Il 23 novembre è stata rilasciata su Netflix Wednesday, lo spin-off della Famiglia Addams creato da Tim Burton. La serie ha riscosso subito molto successo, ottenendo un notevole riscontro mediatico soprattutto su Instagram e Tik Tok. Ci sono state tuttavia anche diverse polemiche, specialmente su Twitter, a proposito del rapporto tra Burton e l’inclusività nel cast. 

Il regista era già stato oggetto di accuse di razzismo in diverse occasioni, arrivando a dire nel 2021 in un’intervista alla festa del cinema di Roma che «Non si può più dire nulla. Credo sia una situazione opprimente per tutti. Personalmente non faccio caso a ciò che dico e non mi interessa nemmeno»

Con Wednesday nello specifico il problema secondo molti starebbe nell’aver rappresentato come negativi due personaggi (Bianca Barclay e Lucas Walker) interpretati da attori di colore (Joy Sunday e Iman Marson).

Per quanto sia giusto pretendere inclusività e rispetto nelle rappresentazioni seriali e cinematografiche è tuttavia il caso di chiedersi se assumere questa chiave di lettura in maniera assoluta non porti ad interpretazioni erronee, anche nei confronti dei propri obiettivi.

Dunque, due personaggi interpretati da attori neri sarebbero negativi, ma qual è il primo impatto che abbiamo con Bianca? Burton ce la presenta come una ragazza popolare, sicura di sé, circondata da amici e ancora coinvolta in un rapporto travagliato con il suo ex fidanzato Xavier. Non esattamente una persona emarginata e sola. La figura di Lucas Walker dà la medesima idea di un ragazzo con autostima e tranquillamente ambientato. Sarebbe necessario riflettere se queste caratteristiche non delineino un’immagine della comunità BIPOC ancor migliore di quanto avrebbe fatto proporre dei personaggi scialbi, privi di personalità e ipocritamente “buoni”.

LE SCELTE DEL CAST

L’universo narrativo creato da Tim Burton ha comunque un rapporto controverso con la rappresentazione inclusiva. Il regista infatti predilige da sempre attori bianchi e sebbene non l’abbia mai ammesso pubblicamente con queste parole, in molti credono che Burton ritenga le persone bianche, con il loro colorito e le loro caratteristiche, più adeguate al suo aesthetic. Samuel L. Jackson in “Miss Peregrine’s Home for Peculiar Children” (2016) e pochi altri casi sono peculiari eccezioni nella filmografia di Burton, che ha schiettamente criticato il concetto di “politically correct” a proposito della sitcom “La famiglia Brady”, ritenendolo nei fatti più offensivo degli stessi contenuti che cerca di regolare. In Burton la narrazione predomina e lo stile che vi si accorda è subordinato all’essenza del film.

 Things either call for things, or they don’t 

(Burton)

Anche questo punto suscita domande le cui risposte non sono affatto scontate e vanno a toccare tematiche sia etiche sia legate all’autorialità del regista. 

L’estetica di Tim Burton è uscita dagli schermi del cinema ormai da tempo, assumendo quasi più l’accezione di riferimento culturale che di stile di un autore. Lo straordinario successo del regista e la popolarità delle sue opere più significative hanno garantito longevità alla sua maniera, ormai parte di un vero e proprio immaginario comune. È quindi necessario chiedersi, fino a che punto questo universo appartiene ancora a Burton?  Un interrogativo che assume ancora più valore se riferito al presente che stiamo vivendo, caratterizzato da un’estrema facilità nella creazione di contenuti accessibili a chiunque sui social. Dunque, chiunque in qualità di fan voglia far proprio l’aesthetic di Tim Burton, magari richiamandolo con riferimenti precisi in foto e video postati, può farlo senza preoccuparsi dell’opinione del suo creatore. Una prospettiva questa che in realtà non era mai stata messa in discussione, diversamente dall’aspetto di questa polemica che riguarda nello specifico i film.

Alla domanda: «in quali colori sogni?» Tim Burton risponde: «bianco».

L’ULTIMA PAROLA STA AL REGISTA?

Pur realizzando opere per un pubblico vastissimo e variegato, è giusto che l’autore in quanto tale continui ad avere autorità sui suoi lavori, tanto più in un caso così legato al vissuto e all’interiorità del regista. Non si tratta di credere che “solo alle persone bianche capitino cose strane” o che “i neri non possano essere tristi”, come molti utenti hanno scritto negli ultimi anni sui vari social. È la visione del mondo di Tim Burton e se ne fossero mancate le basi (personaggi talmente bianchi da risultare quasi malati, atteggiamenti straniati, estetica goth, riferimento ai miti della sua infanzia) il cosmo che è stato poi amato dal pubblico non sarebbe mai esistito; inoltre, con Wednesday Burton ha dimostrato di riuscire comunque ad includere la diversità, solo si rifiuta di scadere nel banale. Ma come abbiamo detto, il suo modo di presentarci Bianca e Lucas, in fondo, è solo apprezzabile.

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Gaia Fanelli, Redattrice