Una squadra di venti militari, un palazzone di quindici piani e un boss da sconfiggere. Quindici piani come le quindici parole che bastano per riassumere in una riga la tram(on)a di The Raid – Redenzione, il film a cui devono qualcosa probabilmente tutti i vostri film action contemporanei preferiti, o almeno quelli usciti dopo il 2011 (sì: c’è *coff coff* Mad max: Fury Road *coff coff* ma è un capolavoro con altri pregi).
Dove eravamo rimasti?
Stop. Alt. Procediamo per gradi e facciamo un attimo il punto della situazione del cinema action all’uscita di The Raid: c’erano una volta gli anni ‘80, l’Olimpo del cinema d’azione popolare, la base enciclopedica a cui fare riferimento quando si parla di bastonate (I Guerrieri della notte), smitragliate (Aliens), pistolettate (The Killer), rapine (Strade Violente), reducismo (Rambo) o survival (Predator). Poi qualcosa s’è arrestato, gli anni ’90 non hanno brillato per originalità e innovazione e sono funti principalmente da coda dell’action classico anni ’80 con il ritorno in scena di – più o meno – gli stessi registi (Verhoeven tornerà dopo Robocop con Atto di Forza, Cameron idem con Terminator 2 e True Lies, Die Hard vedrà due sequel, etc.). In fin dei conti una decade tutt’altro che deludente (non dimentichiamo Point Break – Punto di rottura, Speed e l’avvio della saga di Mission: Impossible) però senza quella carica iconografica dirompente degli 80s (che infatti non riusciamo ancora a lasciarci alle spalle), senza la creazione di un immaginario coeso e strutturato, senza le punchline tamarrissime che tanto amavamo.
Ma soprattutto, eccezion fatta per la saga di Tom Cruise, con meno pazzi scriteriati disposti a rischiare la vita eseguendo fisicamente ogni qualsivoglia follia acrobatica, gli stuntmen.
Ovviamente c’erano i film d’arti marziali a renderci felici come una Pasqua e ancora custodiamo gelosamente i santini di Tsui Hark o John Woo (che guarda caso farà la sua incursione nella saga Impossible con il secondo capitolo), ma prim’ancora di una pandemia globale c’era già un virus che iniziava a contagiare le celluloidi di tutto il mondo – o i file, per meglio dire, visto l’avvento delle macchine da presa digitali -: la CGI. Ecco quindi che a inizio anni 2000 le sorelle Wachowski settano gli standard produttivi dando vita alla corrente degli action fantascientifici emuli della saga di Matrix (penso a Io, Robot, per dirne uno), poi dai comics sono fuoriusciti gli eroi in armatura e calzamaglia assieme al loro universo condiviso, ma quella è una storia che conosciamo tutti. Gli effetti speciali stanno peggiorando, è un dato di fatto, oggettivo, incontrovertibile, ma la realtà è che si tratta di un malware facile da debellare, che colpisce soltanto chi ha le difese immunitarie basse e non sa come spalmare il budget. Così arriviamo a The Raid – Redenzione. Are you ready? Pronti, partenza, via!
Una gita in Indonesia
Prima di darvi le solite doverose informazioni sulla produzione del film, sul regista, sugli interpreti, sulla colonna sonora e via dicendo, vorrei offrirvi un breve affresco mentale di quello che troverete al suo interno: arti recisi, ossa spezzate, sgozzamenti con cocci di lampadine, frigoriferi usati come bombe, neckbreaker sopra frammenti di porte sfondate e ovviamente tanti colpi di pistola (ma non troppi). Di primo impatto starete pensando a qualche variante movimentata di Saw – L’enigmista, ma vi dispiace deludervi. Anzi no, non dispiace più di tanto perché a livello di gore – sembrerà strano – The Raid alza ancor di più l’asticella rispetto al primissimo film di James Wan. E sì, sì, tranquilli: è un action. In tutto e per tutto. Ma andiamo con ordine. Era solo per mettervi in allerta con la stessa espressione del Two Soyjaks Pointing meme.
