“E ora affronterai il mare delle tenebre, e ciò che in esso vi è di esplorabile.”
E’ nel bienno 1980-1981 che il cinema italiano e mondiale viene sconvolto dalla potenza visiva dei film della trilogia della morte, trittico tematico di pellicole con protagonista l’attrice britannica Catriona MacColl e realizzate da uno dei più grandi registi della storia del cinema horror, Lucio Fulci. Il regista romano, che amava definirsi terrorista dei generi, vista la sua capacità di affrontare tutte le declinazioni del cinema di genere con uno stile personale, inserendo temi e stili a lui cari volti a sconvolgere lo spettatore, fu poco compreso ai suoi tempi e venne rivalutato nel corso degli anni, andando ad ispirare con le sue pellicole diversi registi contemporanei, da Quentin Tarantino a Sam Raimi, che inserirono nelle loro opere numerosi omaggi a scene iconiche ideate da Fulci.
Paura nella città dei morti viventi
Con questo primo film Fulci codifica definitivamente la sua idea di horror, spingendo il pedale dell’acceleratore dello splatter e della violenza esasperata, tanto da essere censurato in Germania. Prodotto appena un anno dopo il grande successo di Zombi 2, altro grande cult del regista, la produzione impose per motivi di marketing la presenza all’interno del titolo del film delle parole “morti viventi”, qui nuovamente presenti ma presentati più sotto forma di spettri. In questa pellicola Fulci inizia a sperimentare anche la decostruzione narrativa che verrà portata avanti definitivamente con il film successivo, scrivendo una esile trama partendo da riferimenti letterari presi da H. P. Lovercraft e Edgar Allan Poe.
I personaggi, appena abbozzati, hanno la vera e propria funzione di essere un mezzo per creare una serie di scene in cui una violenza debordante possa sconvolgere lo spettatore, creando un vero e proprio horror esperienziale, in cui la paura assume il ruolo di protagonista, basato su sangue, budella e crani perforati. Diverse sono le sequenze iconiche da ricordare, dalla lacrimazione di sangue dagli occhi, dal completo rigetto degli organi interni attraverso la bocca, fino alla distruzione del cranio di un ragazzo attraverso un cacciavite elettrico; quest’ultimo episodio si fa anche portatore dell’anima nichilista di Fulci che vede il male non solo nel sovrannaturale, ma anche e soprattutto nell’uomo stesso. Il personaggio del prete viene messo in scena con tagli di luce che lo rendono simile al Dracula di Christopher Lee, il tutto immerso in un’atmosfera nebbiosa e oscura che preannuncia la fine del mondo e che ben si sposa con le componenti oniriche. Una pellicola iconica, con cui Fulci dà una direzione definitiva al suo cinema horror. Il film risulta essere anche uno dei preferiti di Tarantino, che lo cita esplicitamente in una scena di Kill Bill Vol. 1.
…e tu vivrai nel terrore! – L’aldilà
Appena l’anno successivo Fulci torna al cinema con quello che, a parere di chi scrive, è il suo capolavoro definitivo, nonché uno dei migliori horror della storia del cinema. Con questa opera enigmatica, Fulci disintegra completamente il concetto di sceneggiatura e della struttura classica di un film, che diventa una sequenza di suggestioni ed elementi surreali e orrorifici, senza produrre un’evoluzione dei personaggi o meglio, senza creare dei veri personaggi. Il senso di oppressione a causa della fine del mondo che corrisponde all’apertura verso L’aldilà, pervade tutto il film fino al meraviglioso finale, dove il concetto di trascendente, di ultraterreno, viene messo in scena in maniera estremamente semplice ma geniale: un luogo impossibile e per questo caratterizzato da un panorama neutro e desertico eppure suggestivo, poetico, il Nulla supremo che secondo Fulci ci attende dopo la vita. Il regista romano, con della banale sabbia e qualche comparsa, fu capace di creare la rappresentazione dell’aldilà più interessante mai prodotta nella storia del cinema. Anche in questo film Fulci fu costretto ad inserire gli zombi nella parte finale, dato che non erano inizialmente in sceneggiatura, ma furono imposti dalle distribuzioni estere vista la fama del regista romano, etichettato come regista degli zombi, utilizzati anche in questo caso in maniera funzionale, per mostrare come l’inferno abbia ormai conquistato la Terra. Lo splatter si evolve rispetto a quello debordante del film precedente e diventa ancora più violento e più shockante, partendo dall’efferata uccisione nel prologo, che si fa portatore nuovamente del nichilismo di Fulci, con le porte dell’inferno che vengono spalancate dalla violenza intrinseca nell’uomo. Con questa pellicola Fulci porta a compimento il suo disegno apocalittico, ispirato a Lovercraft e rielaborato dalla mente del terrorista dei generi, aprendo ufficialmente il filone dell’horror anarchico. Da segnalare la presenza di un improbabile da pensare ma incredibilmente funzionale da vedere Michele Mirabella, il celebre conduttore italiano, protagonista della famosa scena delle tarantole.
Quella villa accanto al cimitero
Nello stesso anno di …e tu vivrai nel terrore! – L’aldilà Fulci dirige quello che da molti è considerato il capitolo più spaventoso della trilogia in termini puramente orrorifici, creando con Quella villa accanto al cimitero un film indubbiamente più convenzionale e per questo motivo forse più debole dei precedenti. Si torna ad una narrazione lineare, costruita su pochi ma funzionali elementi come la disgregazione del nucleo famigliare, o altri riconducibili alla cultura horror classica il mostro nascosto nel buio della cantina e gli spettri che infestano la casa. Pur non essendo presente l’anarchia assoluta del precedente capitolo, Fulci riesce a produrre una pellicola in cui i momenti di alta tensioni sono ben orchestrati, in particolare durante la meravigliosa mezz’ora finale, in cui tutta la violenza tipica dei suoi lavori precedenti raggiunge il culmine, seppur mitigata rispetto allo splatter a cui ci aveva abituato il regista. D’altra parte Fulci si diverte ancora di più a livello registico, raggiungendo il totale controllo del mezzo cinematografico, riflettendo anche nello stile composto di ripresa questa mancanza di anarchia. Poco spazio viene lasciato all’ironia, ad eccezione del nome del Dr. Freudstein, una chiara commistione tra Freud e Frankenstein, nato probabilmente per ridicolizzare Freud (che Fulci non amava) accostandolo al nome di Frankenstein (che invece adorava). Con Quella villa accanto al cimitero, un horror da recuperare per tutti gli amanti del genere, si chiude una delle trilogie più influenti e rivoluzionarie prodotte dal cinema italiano, non solo per il futuro del cinema di genere, ma per il cinema tutto.
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