Il 2024 è giunto al termine e noi della redazione di Frames Cinema abbiamo deciso di proporvi un articolo collettivo con i film che più ci hanno emozionato, colpito o fatto discutere durante l’anno. È una lista personale, che include le pellicole uscite in Italia nei mesi scorsi o presentate negli eventi cinematografici italiani e che, per un motivo o per l’altro, rimarranno con noi ancora a lungo. E voi, quanti di questi titoli avete già visto?

Baby invasion (Harmony Korine)

Dopo aver giocato al videogame sperimentale Baby Invasion, basato sull’utilizzo della realtà aumentata, un gruppetto di persone decide di replicarlo nella vita reale, non distinguendo più l’analogico dal virtuale: seguirà un’ora e venti in cui i nostri entreranno nelle case dei ricchi per rapinarli e ucciderli, indossando in volto maschere di bambini. Sarebbe ingenuo cercare una trama o qualche piglio moralistico in Baby Invasion, un film (?) che non ha alcun riguardo per i concetti di plot e di noia: il sogno lucido di Korine conglomera invece tutto l’immaginario digitale contemporaneo in un videogioco open world fps dove noi spettatori siamo i giocatori/osservatori in God mode e balliamo sulle note dell’artista musicale Burial. Dentro all’eterno passato/presente/futuro di Internet, Korine fonde il cinema al camuffamento della realtà (operato dalla realtà aumentata) e all’ubiquità virtuale concessa dalle piattaforme di live streaming, ribadendo quanto il cinema di oggi si faccia sempre di più sull’immagine.

Baby Invasion è stato presentato Fuori concorso alla scorsa Mostra del cinema di Venezia e verrà rilasciato prossimamente sul sito della casa di produzione di Korine, EDGLRD.

A cura di Alberto Faggiotto.

Estranei (Andrew Haigh)

Tante storie inconfessabili, tante parole impossibili da confinare nei confini di una pagina bianca, si manifestano tra le stanze di un palazzo londinese troppo grande per le anime che vi si aggirano. Due di queste, Adam (Andrew Scott) e Harry (Paul Mescal) si avvicinano, si attirano in un gioco di presente e memoria, che coinvolge anche il ricordo dei genitori di Adam, morti anni prima. Andrew Haigh fa suo il romanzo Estranei di Taichi Yamada adattandolo con successo in un diverso contesto temporale e culturale, facendone poesia personale che esplora con delicatezza l’amore, la perdita e lo spazio vuoto che la solitudine frappone tra noi e gli altri. Puro sentimento reso vivo e pulsante dalla forza delle immagini e delle interpretazioni.

A cura di Valentino Feltrin.

Challengers (Luca Guadagnino)

Tra i film che abbiamo atteso di più nel 2024,  questo conquista un posto d’onore tra i migliori titoli dell’anno. Con il suo ultimo film Guadagnino ha messo in scena il racconto della carriera tennistica di due promettenti atleti, Patrick e Art, e le relazioni tra i due, lo sport e Tashi Duncan, bellissima giocatrice che diviene oggetto del desiderio di entrambi. Ambizioni, desideri, tentazioni e frustrazioni si intrecciano nella vita dei protagonisti che ci viene narrata dall’adolescenza fino all’età adulta, andando ad esplorare la molteplicità del linguaggio cinematografico in parallelo con il tennis e le sue regole. La musica di Trent Reznor, energica e concitata, è ulteriore protagonista degli eventi, e contribuisce a sottolineare le tensioni che nascono e si sviluppano man mano che il rapporto tra i personaggi evolve. Movimento e cambiamento sono le parole chiave, concetti che si applicano tanto alle partite giocate di volta in volta quanto ai punti di vista narrativi proposti, tramite composizioni visive e giochi con le inquadrature che insieme ad ogni altro aspetto concorrono alla costruzione del senso del racconto.

A cura di Gaia Fanelli.

Una spiegazione per tutto (Gábor Reisz)

Terzo lungometraggio di Gábor Reisz, si muove tra il racconto di formazione e quello politico, non tralasciando l’aspetto ironico. Il liceale Ábel viene bocciato all’esame di maturità, ma lascia intendere a suo padre conservatore che il motivo di questo insuccesso sia da imputare alla spilla con la bandiera ungherese che aveva appuntata in petto. Un piccolo dramma scolastico si trasforma così in un affare di Stato e va a delineare la frattura tra nazionalisti e liberali in Ungheria, mettendo in luce la difficoltà di comunicazione e la banalità del passaparola. Una grande città diventa un paesino in cui le informazioni trapelano da un abitante all’altro e ognuno ha la sua spiegazione, diversa e mai totalmente veritiera. Una storia adolescenziale fa da sfondo all’attualità europea e al governo Orbán, mostrandoci la società su tre livelli: famiglia, istruzione e media. Diviso in capitoli, il film oscilla tra la poesia della giovinezza e le divergenze di una nazione.

