Un Chien Andalou è un cortometraggio del 1929 scritto a quattro mani da Salvador Dalì e Luis Buñuel e diretto da quest’ultimo. Il film, nonostante duri appena 16 minuti, ha suscitato notevoli riflessioni e discussioni per la logica non razionale che guida la (non) narrazione. Un Chien Andalou si colloca pienamente nella tradizione surrealista che mira ad abbattere le convenzioni sociali e narrative per trascendere la realtà e raggiungere quella regione segreta che è l’inconscio, ricca di desideri proibiti e inespressi.
L’occhio surrealista
Malgrado le sequenze del film ci facciano pensare il contrario, in realtà l’unico elemento assurdo è il titolo che allude probabilmente al poeta andaluso Federico Garcia Lorca, il quale aveva conosciuto i due artisti alla Residencia de Estudiantes di Madrid. A prescindere da ciò, nulla che si trova all’interno della pellicola è casuale, ma soggetto alle logiche deliranti dell’inconscio, che è stimolato dagli autori attraverso due processi creativi di pura matrice surrealista: il metodo paranoico-critico, teorizzato dallo stesso Dalì, e la scrittura automatica di André Breton. Per metodo paranoico critico Dalì intende “un metodo spontaneo di conoscenza irrazionale basato sull’associazione interpretativo-critica dei fenomeni deliranti”. Il nostro cervello possiede, infatti, la capacità di percepire analogie tra aspetti della realtà che non sono collegati da alcun elemento razionale. Il processo critico consente, dunque, alla paranoia e alle ossessioni dell’artista di affiorare dall’inconscio e di divenire così materiale creativo. Questo stesso interesse per gli stati allucinatori e la psiche ha portato Breton a teorizzare la scrittura automatica molti anni prima delle riflessioni di Dalì. Tuttavia, per poter parlare di questo ulteriore metodo, è necessario fare un passo indietro e cercare di comprendere cosa si intende per surrealismo. André Breton nel manifesto del 1924 definiva il surrealismo come un “automatismo psichico puro con il quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente che in ogni altro modo, il funzionamento reale del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale”. La vicinanza al metodo di Dalì è immediata poiché, anche in questo caso, ci si concentra sulla possibilità di produrre automaticamente delle analogie che mettano in comunicazione il mondo della veglia con quello del sogno, il conscio con l’inconscio. La surrealtà si trova, dunque, a metà tra queste due dimensioni, ne è un trait d’union. La scrittura automatica è una dettatura del pensiero nonché uno dei procedimenti “deliranti” in grado di cogliere questa parte inconscia che sfugge alla razionalità e che può essere afferrata anche attraverso l’occhio meccanico del cinema. La macchina da presa è, infatti, in grado di registrare in modo automatico la realtà delle cose, ma anche di spingersi oltre le possibilità dell’occhio umano, di osservare minuziosamente ciò che ci circonda e di farne l’autopsia. In particolare, l’inquadratura ci svela i dettagli insoliti e inaspettati della realtà, che producono in noi delle associazioni libere, le quali sollecitano quelle pulsioni che animano il nostro inconscio. Un Chien Andalou è, dunque, una manifestazione visiva di ciò che i surrealisti intendevano per automatismo psichico e nuova modalità di visione.
La genesi del Cane
Il cortometraggio è nato dall’incontro tra due sogni di Salvador Dalì e Luis Buñuel che si concretizzarono nelle immagini emblematiche dell’occhio tagliato e della mano con le formiche. Seguendo il metodo paranoico-critico di Dalì la sceneggiatura fu pronta in meno di una settimana. Ciò che i due artisti si ritrovarono tra le mani era una sequenza di immagini oniriche e allucinate, prive di alcun legame razionale l’una con l’altra. A causa della sua forte anticonvenzionalità, il film non poteva essere accettato dalle case di produzione e Buñuel fu costretto a chiedere un prestito alla madre per poter produrre autonomamente l’opera. Le riprese del film durarono circa una quindicina di giorni e furono girate in Francia all’interno dei teatri di posa di Billancourt impiegando attori non professionali scelti tra i loro amici, colleghi artisti e persino tra le loro amanti. Tristemente nota è la vicenda dell’attore protagonista Pierre Batcheff morto suicida pochi giorni prima del termine delle riprese.