D’altronde è lo stesso regista ad averlo inizialmente pensato come un horror (coronerà il sogno di girare un film dell’orrore nel 2018 con Apostle), ma l’idea è cambiata per via del budget modesto di poco più di 1 milione di dollari. Avete ragione, non vi ho ancora detto chi è il regista! Se avete visto il dittico di The Raid – Redenzione e The Raid 2: Berandal lo conoscete già, altrimenti è un nome in cui potreste non esservi mai imbattuti. Si chiama Gareth Evans, è gallese, e a soli trent’anni ha deciso quatto quatto di volare in Indonesia per creare uno spartiacque del cinema action contemporaneo. La sua storia non è nulla di entusiasmante, lo è quello che si è inventato: mentre girava un documentario sull’arte marziale indonesiana del Pencak Silat ha conosciuto il carro armato umano (all’epoca) ventiseienne che porta il nome di Iko Uwais, esperto di Silat ma che ai tempi lavorava come fattorino per una compagnia telefonica. Uwais, capitato nelle grazie dell’esordiente regista, viene scelto nel 2009 per Merantau, un film – rullo di tamburi… cresca la suspense… non potrete mai crederci… – di arti marziali! La formula è vincente, Merantau convince chiunque, il nome di Evans si diffonde fra i produttori e appena l’anno dopo iniziano le riprese di The Raid – Redenzione.
Tutti i gusti, per ogni palato
Lo so, vi ho mentito, quella di prima era una falsa partenza, ma ora cominciamo per davvero: a Jakarta l’ufficiale Rama (Iko Uwais) guida la squadra delle forze speciali indonesiane in una “irruzione mortale” (come cita il titolo originale, Serbuan Maut) dentro a un condominio fatiscente per catturare il boss della malavita, Tama Riyadi (Ray Sahetapy). Il gruppo di uomini in divisa viene decimato in fretta e presto Rama passa da predatore a preda. Tutto qui? Sì, tutto qui, per fortuna. Cos’è che ci interessa di The Raid? Tutto, in sostanza, a partire dalla sacra arte del Pencak Silat, e dico sacra in modo ironico ma mica troppo: nel dicembre 2019 è stato inserito dall’UNESCO tra i “Patrimoni intangibili dell’Umanità” (quelli orali e immateriali) e quindi che bello che ora lo conoscete anche voi. Che bello poter contribuire alla sua divulgazione: una sorta di muay thai molto più estremo, con rotture articolari a impatto (qui National Geographic ci delizia brevemente coi diversi danni che può arrecare ai nostri arti), colpi di coltello o – perché no? – anche di machete.
E come mai all’inizio ho citato le pistole? Perché in realtà c’è un po’ di tutto, pugni, mazzate, lame, proiettili, uno di quegli apparenti guazzabugli di influenze che da massa amorfa si tramutano in un unicum da ammirare e venerare. Perché questo bisogna fare con The Raid: osservarlo, studiarlo in ogni singola inquadratura, capire come Evans riesca a rinchiudere tutti in un palazzo e rendere fluida la narrazione costruendo raccordi con telecamere di sicurezza o altoparlanti – coi quali si cita l’iconica sequenza de I Guerrieri della Notte, ancor prima di John Wick 4.
Se nella prima decade del nuovo millennio il panorama action statunitense era indomitamente conquistato dalla camera a mano di Paul Greengrass (saga di Bourne), Gareth Evans non cede all’esigenze più schizofreniche del cinema d’azione pop (europeo o made in USA che dir si voglia) e crea il gotha del connubio tra tradizione occidentale e orientale: la camera a mano serve per catapultarci dentro alle sparatorie o per pedinare il corpo strisciante del nemico prima che venga trafitto da cinque o sei coltellate, mentre quando si parla d’arti marziali capiamo quanto Evans abbia studiato i maestri togliendo frenesia ai movimenti, preferendo piani sequenza che non perdano mai mezzo frame, piazzando la cinepresa sul soffitto se siamo in un corridoio, seguendo l’azione con carrellate orizzontali quando il corpo viene scaraventato lateralmente, centellinando l’utilizzo della computer grafica (in fin dei conti usata solo per i flash delle pistole e per i bossoli), e soprattutto gestendo alla perfezione il ritmo nei momenti di tensione con lenti zoom in avanti o indietro (l’influenza horror si nota eccome).
Il lavoro coreografico dei due attori Iko Uwais e Yayan Ruhian rende ogni combattimento realistico, ogni colpo concreto, ogni stilettata vera, mettendo in piedi un lavoro di stuntmen che farà scuola negli anni a venire (Atomica Bionda, Io sono nessuno, Deadpool, Tyler Rake, John Wick) e che verrà superato solo dal regista che a settant’anni ha deciso di rendere la Namibia un nuovo manifesto del cinema d’azione (George Miller).
