Venti lungometraggi, venti animazioni, venti cortometraggi, dieci racconti, dieci sceneggiature, quattro incontri letterari tra bizzarro e fantastico, tra analisi della realtà e fuga dalla medesima, cinquanta paesi coinvolti. Sono questi i numeri della Ventunesima edizione del TOHorror Fantastic Film Fest, manifestazione indipendente dedicata al cinema e alla cultura del fantastico, dal 19 al 24 Ottobre a Torino, tema: “le cose strane”. “Dopo un anno difficile il TOHorror torna più determinato e indipendente che mai, con una visione non scontata del Cinema fantastico e un programma senza compromessi. Basta sfogliare le pagine del catalogo di questa ventunesima edizione per vedere quanto straordinari siano i film in cartellone, così come gli incontri che arricchiscono e fanno da contorno al comparto cinematografico. E mai come quest’anno sento la necessità di ringraziare l’infaticabile squadra che, continuando senza tentennamenti a lavorare, ha permesso di superare questo periodo complicato e di consegnare a voi un evento cinematografico incredibile e rutilante, in presenza, pensato e realizzato in piena indipendenza e autonomia, come nel nostro ventennale spirito” dichiara il direttore artistico Massimiliano Supporta.

Un Festival organizzato da persone che amano profondamente il cinema di genere e il cinema in generale, una manifestazione da supportare il più possibile.

Noi di Framescinema.com vi proporremo diverse minirecensioni dei film in programma, iniziando con due lungometraggi del concorso principale.

THE SCARY OF SIXTY-FIRST – SEZIONE AMERICAN NIGHTMARE

Due studentesse newyorkesi trovano una sistemazione da sogno, un appartamento nell’Upper East Side a prezzo stracciato. Il sogno si fa incubo quando scoprono l’identità del precedente inquilino: Jeffrey Epstein, il miliardario morto (forse) suicida nel 2019 dopo l’arresto per pedofilia e traffico di minori (fonte www.tohorrorfilmfest.it).

L’esordio alla regia di Dasha Nekrasova (anche attrice all’interno del film) è un folle mix  di cronaca nera e possessioni demoniache, capace di portarsi a casa il premio come miglior opera prima all’ultimo Festival del cinema di Berlino. Il film, realizzato quasi totalmente con la macchina a mano e con un montaggio serratissimo, trasuda estetica anni 70 sin dalla prima inquadratura e sin dalle prime musiche. Alcune scene, volutamente sguaiate e al limite del trash, vengono in realtà contestualizzate dalla coerenza formale dell’intera pellicola e risultano funzionali alla follia della storia messa in scena. Il film abbraccia le teorie del complotto riguardo al possibile assassinio di  Jeffrey Epstein, ma non si prende mai veramente sul serio riguardo all’argomento e sfrutta questo soggetto per inserire numerosissimi spunti e riflessioni di natura politica e psicologica.  

Se la prima chiave di lettura del film è necessariamente legata alla storia di Epstein, connesso in questo film al mondo della magia nera e dell’occultismo e capace di tormentare le protagoniste anche da morto, tra possessioni, atti di omertà e teorie del complotto (con un finale che ricorda molto nello stile quello del cult American Psycho), in seconda battuta una lettura più intimista e legata alla sfera psicologica delle protagoniste è anche suggerita. Tutte e tre utilizzano la storia raccontata per scoprire qualcosa di sé stesse, dalla propria sessualità, alla propria ossessione per il macabro fino al risveglio di un trauma causato dalla propria famiglia e in particolare dalla pedofilia incestuosa di un padre verso la figlia, connettendosi dunque direttamente alla storia del miliardario americano.

Un’opera prima indubbiamente originale, capace di risultare sinceramente folle, ad eccezione di un finale in cui si rientra in binari tutto sommato convenzionali, e in grado di conquistare lo spettatore nel momento in cui quest’ultimo è disposto a comprendere ed accettare l’estetica che lo caratterizza.

AFTER BLUE (PARADIS SALE) – FUORI CONCORSO

After Blue è un pianeta abitato da sole donne. Quando, preda di un’attrazione incontrollabile, la giovane Roxy libera la pericolosa assassina Kate Bush, gli equilibri sociali si spezzano e la ragazza e sua madre saranno costrette a un’odissea per espiare la colpa, ritrovare la criminale e ucciderla per ristabilire un’armonia forse perduta per sempre (fonte www.tohorrorfilmfest.it).

Bertrand Mandico torna sulla scena dopo l’exploit del suo esordio al lungometraggio nel 2017 con Les Garçons sauvages, opera posta al primo posto della classifica dei migliori film di quell’anno dai Cahiers du Cinéma. Con questa nuova pellicola presentata all’ultima edizione del Festival del cinema di Locarno il regista francese costruisce un’epopea che mescola generi diversi, dalla fantascienza al fantasy, dal cinema erotico fino al western, concentrandosi principalmente sulla costruzione estetica del mondo messo in scena, piuttosto che sugli eventi narrati. Il mondo After Blue, il cui nome deriva da “dopo il pianeta blu”, dopo la Terra, è caratterizzato da una natura che nelle sue forme sembra creata dalle viscere di animali e uomini, stilisticamente ispirata pesantemente dal mondo creato da Mario Bava in Terrore nello spazio e da quello di El Topo di Alejandro Jodorowsky, una natura allo stesso tempo sessualizzata, piena di fluidi, peli e simboli fallici. In After Blue gli schizzi di sangue si mischiano alla vernice lanciata su un dipinto trasparente, le donne che lo abitano assomigliano per la maggior parte a streghe e il mondo intero sembra pregno di misticismo, sottolineato dalla meravigliosa fotografia di Pascale Granel, che costruisce ogni inquadratura come se fosse un quadro. La trama sfrutta il pretesto della caccia a Kate Bush per narrare della scoperta della sessualità da parte di Roxy, che prova profonda attrazione verso la criminale ed è ancora in piena fase di scoperta di sé stessa e del proprio corpo, la cui evoluzione viene narrata durante l’intera pellicola fino al liberatorio e catartico finale. Mandico costruisce un coming of age mascherato da western con elementi di fantascienza, tra androidi di forma umana, pistole tecnologiche chiamate come i nomi di stilisti famosi e mostri che sembrano usciti da un film di Guillermo del Toro. Un film di puro sperimentalismo, di enorme world-building che  fagocita la scarsa narrazione, ma che risulta essere talmente particolare da meritare la visione rigorosamente sul grande schermo. Menzione d’onore per le musiche di Pierre Desprats, a dimostrazione di come la scuola francese continui a produrre talenti anche in questo ambito.

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Luca Orusa, Redattore