In occasione dell’uscita al cinema di Decision To Leave, il nuovo film del regista sudcoreano Park Chan-wook, scopriamo assieme i 3 motivi per recuperare (o rivedere) Thirst, film del 2009 e che tutt’ora rimane fra i suoi titoli più sconosciuti e sottovalutati, nonostante la vittoria del Premio della giuria alla 62ª edizione del Festival di Cannes.
1 – Perché è la prima incursione del regista nell’horror
Thirst è uno dei film più atipici e spiazzanti di Chan-wook, è il film che non ti aspetti e che appare come un UFO nella sua filmografia, un vero e proprio Frankenstein audiovisivo di generi e di influenze da cui lo spettatore potrebbe uscire affascinato o (comprensibilmente) disorientato.
Chi si sarebbe mai aspettato che dopo il thriller politico J.S.A.: Joint Security Area (2000), l’ormai celebre “trilogia della vendetta” che lo ha tenuto impegnato dal 2002 al 2005 (Mr. Vendetta, Old Boy, Lady Vendetta) e la commedia romantica surreale Sono un cyborg, ma va bene (2006), il regista decidesse di immergersi a piene mani nella tradizione vampiresca?
Il film parla infatti di Sang-hyun, prete cattolico di un paesino coreano che si sottopone a una sperimentazione medica finalizzata a curare una malattia rara e mortale. Non tutto fila liscio e il pastore benvoluto da tutti i cittadini comincia a cambiare di aspetto e di mente, trasformandosi a poco a poco in un vampiro. Il suo cammino incrocerà quello della moglie di un amico d’infanzia, la giovane e bella Tae-ju, con la quale inizierà una relazione clandestina inesorabilmente destinata a degenerare sempre più in perversioni e fiumi di sangue.
Non c’è alcun castello dai pinnacoli aguzzi ma solo palazzi e scenari che non rinnegano assolutamente i tratti sudcoreani dell’ambientazione. Non arriverà nessun professore universitario a risolvere la situazione ma la battaglia è tutta interna ai protagonisti, in un continuo scontro fra Eros e Thanatos. Non c’è alcun gusto del gotico ma, anzi, la fotografia arriva persino ad abbagliare lo spettatore per mettere in risalto il rosso acceso del sangue, all’interno di stanze e di edifici che riflettono addirittura il gusto estetico prettamente “viscontiano” che da sempre Chan-wook dichiara come sua ispirazione; tutte queste peculiarità contribuiscono a donare al film un aspetto ancor più spiazzante delle stramberie di Sono un cyborg, ma va bene, perché se in quest’ultimo erano già preannunciati i toni surreali da commedia fantastica, ciò che sconvolge di Thirst è proprio il suo essere una mosca bianca all’interno del panorama horror.
Grazie alla rielaborazione dei diversi modelli di riferimento che emergono come pulsioni e sintomi, ma ciascuno col suo posto nel puzzle senza sovrastare l’altro, Park si appropria del genere e – pur cosciente di non poter accontentare tutti – lo plasma attraverso le chiavi del melò e della black comedy: la fede è sete, la spiritualità è carnalità.
2 – Perché il protagonista è interpretato da Song Kang-ho
Attore feticcio sia di Park Chan-wook – con cui aveva già collaborato in J.S.A. e Mr. Vendetta – sia di Bong Joon-ho, che con il successo mondiale di Parasite lo ha definitivamente consacrato al pubblico occidentale (pur avendo già dato prova di sé in Memories of Murder, The Host e Snowpiercer), l’attore sudcoreano Song Kang-ho sembra davvero essere sinonimo di qualità. L’accuratezza con cui sceglie i suoi lavori sconvolge ogni anno di più: è rintracciabile praticamente in ogni film sudcoreano di successo se aggiungiamo anche le collaborazioni con altri grandi maestri come Kim Ji-woon (The Quiet Family, Il buono, il matto, il cattivo, L’impero delle ombre) e Lee Chang-dong (Secret Sunshine), senza dimenticare il suo ruolo da protagonista nel bellissimo A Taxi Driver del meno conosciuto Jang Hoon.
Se Song Kang-ho ha pensato che Thirst fosse un bel progetto… chi siamo noi per dissentire?
3 – Perché aggiorna la figura del vampiro
Questo terzo punto è intrinsecamente legato al primo: la nascita iconografica su grande schermo con Nosferatu il vampiro (1922), ma anche grazie a Dracula (1931), oppure con Vampyr (1932), la prima satira con Per favore, non mordermi sul collo! (1967) poi le riletture politiche e sociali de Il buio si avvicina (1987) o The Addiction – Vampiri a New York (1995), per arrivare persino al suo innesto in generi e sottogeneri come nella commedia horror in found footage Vita da vampiro – What We Do In The Shadows (2014), la figura del vampiro è apparsa in ogni genere e in ogni salsa, mutando ruolo, tratti e simbologia nel corso di un intero secolo.
Ma in Thirst dimenticate le bare aperte, l’aglio, i crocifissi, l’acqua santa, qualsiasi elemento che vi riporti alla mente la figura vampiresca tradizionale: quelli di Thirst sono vampiri costretti a dover fare i conti con i loro dissidi interiori in continua tensione fra ricreazione e dissoluzione, fra eroticità e disfacimento, la cui fede religiosa si tramuta negli istinti carnali repressi e la cui ricerca di una cura è pura perversione.
Nel 2009, dopo quasi 90 anni dal primo storico vampiro visto su grande schermo, Thirst conferma che i mostri possono ancora essere oggetto di aggiornamenti e di riletture iconografiche senza risultare pedanti e già visti. Certo: se ti chiami Park Chan-wook!
Se vi abbiamo convinto e se avete perso Thirst al cinema durante la Park Chan-WEEK… non preoccupatevi! E’ disponibile sulla piattaforma MioCinema a questo link.
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