La prima del film venne organizzata dall’artista Man Ray presso lo Studio Ursulines dinanzi ad un pubblico di eccezione composto, tra l’altro, da André Breton, Pablo Picasso e Jean Cocteau. Era il settembre del 1929 e da quel momento in poi Un Chien Andalou sarà considerato un’opera pura ed emblematica dell’avanguardia surrealista.
La logica dell’inconscio
Il cortometraggio è noto per la sua struttura non narrativa e per le immagini oniriche e perturbanti, che sfidano le convenzioni cinematografiche per suscitare una forte reazione emotiva nello spettatore. Bunuel guardava al cinema come uno strumento sovversivo e poetico finalizzato a “far dubitare della perennità dell’ordine esistente, anche senza indicare direttamente una conclusione, anche senza prendere apertamente posizione”. A tal proposito, col taglio dell’occhio della donna i due autori non volevano semplicemente scioccare lo spettatore, ma anche suggerirgli il nuovo tipo di visione da adottare per immergersi pienamente in questa pellicola. Un Chien Andalou, sin dalle sue prime immagini, chiede allo spettatore di abbandonare l’impiego quotidiano del proprio occhio, fortemente ancorato al visibile, a favore di una vista che vada oltre la realtà delle cose e sappia svelare il mondo interiore, l’inconscio.
La vicenda di Un Chien Andalou si svolge in ambienti non definiti, sfuggenti, dei non luoghi della mente ed è priva di un senso lineare poiché è costruita come un vero e proprio flusso di coscienza. Le stesse cinque didascalie sono fuorvianti e seguono la logica atemporale dei sogni. Non v’è alcuna apparente coincidenza tra il testo scritto e quello che viene mostrato. Per tale ragione, il film si apre a molteplici interpretazioni dal momento che i sogni sfuggono alla razionalità. Le immagini disturbanti come le formiche che escono da una mano o l’uomo che trascina due pianoforti con corpi di asini morti legati ad essi, alludono alla pulsione erotica che intercorre tra eros e thanatos, amore e morte, e che pervade l’intero cortometraggio.
Per quanto riguarda le scelte tecniche e formali Un Chien Andalou è caratterizzato da una regia sperimentale e sporca che non mira alla ricerca della bella immagine, bensì ad un’estetica della crudeltà. Le innovazioni tecniche come il montaggio non lineare, i tagli bruschi e il ritmo frenetico carico di tensione, le sovrimpressioni e le sfocature vogliono colpire le viscere dello spettatore e stimolarlo ad adottare quella “nuova visione” tanto cara al movimento surrealista. Queste scelte stilistiche contribuiscono, inoltre, a creare un senso di disorientamento che sottolinea il carattere caotico e irrazionale dell’esperienza umana.
In conclusione, Un Chien Andalou è un’opera cinematografica straordinaria che ha lasciato un’impronta duratura nella storia del cinema. Attraverso le sue immagini surreali e disturbanti, il film di Buñuel e Dalí ha sfidato le norme narrative e visive offrendo un’esplorazione profonda dell’inconscio e della psiche umana. Quella che sembra essere una logica irrazionale e casuale del film può trovare una sua coesione interna coerente e ordinata solo se letta con uno sguardo “altro”, lo sguardo dell’inconscio. A tal proposito, Buñuel ha avuto modo di sottolineare che:
“la mancanza di illazione logica in Un Chien Andalou è una frottola. Se così fosse, avrei dovuto ridurre il film a semplici flash, buttare in un cappello le diverse gag e incollare le sequenze a caso. Non fu così, e non perché non avrei potuto farlo: non c’era alcuna ragione che l’impedisse. No, è semplicemente un film surrealista in cui le immagini, le sequenze, procedono secondo un ordine logico, la cui espressione dipende però dal non-cosciente che, naturalmente, segue il proprio ordine […] Usammo i nostri sogni per esprimere qualcosa, non per presentare un guazzabuglio. ‘Un Chien Andalou’ non ha di assurdo che il titolo”
Ancora oggi, il film continua a ispirare artisti e spettatori, testimoniando la potenza e la rilevanza del movimento surrealista nel panorama artistico. La necessità di spingersi oltre il visibile, verso il Meraviglioso, quella bellezza convulsiva che tocca le corde più profonde del nostro essere.
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