A cura di Maria Cagnazzo.

Il gusto delle cose (Trần Anh Hùng)

Premiato per la regia a Cannes 2023, Il gusto delle cose è uscito in Italia il 9 maggio 2024, segnando il ritorno al cinema di Trần Anh Hùng, regista franco-vietnamita già vincitore del Leone d’Oro nel 1995 per il troppo dimenticato Cyclo. Raccontando la storia d’amore tra il gastronomo Dodin Bouffant e la sua cuoca personale Eugénie (rispettivamente interpretati da Benoît Magimel e Juliette Binoche, immensi), Trần Anh Hùng si inserisce sulla scia del miglior gastro-cinema, esaltando le qualità sensoriali del filone. Lo stile del regista – da sempre sinestesia di impressioni tattili e violenti cromatismi – si sublima nella forma di un melodramma d’ispirazione pittorica che infonde ogni pietanza e atto culinario di una sensualità sommessa, costantemente in bilico tra ghiotte azioni terrene (tagliare, bollire, infornare…) e affetto trascendente. È la forma più alta del cinema d’azione, in cui sono gli atti a guidare i personaggi e il dispiegarsi delle loro relazioni emotive.

A cura di Jacopo Barbero.

The Bikeriders (Jeff Nichols)

Uscito in sordina a giugno, The Bikeriders di Jeff Nichols rielabora il western con uomini fragili in motocicletta al posto di intrepidi cowboy in sella a stalloni. La trama riprende liberamente l’indagine del fotografo Danny Lyon (Mike Faist) sugli Outlaws, club di motociclisti fondato in Illinois negli anni ’60 emulando Il Selvaggio con Marlon Brando, ma la narrazione di Kathy (Jodie Comer) si concentra sull’amicizia tra il fondatore del gruppo (Tom Hardy) e il suo ideale ma recalcitrante successore (Austin Butler). Pur non essendo esente da difetti, The Bikeriders sa raccontare con disincantata lucidità l’eterno mito di un’America che non c’è più, opponendo allo stereotipo del motociclista una una mascolinità fragile, inaspettata e perfettamente presente.

A cura di Enrico Borghesio.

Hit Man – Killer per caso (Richard Linklater)

Se in Slacker e in Dazed and Confused la narrazione di Richard Linklater ruotava intorno a molteplici personaggi, in Hit Man si concentra su un unico protagonista dalle molteplici personalità. Gary Johnson è un professore di filosofia che si trasforma in un improbabile agente sotto copertura. Tra i diversi volti che Gary è chiamato a indossare spicca quello di Ron, un killer affascinante e spietato, diametralmente opposto alla sua abituale identità. Hit Man è, soprattutto, un viaggio tra identità e maschere, e la gerarchia che le definisce. Se nel noir il protagonista si ritrova intrappolato in una situazione più grande di lui, qui Gary si confronta direttamente con il suo essere più profondo, fino a scoprire una parte di sé che non credeva esistesse. Questo tema si inserisce perfettamente nella filmografia del regista texano, popolata da personaggi che aspirano a superare i limiti imposti dalla società. Al tempo stesso, Hit Man è anche un omaggio all’arte dell’attore e alla sua capacità di trasformazione: un bravissimo Glen Powell (anche co-sceneggiatore) incarna con grande versatilità un personaggio capace di attraversare ruoli e generi sempre diversi.

A cura di Simone Pagano.

L’innocenza (Hirokazu Kore’eda)

Una madre vedova, un insegnante della scuola elementare e due bambini sono protagonisti dell’ultimo film del regista giapponese Hirokazu Kore’eda. È L’innocenza (in originale Kaibutsu, “mostro”), un dramma che si dipana come un mistero. Lo spettatore si sposta attraverso i punti di vista dei diversi personaggi, ripercorrendo la stessa vicenda: il piccolo Minato comincia a manifestare alcuni atteggiamenti che spingono la madre ad investigare all’interno della scuola. Piano piano, il film arriva a raccontarci un rapporto tenerissimo “macchiato” dalle ingerenze del mondo esterno che vorrebbe vedere nell’innocenza dei bambini e dei loro sentimenti qualcosa di mostruoso. Con una sceneggiatura delicata e interpretazioni intense, L’Innocenza è impreziosito dalle ultime composizioni musicali del maestro Ryūichi Sakamoto, morto nel 2023.

