nella figura di Sarah che, costruendo un rapporto che non sfocia nel rapporto sessuale, diviene una figura che trascende la visione maschilista e carnale di Sam: non è più corpo, ma icona, quasi fosse una donna dei sogni di origine dantesca da trovare e salvare. Il finale porta però ad una chiusura devastante per il protagonista: Sarah è ormai chiusa per sempre nel mausoleo ed in egual modo Sam, nonostante l’uscita successiva dal tunnel sembri simboleggiare una rinascita a nuova vita, rimane costretto nella sua classica routine ad Hollywood, vuota e senza obiettivi, dalla quale sembra trovare una (momentanea) via di fuga nello stabilirsi con l’anziana vicina, affondando nuovamente nella sfera sessuale, placando i suoi desideri e creandosi una bolla (apparentemente) sicura.

Hollywood: la terra dei sogni infranti

Facile notare fin dalla prima visione l’immensa quantità di rimandi al mondo del cinema: non solo l’intera vicenda si ambienta attorno e dentro Hollywood, ma è facile pensare a molti film della Hollywood classica come 7th Heaven (film consigliato più volte al protagonista dalla madre e la cui trama è, apparentemente, molto simile alle vicende di Sam), How To Marry A Millionaire (le cui tre donne sono facilmente associabili alle tre “muse” dell’ascensione sul finale e di cui Sarah tiene le bambole accanto al televisore) o l’incompleto Something’s Got To Give (con Sarah nella piscina che ricrea in maniera quasi del tutto identica Marilyn Monroe in una scena del film), oppure i bagni che ricordano da vicino quelli visti in The Shining (non a caso qui uno rosso e l’altro verde) come anche le tombe degli attori usate come tavolini in un locale o quella di Hitchcock usata come appoggio dalle attrici/escort.

È forse ancora più facile notare i riferimenti a Spider-Man – forse dovuti proprio alla presenza di Garfield come attore protagonista –: la gomma da masticare che si staglia come una ragnatela sulla mano di Sam che, subito dopo, proprio per toglierla e nascondersi dai ragazzini si abbassa assumendo la posa tipica dell’arrampicamuri, o ancora al suo risveglio l’albo di The Amazing Spiderman “incollato” alla sua mano.

Sam si nasconde da alcuni ragazzini assumendo la posa tipica di un famoso arrampicamuri…

Leggermente più velata e cupa è invece la lettura che Mitchell porta di Hollywood, il mondo dei sogni che, per poter essere raggiunto, obbliga però a fare altro: non è un caso infatti che quasi tutte le donne che Sam incontra si vedano costrette a vendere il proprio corpo per potersi permettere di inseguire quel sogno mantenendo al tempo stesso una vita “abbastanza dignitosa”. In questo Hollywood stessa sembra sguazzare in questo fango, di cui emblema diventa la fila di ragazze semi-vestite per dei provini davanti al garage di un uomo sporco e sovrappeso intento a fotografarle con fare malizioso, da cui è poi facile ricavare una parabola ancora una volta maschilista (forse ulteriormente accentuata dalla visione di Sam) che porta Hollywood ad imporsi sulle donne e sulle scelte e gli obblighi imposti a quest’ultime: non è ancora una volta un caso che ritorni più volte Janet Gaynor nel film (protagonista di 7th Heaven e davanti alla cui tomba si risveglia proprio il protagonista), attrice icona della Hollywood classica obbligata dal patrigno a recitare.

Tre escort/aspiranti attrici dialogano con Sam riguardo la casa del misterioso Songwriter

Avanzando nella pellicola al mondo del cinema anche il dialogo/monologo del Songwriter si applica alla perfezione: non solo “tutto ciò che hai sempre sperato, di cui hai sempre sognato di esser parte, è una macchinazione” ma risulta lapalissiano come, nella sua riflessione, tutto ciò che viene creato di “nuovo” si basa in realtà su qualcosa di costruito in precedenza (concetto, tra l’altro, discusso ormai da decenni tra critici, analisti e cineasti), portando quindi a far risalire tutto il mondo del cinema ad un unico punto d’origine e costruendo una situazione in cui sembra impossibile rompere quel loop di sconfitta ed alimentando invece quello dello sfruttamento, che diventa così infinito con le aspiranti star che non potranno mai raggiungere l’obiettivo. Sembrano esserci quindi solo due modi per fuggire: l’anestesia totale di Sam, sia nella sua fase iniziale che soprattutto nella sua scelta sul finale, oppure “l’ascensione”, il rituale portato a compimento sul finale e che permette alle persone più potenti ed influenti di divenire immortali (proprio come immortali sono divenute molte star attraverso il cinema).

