Ad oggi, Sydney Sweeney è una delle star più promettenti di Hollywood, a livello di bravura, ma anche di presenza: solo nel 2024, è stata protagonista di ben tre film usciti al cinema. I titoli in questione sono Tutti tranne te, Madame Web e Immaculate – La prescelta, e tutti quanti hanno fatto parlare di sé, nel bene o nel male. 

Lo stereotipo della bionda

Tutti tranne te di Will Gluck riprende Molto rumore per nulla di William Shakespeare per rivitalizzare il genere rom-com che da tempo non popolava più le sale cinematografiche. Sweeney ha partecipato come produttrice, rivelandosi fondamentale per la scelta del regista e della co-star Glen Powell (anche lui lanciassimo nel 2024 con Hit Man – Killer per caso e Twisters), nonché per il successo della pellicola, partita svantaggiata al botteghino per poi rivelarsi quella che si definisce una sleeper hit. Sorte opposta per Madame Web, ennesimo spin-off non richiesto dell’universo cinecomic Spiderman-Sony che ha tonfato al botteghino, e al quale Sweeney ha dichiarato di aver partecipato esclusivamente come attrice senza alcuna pretesa sul successo del prodotto.

Era marzo negli Stati Uniti, quando a distanza di poche settimane da Madame Web è uscito al cinema anche Immaculate – La prescelta, horror religioso che in Italia ha dovuto attendere luglio per arrivare in sala. Per promuovere quest’ultimo film, di cui Sweeney è anche produttrice con la sua compagnia Fifty-Fifty Films lanciata nel 2020, l’attrice è stata host del Saturday Night Live a marzo con una serie di sketch basati ironicamente sullo stereotipo della bionda. Sì, perché da quando ha interpretato la liceale iper-sessualizzata Cassie Howard in Euphoria, Sydney Sweeney è costantemente bollata, sminuita o criticata per le sue forme e per come decide di mostrarle.

Ma Sydney Sweeney è molto più di un bel corpo con i capelli biondi, e l’ha già dimostrato con eccezionali interpretazioni, una tra tutte quella di Cassie in Euphoria. È da perfezionare, invece, la scelta dei progetti: al di là del successo commerciale dei film a cui ha preso parte, a livello critico non ha ancora avuto ruoli da protagonista in opere che si possano definire indimenticabili. Se non altro, però, i suoi film hanno sempre qualcosa da dire.

Il controllo del corpo

In Immaculate, la novizia americana Suor Cecilia arriva in un convento sperduto nella campagna italiana per prendere i voti e rimanervi ad assistere le suore in punto di morte. L’incrollabile fede (e il carattere un po’ naïf) della giovane sono dovuti a un incidente capitatole da piccola, quando cadde in un lago ghiacciato e fu dichiarata morta per sette minuti, prima di risvegliarsi: secondo lei Dio l’ha salvata per uno scopo. Dopo una serie di stranezze e inutili jumpscare (cui l’adesione sembra obbligatoria per qualsiasi horror), Cecilia rimane inspiegabilmente incinta, e comincia ad essere venerata dalle monache come fosse una nuova Vergine Maria, ma dietro la sua immacolata concezione c’è ben poco di divino.

Questa è la premessa del film, che sulla carta può apparire interessante o meno secondo i gusti, e indubbiamente lo rende molto simile a Omen – L’origine del presagio, sesto film della saga horror di Omen uscito sempre nel 2024 incentrato anch’esso su una suora americana che ha a che fare con una strana gravidanza all’interno di un convento italiano. Entrambi i film costruiscono una metafora a partire dal tema di fondo della bodily autonomy, ossia il diritto di decidere cosa fare del proprio corpo (un tema che Sweeney, abbiamo visto, conosce bene). La filmmaker e critica cinematografica Bilge Ebiri ha giustamente fatto notare su Vulture come non ci sia da stupirsi se all’indomani del ribaltamento della sentenza americana Roe v. Wade sull’aborto (ribaltamento che ha leso le libertà delle donne su pressione delle lobby cristiane) siano usciti due film basati su personaggi costretti a gravidanze mostruose da parte di istituzioni religiose preoccupate per la loro crescente irrilevanza. Questo tema, nel film, è dato per assodato già nei primi istanti che coinvolgono la protagonista, con gli agenti dell’aeroporto che dichiarano un peccato che una ragazza così giovane e bella si faccia suora, e con il cardinale che forza Cecilia, inginocchiata davanti a lui, a baciarle l’anello per prendere i voti. Insomma, al di là del gusto personale (lo ripetiamo perché in fondo non si tratta di un capolavoro), Immaculate si inserisce perfettamente nella scia di horror politici che hanno qualcosa da dire oltre ai jumpscare

