SPECIALE TOHORROR FANTASTIC FILM FEST 2021 – GIORNO 1

Venti lungometraggi, venti animazioni, venti cortometraggi, dieci racconti, dieci sceneggiature, quattro incontri letterari tra bizzarro e fantastico, tra analisi della realtà e fuga dalla medesima, cinquanta paesi coinvolti. Sono questi i numeri della Ventunesima edizione del TOHorror Fantastic Film Fest, manifestazione indipendente dedicata al cinema e alla cultura del fantastico, dal 19 al 24 Ottobre a Torino, tema: “le cose strane”. “Dopo un anno difficile il TOHorror torna più determinato e indipendente che mai, con una visione non scontata del Cinema fantastico e un programma senza compromessi. Basta sfogliare le pagine del catalogo di questa ventunesima edizione per vedere quanto straordinari siano i film in cartellone, così come gli incontri che arricchiscono e fanno da contorno al comparto cinematografico. E mai come quest’anno sento la necessità di ringraziare l’infaticabile squadra che, continuando senza tentennamenti a lavorare, ha permesso di superare questo periodo complicato e di consegnare a voi un evento cinematografico incredibile e rutilante, in presenza, pensato e realizzato in piena indipendenza e autonomia, come nel nostro ventennale spirito” dichiara il direttore artistico Massimiliano Supporta.

Un Festival organizzato da persone che amano profondamente il cinema di genere e il cinema in generale, una manifestazione da supportare il più possibile.

Noi di Framescinema.com vi proporremo diverse minirecensioni dei film in programma, iniziando con due lungometraggi del concorso principale.

MIDNIGHT IN A PERFECT WORLD – CONCORSO LUNGOMETRAGGI

Manila, futuro prossimo. Inspiegabili blackout notturni colpiscono i quartieri. Si dice che chi si trova per strada nell’oscurità svanisca nel nulla. Quattro amici si rifugiano in una “safe house”, edifici-bunker in cui attendere che torni l’elettricità. Ma forse neanche lì sono al sicuro (fonte www.tohorrorfilmfest.it).

Non convince del tutto il nuovo film di Dodo Dayao, regista filippino, che costruisce una narrazione piena di spunti interessanti a cui manca però un vero e proprio obiettivo. Il regista inserisce elementi di fantascienza, di horror, di viaggi nel tempo e di politica all’interno dell’opera, cercando di sfruttare il genere per parlare di altri temi, tra cui quello della repressione effettuata dal presidente Duterte dal 2016 nella guerra alla droga, che ha portato all’esecuzione sommaria e senza processo di moltissimi tossicodipendenti. Il soggetto di base, con il pretesto dei blackout, è parzialmente ispirato all’opera Il silenzio di Don DeLillo ed è la storia di quattro amici che cercano di sopravvivere alla notte, fuggendo dalla polizia e da esseri alieni non meglio specificati, che man mano diventa una ghost story, dove il fantasma può essere costituito dallo Stato, che compie efferatezze nelle tenebre, o da sé stessi. E dunque la safe-house in cui è ambientata gran parte della vicenda diventa uno spazio mentale, rappresentazione del proprio io in cui rifugiarsi per rifiuto verso il mondo esterno, o forse la nostra mente è popolata da altrettanti mostri e dal senso di colpa e da nessuna parte si può trovare rifugio. 

Il comparto tecnico è di assoluto livello, con la prima parte dell’opera caratterizzata da lenti movimenti di macchina che diventano schizofrenici  nella seconda. Il cast è convincente e il lavoro fatto sul sonoro (aspetto migliore di tutta la pellicola) è di assoluto livello, con le musiche che si mescolano ai suoni alieni, a tratti ispirati a pezzi che sembrano prodotti da Aphex Twin, a tratti semplicemente inquietanti. Le poche sequenze horror funzionano, con gli esseri graficamente ispirati all’immaginario di Annientamento di Alex Garland e gli effetti visivi sono ben realizzati. Il problema è che Dayao costruisce una narrazione lenta, forzatamente autoriale, fornisce diversi spunti, ma non sembra portarne avanti neanche uno. Un’opera a metà e un’occasione mancata.

WE NEED TO DO SOMETHING – CONCORSO LUNGOMETRAGGI

Una famiglia resta bloccata nel bagno di casa dopo un devastante uragano; all’esterno, le macerie ostruiscono la porta. Passano i giorni, i soccorsi non arrivano e orrendi suoni inumani cominciano a provenire da fuori (fonte www.tohorrorfilmfest.it).

Il primo lungometraggio di Sean King O’Grady risulta essere una piacevolissima sorpresa, capace di giocare con i clichè del genere e a sorprendere positivamente. Il regista americano avvia la narrazione dipingendo la classica insopportabile famiglia americana composta da un padre rabbioso, una moglie benevola, una teenager ribelle e un figlio nerd, pronta a essere massacrata nella successiva ora e mezza. Tuttavia le dinamiche si sviluppano in una maniera non totalmente prevista, riuscendo a tratti a farci empatizzare con i personaggi e tratti a farceli odiare, ma non tanto per la l’antipatia in sé di ognuno di loro, quanto per la meschinità e l’ipocrisia che li caratterizzano, sempre pronti a creare scene melodrammatiche e di buon cuore per poi venire puntualmente contraddetti dagli eventi che accadono successivamente. Il film risulta essere un mix tra un film da camera, con quattro persone chiuse in una stanza per giorni mentre all’esterno sta probabilmente avvenendo l’apocalisse, e un monster movie, con il mostro di turno che provoca effetti diretti in un minutaggio limitato, ma che risulta immediatamente iconico grazie a una sola e semplice frase doppiata da Ozzy Osbourne, citato anche in altri due momenti della pellicola. Anche la narrazione parallela che viene portata avanti, unica incursione nel mondo esterno, in cui viene mostrata la vita della figlia Mel, inizia come un coming of age classico e degenera nel macabro, stupendo notevolmente nelle dinamiche e catturando l’attenzione dello spettatore. Il tutto viene condito dai classici riferimenti a quanto siamo delle nullità senza tecnologia e quanto siamo patetici nel negare l’evidenza pur di non accettare la realtà che il mondo sta andando allo scatafascio(riferimenti al cambiamento climatico?), mentre un paio di colpi di scena davvero ben assestati contribuiscono a elevare il risultato finale.

Dal punto di vista tecnico O’Grady opta principalmente per la camera fissa coadiuvata da un montaggio serratissimo, permettendo al film di non perdere ritmo e di far tenere gli occhi degli spettatori incollati allo schermo per tutta la durata della pellicola. Anche gli effetti speciali artigianali risultano essere ben realizzati e realistici, anche se le scene disturbanti mostrate risultano essere un po’ troppo gratuite. 

In conclusione un film godibilissimo, che non rivoluziona il genere, ma che ha l’intelligenza di non creare aspettative che non è in grado di soddisfare e di riuscire a divertire e intrattenere a dovere.

Questo articolo è stato scritto da:

Luca Orusa, Redattore