Trainspotting ha diffuso una parte del “cool british cinema” in tutto il mondo. Danny Boyle era un regista rivoluzionario. Era la forma cinematografica e il modo in cui stava spingendo, su così tanti livelli, su come raccontare storie. Era estremamente dinamico.

Gurinder Chadha (regista britannica)

L’autore Irvine Welsh scrive Trainspotting nel ’93, e già nel ’96 abbiamo la sua versione cinematografica. 1996. Cos’altro stava succedendo nello stesso periodo? Due anni prima gli Oasis avevano rilasciato l’album Definitely Maybe, mentre quattro anni prima aveva (convenzionalmente) avuto inizio il britpop. Sei anni prima per il Campionato mondiale di calcio 1990 i New Order avevano scritto World in Motion per la squadra inglese, e da quando nel 1988 l’artista Damien Hirst aveva curato la mostra Freeze il mondo dell’arte contemporanea aveva subito una svolta stava attraversando una fase estremamente dinamica. Nella moda stava succedendo qualcosa di molto simile, e negli stessi anni era in pieno sviluppo la rave culture.

Cinema, musica e la generazione degli anni ‘90

Il periodo storico e culturale è quindi estremamente vivo quando Irvine Welsh decide di catturare un ritratto della generazione di quegli anni con il suo romanzo, ed è esattamente questo il significato che l’autore attribuisce alla sua storia. Se le vicende legate alle droghe sono l’elemento testuale più evidente, in realtà ciò che ci viene presentato è la maniera in cui in quel periodo si stesse affrontando una crisi esistenziale, senza vedere un futuro chiaro davanti a sé, si fosse appena usciti dal governo di Margaret Thatcher, si tema la mancanza di lavoro e la possibilità di essere sostituiti dalle macchine.

La narrazione segue alcuni momenti della vita di Mark Renton, un ragazzo scozzese che, come molti suoi amici, si fa di eroina e nonostante provi più volte a disintossicarsene sembra non riuscire mai a porre un freno definitivo. La trama è semplice, ma Danny Boyle (e Welsh) scende molto in profondità nell’espressione dei pensieri e dei sentimenti del protagonista nel vivere diverse situazioni, alternando un grande senso di disperazione ad una gioia che solo l’eroina riesce a dargli, alla determinazione di cambiare vita e l’incapacità di vedere un significato in ciò che le classi medie amano.

La capacità di trasmettere questo sentire comune è uno dei punti più importanti del film, che riesce a farlo soprattutto con un grandioso uso della musica rappresentava di quegli anni. I nomi che ritornano solo tanti, e anche nel libro si contano molte citazioni agli Smiths, a Lou Reed, a David Bowie. Quest’ultimò rifiutò, ma in molti accettarono ben volentieri di prestare la propria musica per la colonna sonora.

Nonostante siamo molte le canzoni precedenti agli anni ’90 (Nightclubbing, Lust for life, Temptation), si scelse di dare grande rilevanza alla musica degli emergenti artisti britpop, diventati in pochissimo tempo rappresentativi di quel contesto culturale, stabilendo uno statuto a cui sperava di assurgere anche il film. Con questo criterio si scelse di utilizzare Sing dei Blur, (Leisure, 1991) e Mile End dei Pulp (OST), ma Damon Albarn vi contribuì anche con altre composizioni e furono selezionati brani anche della band Elastica (2:1, Elastica, 1995).

Un aneddoto divertente riguarda gli Oasis e il loro rifiuto di contribuire alla soundtrack. La proposta era stata avanzata a Noel Gallagher che però non sapendo di cosa parlasse il film pensò fosse una storia sul guardare i treni, e che sarebbe stata estremamente noiosa. Inutile spendere parole per spiegare quanto grande fu poi il suo rimpianto quando scoprì la verità.