I pregi e difetti del film non finiscono qui. Certo, ci sono personaggi che entrano e escono senza spiegazioni, mutilazioni senza senso narrativo, e globalmente la materia risulta incoerente, ma a sua discolpa è evidente che il regista Michael Mohan abbia fatto i compiti a casa, omaggiando in più punti il classico horror all’italiana di Mario Bava, Lucio Fulci e Dario Argento (purtroppo senza i colori sgargianti di Suspiria, ma con una fotografia scialba e a implausibile lume di candela), anche se l’ispirazione più palese è Rosemary’s Baby di Roman Polanski, che in più punti viene nettamente richiamato. Anche il compositore della colonna sonora Will Bates contribuisce alla costruzione di un’atmosfera efficace, con un paio di sorprese nell’utilizzo di La dama rossa uccide sette volte di Bruno Nicolai e Carol of the Bells (sì, proprio il classico brano natalizio, usato in un contesto di forte straniamento). L’ultimo innegabile pregio del film è il coraggiosissimo finale, non tanto a livello narrativo quanto perché mostra qualcosa che non si vede tutti i giorni in un prodotto americano destinato al grande pubblico.

Attraverso la serratura

Immaculate non è il primo film che Sydney Sweeney realizza con il regista Michael Mohan: in precedenza avevano già lavorato insieme a The Voyeurs, thriller erotico del 2021 (disponibile su Prime Video) che strizza l’occhio a La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock e a Omicidio a luci rosse di Brian De Palma. Nel film una giovane coppia si trasferisce in un loft nel centro di Montreal e inizia a spiare per gioco la vita sessuale della coppia che abita nel palazzo di fronte, ma la loro curiosità finisce per trasformarsi in un’ossessione dai risvolti pericolosi (e improbabili a livello di sceneggiatura). Nemmeno The Voyeurs appartiene all’indice dei film indimenticabili (tutt’altro), ma anche stavolta, come Immaculate, il titolo ha qualcosa da dire sia sul piano estetico che su quello dei contenuti.

The Voyeurs è totalmente incentrato sul tema della vista e dello sguardo, con pupille che compaiono in continuazione (per una straordinaria coincidenza di sceneggiatura, la protagonista è un’oftalmologa), anche nelle frequenti transizioni che passano dalla ripresa di un occhio a quella di un uovo tagliato a metà, stabilendo un parallelo coltissimo con Un Chien Andalou. Numerose scene sono poi filmate in soggettiva attraverso un binocolo, ponendo lo spettatore nella stessa posizione di voyeur dei protagonisti. In fondo che cos’è lo spettatore cinematografico, se non un voyeur che entra nelle case dei personaggi spiandone una porzione di vita? Il tema del voyeurismo, inevitabilmente pruriginoso, sconfina poi nell’erotico, con un esplicito interesse della coppia protagonista per l’attività sessuale dei vicini. E così, improvvisamente, tutti noi diventiamo non solo spettatori di un film qualunque, ma spettatori di rapporti sessuali, che coinvolgono anche Sydney Sweeney, la stessa ragazzina iper-sessualizzata che spiavamo durante le scene più audaci di Euphoria.

Sweeney è entrata nel cast di The Voyeurs senza ruoli produttivi, ma poi è stata lei a richiamare Michael Mohan per dirigere il primo film prodotto dalla propria etichetta, perché insieme a lui sapeva esattamente che cosa voleva mostrare. Sia Immaculate che The Voyeurs, in fondo, parlano di Sydney Sweeney e del rapporto che la società occidentale ha (da secoli) con il suo corpo e con il corpo di qualsiasi donna. Vogliamo controllarlo, dominarlo, sopraffarlo, ma poi lo spiamo nudo attraverso il buco della serratura. E questo Sydney Sweeney lo sa bene.

Enrico Borghesio
Enrico Borghesio,
Redattore.