“Non so cosa dirvi davvero. Tre minuti alla nostra più difficile sfida professionale. Tutto si decide oggi. Ora noi o risorgiamo come squadra o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l’altro fino alla disfatta.
Siamo all’inferno adesso signori miei. Credetemi. E possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi, oppure aprirci la strada lottando verso la luce. Possiamo scalare le pareti dell’inferno un centimetro alla volta.
Io però non posso farlo per voi, sono troppo vecchio.”Tony D’Amato – Ogni Maledetta Domenica.
Con queste parole inizia uno dei monologhi più belli e famosi della storia del cinema, in quel capolavoro che è Ogni Maledetta Domenica di Oliver Stone. Un film che è più di una semplice rappresentazione sportiva come se ne sono viste a centinaia. Una pellicola che da un lato è una forte denuncia verso una visione capitalistica della vita, ma dall’altro è anche una profonda e intima riflessione sulla solitudine, sul fallimento e sul diventare vecchi in un mondo che corre veloce. Il regista mette al centro della scena un Al Pacino strepitoso nel ruolo di Tony D’Amato, rendendolo, di fatto, il veicolo attraverso il quale tutte queste tematiche vengono presentate allo spettatore.
Il vecchio Coach dei Miami Sharks (squadra fittizia inventata da Stone a causa della mancata concessione dei diritti da parte dell’NFL) è in carica da più di vent’anni e viene presentato da subito come un uomo forte e quasi d’altri tempi, un uomo che ha vinto tutto, ma che ormai da qualche anno fatica a raggiungere i fasti del passato. Tony è fortemente legato alle sue convinzioni, sportive e non, e ha un legame particolarmente stretto, addirittura familiare, con i suoi giocatori e con la dirigenza della sua squadra; l’onore, il rispetto, la fiducia e la trasparenza sono i valori sui quali ha basato la sua carriera e la sua vita.
Tutto il mondo di Tony viene, però, messo in discussione da una serie di risultati fortemente negativi e soprattutto dalla morte del proprietario degli Sharks -una figura quasi paterna per lui- e dalla conseguente presa di potere all’interno della società della figlia Christina (Cameron Diaz), la quale ha una visione molto più moderna e materialistica del Football.
Questo personaggio, a detta dello stesso Stone, è la rappresentazione di tutto ciò che è negativo e dannoso nel mondo sportivo odierno e quindi, metaforicamente, nella società attuale: la ricerca spasmodica di un profitto sempre maggiore, la spersonalizzazione dei rapporti umani e il rifiuto di ogni valore morale per arrivare al successo. Emblematica in questo senso è la scena in cui Christina minaccia il medico della squadra per far dichiarare idoneo un giocatore che rischierebbe addirittura la morte se dovesse scendere in campo.
Tutto questo è fortemente contrapposto al personaggio di Tony che si trova, quindi, ad affrontare un mondo ormai cambiato e nel quale non si riconosce più.
Qui la riflessione del regista si amplia mostrando il disagio interiore del Coach, che deve confrontarsi anche con il passare del tempo e con l’impossibilità di rimanere aggrappato al passato.
La vita di Tony al di fuori del Football si rivela essere, infatti, una vita fatta di solitudine, ricordi amari e pentimento. Le scene di feste sfrenate dei suoi giocatori, con ville affollate e divertimento, sono spesso contrapposte a inquadrature di D’Amato che beve al bar in completa solitudine, fatta eccezione per una giovane della quale sembra innamorarsi, ma che si scopre essere in realtà una prostituta, interessata solamente al suo denaro.
La figura del grande Coach vincente e di successo si schianta, quindi, contro la realtà di un uomo fragile, con alle spalle un divorzio irrisolto, un rapporto totalmente inesistente con i figli e un’esistenza che sta andando a pezzi. Usando le parole dello stesso protagonista:
“Ho commesso tutti gli errori che un uomo di mezza età possa fare. Si perché io ho sperperato tutti i miei soldi, che ci crediate o no. Ho cacciato via tutti quelli che mi volevano bene e da qualche anno mi dà anche fastidio la faccia che vedo nello specchio”.
La figura che segna, però, la svolta per Tony è il giovane Quaterback Willie Beamen (Jamie Foxx) che, passando da terza scelta a titolare in una situazione di emergenza, si impone presto come stella della squadra. Il rapporto tra i due è quasi un rapporto Padre-Figlio e, in quanto, tale è fatto di scontri, incomprensioni, ma anche di profondi cambiamenti per entrambi.
È proprio Beamen che sbatterà in faccia a D’Amato la sua condizione “miserabile”, facendogli comprendere che l’unico modo per risorgere e rialzarsi è affrontare un percorso di redenzione interiore per uscire dall’inferno in cui si trova un centimetro alla volta.
Proprio in questo senso il tema dell’accettazione del passato e del fallimento diventa fondamentale per comprendere il conflitto del personaggio. La sua riflessione sul confronto con le proprie colpe è un sentimento universale ed estremamente umano che porta lo spettatore a comprendere che ciò che è veramente importante non è tanto il successo, bensì la consapevolezza di non avere né rimorsi né rimpianti e di aver vissuto a testa alta nonostante tutte le sconfitte che la vita infligge ad ognuno, perché “Ogni Maledetta Domenica si vince o si perde, resta da vedere se si vince o si perde da uomini”.
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