Lust for life, Perfect Day, Born Slippy

Tre scene in particolare meritano un’attenzione speciale per la maniera in cui la musica è stata utilizzata. La prima è il monologo iniziale, per l’esuberanza espressiva contrapposta al senso di disperazione e nichilismo dei temi affrontati. Non a caso, il titolo scelto è “sete di vita”, le cui note risuonano con forza mentre Renton distrugge in pochi minuti il sogno della middle class. È possibile leggere questa contrapposizione come la volontà di creare un contrasto in grado di produrre un senso, unendo due opposti. Ma sono davvero due contrari arbitrariamente giustapposti? Il medesimo atteggiamento era stato adottato da un’intera generazione in seguito ad un periodo storico di degrado e depressione. Lo stesso processo lo si può infatti ritrovare anche nel fermento culturale del periodo storico da parte di una moltitudine di giovani. Che sia una forma di reazione per ottenere una vita migliore o il grido disperato di chi non vede più il motivo di struggersi di fronte ad un avvenire segnato, una simile energia sembra più essere la diretta conseguenza di aspirazioni di vita mediocri. 

La seconda è la struggente scena dell’overdose, accompagnata da Perfect day di Lou Reed. La scelta è qui ricaduta su una canzone romanica che illustra la giornata perfetta di una coppia innamorata. Se venisse ascoltata senza conoscere la trama del film probabilmente porterebbe ad immaginare una ragazza nella vita del protagonista, che sia stata in grado di allontanarlo dalla droga e indirizzarlo verso una vita migliore. Ma con chi è Renton in quel momento? È da solo, si sta facendo di eroina. Questo ci fa intendere come per lui le sensazioni provate in quel momento siano le stesse che una persona media prova all’interno di una relazione, ma come per tutto il resto, i desideri di una persona media non sono abbastanza per lui. Sceglie di aggrapparsi a qualcosa che possa portarlo ad un livello superiore, che lo aiuti a scappare dalla disperazione, che non sia intrinsecamente e irrimediabilmente vuoto. Anche se questo qualcosa arriva quasi ad ucciderlo, non fa niente, è un di più.

Infine, la scena conclusiva con Born Slippy degli Underworld. Cosa è successo fino a questo momento? Renton non è arrendevole. Certo, sta vivendo una crisi come il resto della sua generazione, ma è razionalmente consapevole di tutto, e prova più volte a disintossicarsi. Si sforza di lasciare da parte l’eroina, prova a frequentare una ragazza, cerca addirittura di cambiare vita trasferendosi a Londra. Quindi quando i suoi amici gli propongono di partecipare ad un grosso affare, la vendita di una grande quantità di droga, lui accetta, ma sarebbe stata l’ultima volta. Cosa voleva dire essere una brava persona secondo i criteri della sua società? La morale medioborghese si rivelava spesso benpensante e ipocrita, ancora una volta priva di concretezza. Ma come ultimo grido di angoscia Renton si sforza di adattarvisi. Ed è per questo che non sono molti i rimpianti che prova quando ruba le parti del ricavato dei suoi amici per andare via e ricostruirsi una vita. Si rifà a quegli stessi costumi che aveva sempre disprezzato, e così il monologo finale diventa una sorta di contrappeso di quello iniziale.

Allora perché l’ho fatto? Potrei dare un milione di risposte tutte false. La verità è che sono cattivo, ma questo cambierà, io cambierò, è l’ultima volta che faccio cose come questa, metto la testa a posto, vado avanti, rigo dritto, scelgo la vita. Già adesso non vedo l’ora, diventerò esattamente come voi: il lavoro, la famiglia, il maxitelevisore del cazzo…

A sottolineare questo contrasto interiore abbiamo una canzone rappresentativa della rave culture o in generale di quel tipo di vita che stava cercando di lasciarsi da parte. E forse non è un caso che non abbiamo più qui la nitidezza della scena iniziale ma un primissimo piano di Renton che cammina mentre i tratti del suo viso diventano sempre più sfocati. Non c’è più sete di vita come veniva intesa prima. Più delinea i suoi nuovi obiettivi più perde forma, fino a diventare un’inquietante sagoma con un sorriso privo di contorni. Una sagoma imprecisa, fumosa, vaga, come quella di una qualsiasi persona che nella Gran Bretagna avesse infine scelto la vita, il lavoro, la famiglia, e il maxitelevisore.

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Gaia Fanelli,
Redattrice.