Quando nel 2005 Tom Ford, già stilista di fama internazionale, ha iniziato a interessarsi al cinema, non sono stati in pochi a esprimere scetticismo, persino, pare, tra i suoi amici più intimi. Buttarsi in un nuovo campo, quando il proprio nome è già associato a grandi successi, porta inevitabilmente con sé alcuni rischi. Anche nel cinema, la popolarità, a fronte di un più facile ingresso nell’industria, può portare infatti, in caso di insuccesso, a critiche ancora più aspre di quelle che si rivolgerebbero a illustri sconosciuti.
L’effettivo debutto cinematografico di Ford avviene però soltanto quattro anni più tardi, quando, dopo aver acquistato i diritti dell’omonimo romanzo, auto produce il film A Single Man, presentato nel 2009 alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Il film, complice anche l’interpretazione di Colin Firth (che viene premiato a Venezia con la Coppa Volpi e riceve la sua prima nomination agli Oscar), è un successo sia in termini di pubblico che in termini di critica, ma nonostante ciò devono passare altri sette anni prima che Ford torni dietro la cinepresa. Nel 2016 esce Animali Notturni, che viene premiato, di nuovo a Venezia, con il Gran Premio della Giuria.
«Ci sono stilisti che sono degli artisti. […] Quanto a me, penso di essere troppo cinico per essere un vero artista».
Chissà se Ford la pensa allo stesso modo anche riguardo alla sua (per ora snella) carriera da regista.
Nato in Texas, da genitori iperprotettivi, lo stilista ha più volte dichiarato di aver avuto un’infanzia complicata, e di portarsi dietro da quegli anni una sorta di inquietudine, di perenne timore nei confronti del mondo. Negli anni dei più grandi successi nel mondo della moda, quella sua inquietudine si trasforma in lotta con la depressione e l’alcolismo, demoni che il regista riesce a scacciare, ma che continua comunque a dover tenere sotto controllo.
C’è molto di questi lati di Ford nei suoi film, al di là di quella che potrebbe essere l’influenza del suo mondo di provenienza: c’è molto del suo vissuto, della sua irrequietezza. Sceneggiati dallo stesso regista, entrambe le sue pellicole, se pur molto distanti tra loro sia per trama che per estetica, sono infatti accomunate dalle stesse tematiche.
L’inquietudine e una certa tendenza verso la morte ricorrono in entrambi i film, se pur in modo differente. La morte li apre e li chiude entrambi. Essa è ossessione dichiarata per George, professore gay nella California del ‘62, che in A Single Man fa i conti con il lutto per la prematura perdita di Jim, suo compagno di vita da sedici anni.
“Solo gli stolti fuggono alla semplice verità che ora non è semplicemente ora, è un freddo promemoria, un giorno più di ieri, un anno più dell’anno scorso, e che prima o poi lei arriverà.”
Ossessione che va via via materializzandosi, facendosi sempre più concreta mentre seguiamo George durante quella che ha deciso essere la sua ultima giornata, mentre lo osserviamo preparare ogni dettaglio con precisione e lucidità, facendo le prove della sua dipartita, predisponendo ogni cosa per il suo funerale.
Il film si snoda, con toni intimi e a tratti poetici, secondo due linee temporali, tra i continui rimandi al passato felice di George e Jim e il presente in cui George prosegue a interpretare la parte del “debolmente rigido ma perfetto” professore, capace di lasciarsi andare solamente nei pochi attimi di reale connessione con l’improbabile amica di una vita, Charley, con un sensibile studente, Kenny, e con un giovane prostituto incontrato per caso proprio quel giorno.
Differente è invece la morte con cui ci scontriamo in Animali Notturni, violenta e disturbante nei fatti, presentata con una certa poesia di immagini e richiami visivi sullo schermo. Protagonista della (prima) vicenda del film è Susan, gallerista di successo e alter ego filmico del regista, interpretata da Amy Adams. Intrappolata in un ambiente tossico, vuoto e dedito al materialismo (il parallelo col mondo della moda è qui evidente) e in un matrimonio ormai di pura facciata, Susan vive in una profonda insoddisfazione, e l’arrivo inaspettato del romanzo che l’ex marito Edward (Jake Gyllenhaal) le ha dedicato la sconvolge profondamente, riportandola con la mente a eventi del suo passato.
Come per il suo debutto cinematografico, anche qui Ford mescola e lega a filo doppio le vicende del presente e del passato, ma in questo caso alle due diverse narrazioni temporali se ne aggiunge una terza. La vicenda centrale del film, quella che lega le letture notturne di Susan agli spaventosi animali del titolo, è infatti quella di Tony (di nuovo, Jake Gyllenhaal), protagonista nel romanzo di una storia di violenta vendetta che diventa, tra le righe, vera vendetta anche per Edward.
Anche qui, man mano che la lettura di Susan prosegue e i minuti del film scorrono, la morte, da avvenimento incipit, sembra diventare il fine ultimo, non dichiarato ma forse implicitamente cercato: risposta violenta e quasi obbligata a un crimine che non trova giustizia, pace ritrovata per la vita sgretolata di Tony.
In entrambe le pellicole, essa è il culmine di un processo: di consapevolezza per George, che giunge all’accettazione e alla riscoperta di quei rari “momenti di assoluta chiarezza” per cui vale la pena vivere, di giustizia per Tony, vittima inerme, privato di colpo della sua famiglia alla stregua di George.
Storie di paure e di solitudini opprimenti, raccontate nel primo caso con la delicatezza di colori desaturati – che soltanto a tratti brillano su dettagli di minuta gioia viva -, nel secondo caso con una violenza disturbante e carica di colori che spiccano nell’oscurità. Case di vetro si tramutano in lussuose prigioni, prigioni che obbligano George ad essere invisibile agli occhi dei più – in quegli anni, per noi così lontani, di scarse rivendicazioni sociali – mentre rendono Susan aliena in un ambiente da cui non è mai riuscita a fuggire davvero.
Entrambi i film sono dei veri gioielli, delle gemme con sfaccettature oscure, ma per ora restano solo delle brevi incursioni da parte di Tom Ford in un mondo che da sempre lo affascina, e che tra una collezione e l’altra è tornato recentemente a visitare soltanto per vestire di eleganza il Bond di Daniel Craig (i completi degli ultimi tre film della serie di James Bond e del prossimo all’uscita No time to die portano infatti la firma dello stilista).
Chissà che non stia aspettando altri sette anni per tornare a dirigere. Chissà se avrà fatto pace con le sue ossessioni.
“Death is all I think about. There is not a day or really an hour that goes by that I don’t think about death. I think you are born a certain way. I think you just come out that way.”
“La morte è tutto quello a cui penso. Non passa giorno né ora in cui io non ci pensi. Penso che si viene al mondo in un certo modo. Semplicemente penso di essere nato così.”
(da un’intervista dell’Hollywood Reporter a Tom Ford in occasione dell’uscita di Animali Notturni).
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