The Lighthouse, il secondo film del regista statunitense Robert Eggers, esce nel 2019 e guadagna velocemente un successo notevole. Il tormento psicologico dei protagonisti, durante la loro permanenza su un isolotto come guardiani di un faro nei pressi del New England, riesce da subito ad affascinare il pubblico. L’altro aspetto a cui il film deve la sua grande popolarità (e grazie a cui ha potuto contare diverse candidature per molti riconoscimenti) è certamente la fotografia, fortemente legata a una composizione dell’inquadratura tramite cui Eggers si rifà a precise ispirazioni pittoriche.

SASCHA SCHNEIDER E IL SIMBOLISMO

Il pittore e scultore tedesco Sascha Schneider (1870-1927) rappresenta una delle maggiori influenze presenti nel film. La sua arte è caratterizzata da una ricerca della bellezza fisica ideale, ossessione generatasi in lui a undici anni in seguito a un grave incidente alla schiena. A Dresda, dove si trasferì per frequentare l’Accademia nel 1889, conobbe Max Klinger. L’artista, caratterizzato da uno stile simbolista angosciante e inquieto, influenzò Schneider in maniera evidente. Una poetica quasi pre-surrealista (sebbene lontana dalle riflessioni sull’inconscio che avrebbero contrassegnato il movimento) si unisce a un’esaltazione della bellezza dei corpi maschili per rappresentare la volontà di liberazione dall’oppressione sociale. Schneider, infatti, fu costretto a spostarsi in Italia nel 1908 a causa della sua omosessualità, che in Germania era ritenuta reato. Qui la sua produzione cambiò, lasciando da parte la dimensione disturbante e demoniaca per guardare all’antico come modello e rifarsi all’estetica neoclassica enunciata da Adolf Von Hildebrand.

Il suo Perseo e Andromeda del 1924 è una delle ispirazioni visive principali del film, insieme a Il silenzio del mare (1887) di Arnold Böcklin e a un disegno senza titolo del 1888 di Jean Delville che mostra uno stormo di uccelli sul corpo di un uomo. 

Tuttavia, l’opera che Eggers richiama esplicitamente è Hypnosis, del 1904. Nel film Thomas Wake, nudo, irradia luce dagli occhi sul volto di Winslow in una sequenza onirica che mostra l’inquietante follia in cui i due protagonisti scivolano. Il disegno è ricreato in modo quasi perfetto. Il soggetto, la composizione, la luce sono i medesimi, direttamente trasposti sullo schermo. Questo esempio del primo periodo pittorico di Schneider (prima del suo viaggio in Italia) contiene tutti gli elementi caratteristici della sua arte giovanile, e si presta perfettamente a mettere in risalto le atmosfere cupe che il film vuole trasmettere. Un omaggio diretto di questo tipo sposta la narrazione dalla dimensione della realtà a quella di un sovrannaturale sconosciuto, in grado di portare l’uomo alla dissennatezza. 

JEAN DELVILLE E IL MITO DI PROMETEO

Dopo Schneider, Egger richiama esplicitamente il pittore belga Jean Delville, grande esponente del movimento simbolista. Scrittore e filosofo oltre che artista, ebbe un grande successo accademico e fu ammirato per la sua convinzione che l’arte dovesse essere espressione di verità e bellezza spirituali. Le sue opere e i suoi scritti aspirano proprio a mettere in risalto questa concezione idealista per cui è necessario guardare oltre la realtà comune, con temi di vario genere che toccano spesso la religione e il mito

Nel film, il suo disegno senza titolo del 1888 è, al pari di Hypnosis, ricreato nel dettaglio, ed è forse legato a una simbologia ancor più importante. Il protagonista dell’opera, infatti, sembra essere Prometeo, e non è difficile notare un’identificazione tra il personaggio della mitologia greca ed Ephraim Winslow, particolarmente avvalorata dalla scena del disegno. Secondo il mito, Prometeo venne condannato a farsi mangiare il fegato ogni giorno da un uccello, dopo aver tentato di rubare il fuoco degli dei per darlo agli uomini. Anche Winslow sembra subire una punizione del genere dopo aver cercato di rubare la luce del faro a Thomas Wake, il quale è facilmente assimilabile in questo contesto alla figura di Poseidone. 

HOPPER E VAN GOGH

Da un punto di vista prettamente scenografico invece il regista sembra essersi basato su The Lighthouse at Two Lights del 1929 di Edward Hopper. L’artista fu un importante esponente del realismo americano e divenne popolare per il senso di solitudine e malinconia inquieta che riusciva a trasmettere con dipinti apparentemente sereni e colorati. Sembra perfettamente inserito allora, al di là di una prima impressione, nella dimensione creata dal film, e non sorprende che Egger possa aver preso spunto proprio da questo artista..

Il personaggio di Wake, invece, esteticamente ricorda molto un altro famoso personaggio della storia dell’arte: il postino Joseph Roulin dipinto da Van Gogh nel 1888. Che il regista vi si sia ispirato per i costumi del suo personaggio non è sicuro e l’analogia appare anche meno evidente che nei precedenti confronti; tuttavia, determinati dettagli sono molto somiglianti e certamente fa sorridere un paragone simile. 

Van Gogh dipinse svariate volte Roulin insieme ad altri membri della sua famiglia. Il postino lavorava ad Arles, e Vincent, dopo essersi trasferito nella stessa città nel 1888, si sentì immediatamente legato a lui da un grande affetto. Il pittore vedeva in lui la personificazione dei valori che avrebbe voluto come fondamento della propria vita: gentilezza, noncuranza della cattiveria altrui e amore per i piccoli piaceri della vita. La forte e tenera amicizia che legò i due è rappresentata perfettamente anche nel film Loving Vincent (Dorota Kobiela e Hugh Welchman, 2017).

La fotografia drammatica di Jarin Blaschke (basata su fonti di illuminazione intradiegetiche, come ha dichiarato lo stesso Eggers) viene quindi messa al servizio del mondo interiore del regista, per recuperare, reinterpretare e rifarsi a linguaggi altri rispetto al cinema ma che allo stesso modo possono colpire lo spettatore e giocare con le sue sensazioni. 

Questo articolo è stato scritto da:

Gaia Fanelli, Redattrice