A cura di Silvia Strambi.

The Substance (Coralie Fargeat)

Hai mai immaginato una versione migliore di te stesso? Più bella, più giovane, più perfetta? È la domanda che devasta Elizabeth Sparkle, attrice di successo cinquantenne, appena scaricata dal suo capo proprio a causa dell’età “troppo avanzata” per lo spettacolo. D’altronde, Hollywood richiede una certa immagine, vero? Ma ecco arrivare qualcosa di inaspettato: un fluido sperimentale che se iniettato aiuterebbe a scoprire una versione migliore di se stessi. Dalla schiena di Elizabeth “nasce” un nuovo corpo, sodo e giovane, con le curve nei punti giusti, perfetto per la tv. Elizabeth dovrà scambiare la propria coscienza tra i due corpi ogni settimana, ma qualcosa le impedirà di sottostare alle regole.

The Substance è un racconto delirante, un body-horror dall’estetica surrealista e dalla regia opprimente, che insiste su immagini di corpi lucenti in modo morboso e fa riflettere su un mondo dello spettacolo che mastica e rigurgita senza pietà chiunque provi ad entrarvi. Definito da Guillermo Del Toro “una fiaba ferocemente bella”, The Substance riuscirà a trasportarvi nel suo delirio e a lasciarvi senza parole.

A cura di Renata Capanna.

Anora (Sean Baker)

Anora è una ragazza che si esibisce come stripper in un locale di New York, Vanja è un giovanissimo figlio di un oligarca russo con troppi più soldi che buon senso. Lui propone a lei prima di diventare la sua ragazza fissa e poi di sposarlo, lei accetta sia perché attratta dai soldi e sia perché con il ragazzo lei sta davvero bene. Peccato che la famiglia di Vanja sia a dir poco scontenta della situazione.

Anora è una fiaba in cui l’amore svanisce prima di esistere davvero, in cui la nostra eroina dopo una vita passata a cavarsela da sola si illude di poter essere forte e in grado di gestire i propri eventi senza spezzarsi, una storia di responsabilità fuggite, non rispettate, nemmeno lontanamente considerate. In questo film, Palma d’Oro a Cannes 2024, chi si fida perde, chi ha compassione soffre e alla fine i prepotenti hanno la meglio. Ma anche i vessati nel loro dolore, possono ridere dei loro aguzzini.

A cura di Nicolò Cretaro.

Conclave (di Edward Berger)

Come può la morte del papa trasformarsi in un thriller? Il Decano Lawrence, un eccezionale Ralph Fiennes, affronta la guerra del conclave, un rito per stabilire chi sarà la guida dell’umanità in un’era d’incertezza. La regia accuratissima del premio Oscar Edward Berger rende Conclave una delle sorprese più intriganti dell’anno cinematografico, a partire da un soggetto apparentemente fuori tempo. Ma il potere di Dio non è mai messo in questione, quanto lo è invece il dominio della Chiesa. È una storia di uomini e donne intorno ad uno dei ruoli più antichi del mondo, ed è tanto umano attraverso i dettagli e i colpi di scena con cui il racconto viene sbrogliato. In fondo un film religioso che non indottrina nessuno ma parla a tutti, provocatorio forse, ecumenico senz’altro.

A cura di Edoardo Borghesio.

Dostoevskij (fratelli D’Innocenzo)

Una lettera scritta a mano lasciata sul tavolo. Un uomo sdraiato sul pavimento della sua casa in attesa che il mix di pillole lo porti alla tanto agognata morte. Una chiamata improvvisa: una famiglia è stata uccisa e l’assassino ha lasciato una lettera. Un inizio tutt’altro che semplice o banale quello di Dostoevskij, ultima opera dei Fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo arrivata quest’estate in sala divisa in due parti e a novembre sulle reti Sky sotto forma di miniserie da sei episodi.

L’uso del 16mm ed una fotografia dai toni freddi e scuri dona profondità e sporcizia ad una storia cupa, senza via di fuga proprio come i luoghi in cui si ambienta: sporchi, malsani, in rovina fuori e pieni di cianfrusaglie dentro, esattamente come i personaggi che le abitano. L’indagine diventa allora solo un pretesto, perché quello che davvero conta è comprendere noi stessi. Ma siamo davvero sicuri che, a conti fatti, ciò che troveremo sarà ciò che ci aspettavamo?

A cura di Mattia Bianconi.