Videogiochi: quest secondarie ed esplorazione

Come per un cinefilo è estremamente facile carpire durante la visione tutte quelle citazioni al mondo del cinema, per un videogiocatore lo è altrettanto per il mondo dei videogiochi. Le citazioni dirette, per quanto in numero minore, ci sono e giocano un ruolo non indifferente: la mappa utilizzata da Sam per decifrare il percorso è quella di The Legend Of Zelda trovata in un numero della rivista NPM (Nintendo Power Magazine), Topher Grace gioca a Super Mario Bros. ovvero il gioco universalmente conosciuto da chiunque per i livelli nascosti accessibili dai tubi verdi (presenti, tra l’altro, sul soffitto del bunker per l’ascensione visitato da Sam), la suoneria di Sam è di The Last Ninja per Commodore 64 e in diverse scene indossa una maglietta di Jungle Hunt, videogioco il cui protagonista deve salvare una donna bionda da un gruppo di cannibali.

Al di là quindi di come, probabilmente, Mitchell stesso volesse dimostrare il proprio amore verso un’era specifica dei videogiochi, risulta abbastanza semplice dedurne come non tanto i videogiochi in sé ma la struttura di quest’ultimi abbia portato Sam – e assieme a lui forse un’intera generazione di persone – a costruirsi un’idea molto specifica di vita, legata a doppio filo al concetto di avventura. È, quindi, ancora una volta facile vedere in Sam il “tipico protagonista da videogame”, che non svolge una vita da comune mortale, non lavora, non paga l’affitto, non mangia e non dorme ma vuole soltanto svolgere le sue quest, le sue missioni, così da avvicinarsi al suo obiettivo: l’importante diventa quindi capire dove trovare l’input giusto per proseguire nella storia, seguendo il percorso giusto per portare a termine la propria avventura personale e trovare la propria ricompensa. Ma il mondo reale non è un videogioco e le battute finali sembrano proprio marcare un fallimento completo di questa avventura senza ricompensa.

“Cent’anni fa – sai, qualsiasi coglione poteva tipo vagare nei boschi e guardare dietro una roccia o stronzate simili e scoprire qualche nuova figata, no? Non più. Dov’è il mistero che da valore alle cose? Noi bramiamo il mistero, perché non ne è più rimasto nessuno.”

Bar Buddy (Topher Grace) in una scena del film

Simboli: sovraletture o messaggi nascosti?

A visione conclusa, lo spettatore rimane con numerosi dubbi riguardo a ciò che ha appena visto ed è molto probabile che la prima domanda posta sia la sempreverde “gli eventi sono reali oppure no”? Normalmente si utilizza infatti la chiave di lettura del “è tutto nella testa del protagonista” che in questo caso potrebbe però essere declinato con un “Sam ha forse voluto vedere messaggi e segreti dove, in realtà, non c’è nulla?”. Riflettendoci a mente fredda, non è così semplice accettare che la conduttrice de La ruota della fortuna mandi davvero messaggi nascosti a seconda della direzione del suo sguardo, che i vinili ascoltati al contrario e con una pietra sopra rivelino messaggi satanici o che nelle banconote sia nascosto un gufo pronto a divenire una figura antropomorfa armata di coltello pronta ad uccidere uomini: è facile invece estrapolare da questo una mentalità malata in Sam, talmente disperata ed alienata da vedere messaggi ovunque – basti pensare al braccialetto datogli da Millicent (che non a caso muore assumendo la posizione del numero di Playboy preferito da Sam) con le lettere NPM che il protagonista prontamente collega al magazine Nintendo, ma che al tempo stesso consiste in una sigla talmente generica che può facilmente assumere per chiunque un significato diverso, ponendosi come soluzione di un enigma che (forse) in primis non esiste.

È forse un caso che l’ombra proiettata da Sam sia l’unica a passare sopra la scritta?