Il più bel videogame movie non è tratto da un videogame
Una delle cose più interessanti di The Raid è probabilmente quella che elettrizzerà soltanto i nerd più sfegatati: se avete giocato ad almeno un videogioco action-picchiaduro in vita vostra conoscete bene la soddisfazione nel dare botte da orbi ai nemici col solo obiettivo di passare i livelli e poter finalmente disintegrare il boss finale, e se eravate già andati in visibilio con John Wick 4 e la sua (magnifica) aperta citazione al videogioco “The Hong Kong Massacre”, The Raid ha grandi chance di diventare uno dei vostri film preferiti: avete presente la torre da scalare nella serie di Mortal Kombat? Ogni piano ha un nemico da sconfiggere e se lo batti passi a quello successivo, in pratica la trama di The Raid.
Si parte con le cut scenes introduttive di Rama, breve sipario sulla sua vita privata, la moglie incinta, il briefing in furgone con i colleghi armati e poi si parte con la mattanza più assoluta. Bisogna arrivare in cima al palazzo, ciascun piano è un livello, i nemici sbucano dal nulla, da ogni angolo, più si sale e più diventano forti, ci sono addirittura il civile da scortare, il checkpoint restart quando cadi giù da un piano all’altro, le fatality da eseguire, altre (brevissime) cut scenes per dare una parvenza di approfondimento psicologico a Rama e al fratello e poi giù ancora a menare fino al boss finale: Mad Dog (Yayan Ruhian), che come in ogni videogioco che si rispetti necessita di un sodale compagno di rissa per essere sconfitto. E vi dirò di più: l’interprete Ruhian, oltre ad avere un codice etico ultra cool come i migliori villain dei videogiochi (niente uccisioni con proiettili, solo a mani nude) è anche il vero ponte fra The Raid e John Wick, dal momento che nel terzo capitolo interpreta uno dei due shinobi che danno del filo da torcere al caro John.
Insomma, avete capito, se volete sapere vita, morte e miracoli dei protagonisti sicuramente The Raid non è il film per voi. O forse lo sarà comunque, perché, fidatevi, la tangibilità delle coreografie assieme alla regia e al montaggio di Evans riescono a farti preoccupare per Rama&Co. come fossero tuoi familiari, oltre che farti uscire con due o tre costole rotte. E tutto questo in appena 101 minuti. Ah, già, quasi dimenticavo: The Raid dura solo 101 minuti! Ma vi rendete conto? Un film action contemporaneo di meno di due ore? Ogni tanto pensate al fatto che John Wick 4 ne dura quasi tre? Io ci penso, spesso. Soprattutto prima d’addormentarmi, nel buio della mia cameretta fisso il vuoto e rifletto sui 170 minuti dell’ultimo film con Keanu Reeves, penso a quanto mi piace, a quanto sia la comfort zone di molti di noi appassionati, a Scott Adkins nei panni dell’energumeno Killa, a Reeves che vola giù dalle scale del Sacré-Cœur ricominciando dal checkpoint (proprio come Rama). E il senso di colpa cresce, aumenta d’intensità, fino a creare fitte allo stomaco. Sto male. Il film continua a piacermi, eh, per carità. Anche tanto. Però era tutto già visto. Tutto già fatto. Con 70 minuti di meno. La saga di John Wick ha tanti altri punti di forza, sicuramente, ma i debiti che deve a Gareth Evans sono tantissimi (e li trovate tutti qui). Gli States hanno comunque cercato di emulare pari pari The Raid ma, Dio ce ne scampi, il remake americano diretto da Patrick Hughes non ha mai visto la luce (lo stesso de I mercenari – The Expendables e di Come ti ammazzo il bodyguard… mica pizza e fichi…). Ad ogni modo, per contrappasso, Evans ha deciso di illuderci tutti: paventando di voler rendere il dittico una trilogia, The Raid 3 non uscirà. Dopo essere tornato in Galles non ha più voluto prendere in mano il progetto accantonando il plot di base che aveva già dichiarato a Collider nel 2020. Non disperatevi, c’è sempre il secondo capitolo da recuperare! Molti critici lo definiscono un epic crime: epico lo è, senza dubbio, e contiene molto più crime del primo. La definizione calza a pennello. Quale preferire starà a voi deciderlo… io me li tengo stretti entrambi.
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