Un’altra domanda (apparentemente) senza risposta sembra essere la vera identità del Dog Killer, l’assassino di cani protagonista di un piccolo albo di Under The Silver Lake e che sembra esistere anche nel mondo reale, vista l’enorme fila di piccole tombe di cani con fiori e candele o i graffiti presenti in tutta la città con scritto “Beware The Dog Killer”. A visione conclusa, diversi elementi portano però ad associare proprio Sam al misterioso killer: in molte scene il personaggio sembra infatti essere fisicamente sulla scritta (a simboleggiare una connessione diretta) e la presenza di biscottini per cani nelle sue tasche, per quanto motivata da Sam stesso, porta con sé qualche dubbio, soprattutto se si inserisce nell’equazione l’associazione continua tra i cani e le donne, portando con sé l’ulteriore idea che la nostra visione di spettatori sia filtrata e che a morire siano proprio donne e non cani – ad ulteriore fondamento di questa teoria c’è il commento di Sam stesso sulla differenza tra l’essere capaci di “uccidere un cane ed una persona”, derivante da qualcuno che sappiamo essere invece capace di uccidere anche una persona senza troppe difficoltà. Tornando all’incontro tra Sam ed il Re dei senzatetto è quindi facile vedere in quest’ultimo un intento accusatorio davanti ai biscotti trovati nelle sue tasche: e se il Re non fosse altro che un poliziotto intento ad interrogare proprio Sam su questi delitti, distorto però dalla mente confusa di Sam?

Quindi tutti i simboli, codici e numeri del film sono un’invenzione di Sam? Forse. Al tempo stesso è interessante notare come un enorme disegno sembri davvero esserci all’interno del film: unendo i nomi dei due personaggi principali si ottiene Samsara, dea Hindu della rinascita e del ciclo; sotto le bambole in casa di Sarah possiamo ricavare, dall’alfabeto Zodiac, le parole “Tombstone Sheriff Entries” che, se inserite su W3W – sigla del sito What Three Words, usato per trovare le coordinate di un luogo con tre parole, il cui simbolo è presente anche nell’alfabeto dei senzatetto del film ed il cui nome possiamo ricavare dal codice morse scritto sul cartellone del bar nella prima scena – porta ad un monte chiamato “The Sphinx” dove potrebbe trovarsi proprio la sala dell’ascensione di Sarah e Jefferson; sempre il codice morse è possibile sentirlo nei fuochi d’artificio che, tradotti, affermano “ascend now”, fungendo quindi da messaggio nascosto per i pochi eletti, tra cui proprio Sarah che, non a caso, reagisce in maniera bizzarra ai fuochi; e ancora i numeri, con il tre – facile richiamo alla trinità cristiana – che ritorna più volte in associazione alle tre donne “necessarie” per l’ascensione, il 751 nel cartellone, il 1492 come civico di casa del fumettista – rimando alla scoperta dell’America da parte di Colombo che diventa specularmente le scoperte (vere o meno) da parte del fumettista – o come i numeri diventino la chiave di decrittazione della canzone dei Jesus and the Brides of Dracula – non a caso un uomo e tre donne, proprio come quelli del rituale dell’ascensione – portandoci a credere che il discorso del songwriter abbia, forse, un fondo di verità.

Anche il poster del film, osservando attentamente, presenta numerose immagini nascoste

Difficile trarne quindi una conclusione definitiva da tutto ciò, perché significherebbe escludere a priori alcuni elementi in favore di altri; al contrario è semplice trarne un’ulteriore chiave di lettura che avvicina pericolosamente Sam proprio allo spettatore. Quante volte infatti ci siamo soffermati, alla fine di un film, a commentare come quel fiore, quella canzone, quella maglietta, quel colore, quella frase, quel movimento di macchina, quel nome, quel luogo, quello stacco di montaggio non fosse stato inserito in quella sequenza a caso ma scelto appositamente proprio per essere letto attraverso una specifica chiave di lettura che permette così di trarne un messaggio semi-nascosto? Ma possiamo davvero essere sicuri che quel messaggio, quel simbolo volesse trasmetterci qualcosa “di più”? Siamo, quindi, tanto diversi da Sam che, guardando la ruota della fortuna, vede messaggi nascosti ovunque?

“What’s the frequency, Kenneth?” is your Benzedrine, uh-huh

I was brain-dead, locked out, numb, not up to speed

I thought I’d pegged you an idiot’s dream

Tunnel vision from the outsider’s screen

[…]

I’d studied your cartoons, radio, music, TV, movies, magazines

Da “What’s the frequency, Kenneth” dei R.E.M., presente in una scena del film ed il cui testo parla di un uomo disturbato mentalmente che vede segni nascosti nella cultura pop

Mattia Bianconi
Mattia Bianconi,
Redattore.