Gli anni ‘80 non furono certo l’epoca più facile per la Walt Disney Company. Nonostante il capostipite Walt fosse morto nel 1966, i successivi 10 anni, almeno per quanto riguarda il comparto animazione, furono una naturale prosecuzione degli ultimi anni di vita del grande capo. Gli Aristogatti e Robin Hood raccontavano le stesse storie scanzonate trattate nel decennio precedente, e il personaggio di Winnie the Pooh era tornato a cadenza regolare al cinema. Già Le Avventure di Bianca e Bernie, nonostante il progetto fosse già stato avviato sotto Walt, presentava un’atmosfera più cupa e meno rassicurante, nonostante la presenza naturale di animali e bimbi nel film e un cattivo più buffo che minaccioso; il successivo Red e Toby–Nemiciamici, estremamente più semplice e drammatico, segnava un meraviglioso cambio di registro. Tuttavia nessuno di questi film fece faville al botteghino. Al contempo i Nine Old Men (gli animatori storici dello studio che avevano preso in mano le redini dopo la morte di Walt) stavano gradualmente passando il testimone alle nuove leve e il film successivo per questi ultimi sarebbe stato il taglio definitivo del cordone ombelicale.
Tutto questo mentre i vertici della Company erano tutt’altro che saldi. Ron Miller, genero di Walt, era stato costretto a rassegnare le dimissioni nel 1984, sostituito da Frank Wells come presidente e da Michael Eisner come CEO. Roy E. Disney (nipote di Walt) assume la carica di Vicepresidente e di Capo del Reparto Animazione assistito da un rampollo della Paramount e di Eisner, Jeffrey Katzenberg, una figura di cui si parlerà molto spesso in seguito. Nel 1985 esce quindi Taron e La Pentola Magica, tratto dalla saga fantasy Le Cronache di Prydain di Lloyd Alexander.
Il film deve sopportare il confronto con due film animati usciti pochi anni prima. Uno di questi è Brisby e il Segreto di Nimh, diretto dal profugo Disney Don Bluth, meravigliosa coniugazione tra atmosfere magiche, scienza e natura in un film meraviglioso da riscoprire. L’altro, molto più evidente, è Il Signore degli Anelli diretto da Ralph Bakshi.
Non è certo uno scoop che la prima scelta della Disney per un film fantasy fosse la meravigliosa epopea della Terra di Mezzo (quarant’anni prima di Peter Jackson lo stesso Walt aveva corteggiato personalmente Tolkien, che rimandava le offerte al mittente senza celare il suo disprezzo per i film Disney). Diverse furono le risposte date a Ralph Bakshi, regista amante del pulp e dell’underground che realizzò un film tanto affascinante quanto incompleto. Il film copriva infatti la prima metà della trilogia, fermandosi quindi nel pieno della narrazione de Le Due Torri (prima della Battaglia del Fosso di Helm). Il Ritorno del Re, così come Lo Hobbit vennero adattati in seguito in due raccapriccianti e fortunatamente dimenticati film televisivi dello studio Rankin/Bass. La Disney intanto, scelse di virare su Le Cronache di Prydain di Lloyd Alexander, epopea fantasy in 5 libri, ambientata in un Galles medievaleggiante e fantasy (Prydain è appunto uno dei nomi celtici per indicare la Gran Bretagna, e la pentola magica è un topos della mitologia celtica, che ha ispirato anche il paiolo di Asterix). La scelta è quella di adattare solo i primi due romanzi: Il Libro dei Tre e Il Calderone Nero.
Taron è un giovane adolescente e vive in una fattoria ai margini di una grande foresta insieme all’anziano Dalben. Il suo sogno è quello di diventare un grande guerriero per combattere contro il malvagio Re Cornelius, il re di tutte le forze del male. Improvvisamente Taron scopre che la sua maialina Evy ha il potere di creare delle visioni e per questo il Re Cornelius la rapisce per cercare la Pentola Magica, oggetto stregato a lui necessario per creare un esercito di non morti. Taron deve impedire tutto questo, e sul suo cammino incontrerà vari alleati.
Il film fu un flop gigantesco, superato perfino al botteghino da Gli Orsetti del Cuore, e venne stroncato dalla critica, spingendo la Disney a pensare seriamente di chiudere il reparto animazione. E certamente il film è pieno di difetti.
La complessità di non uno, ma ben due romanzi high fantasy, difficilmente può essere resa in un film di un’ora e mezza: ogni risvolto di trama appare frettoloso e poco curato, impedendo allo spettatore di immergersi nella vicenda, effetto indotto anche dai numerosi rimontaggi a cui il film fu sottoposto (nonostante in animazione non si possa “rifare una scena da zero” in tempi brevi).
I dialoghi inoltre non aiutano. Già confusi e banali in originale, nella versione italiana la sintassi è a tratti imbarazzante. Ma il problema peggiore del film è sicuramente la poca cura con cui sono stati scritti i suoi personaggi.
Taron è un rip-off estetico dei vari adolescenti Disney dei vent’anni precedenti (Semola, Mowgli, Christopher Robin); la “principessa” Ailin è una versione preadolescente della Bella Addormentata, tenuta prigioniera dal Re Cornelius perché in possesso di una pallina luminosa di cui non si sa nulla; il bardo Sospirello è una spalla comica insufficiente e i dialoghi tra loro tre sono inutilmente enfatici e puerili. I personaggi più misteriosi e interessanti come Dalben, Evy e il Re Cornelius non vengono approfonditi a sufficienza, mentre il jolly comico Gurghi è forse il personaggio più detestato dagli appassionati Disney.
I pochi pregi del film si possono individuare soprattutto nell’atmosfera generale data dal prologo (a cui sfortunatamente non è stato dato respiro), nelle musiche e nelle scenografie a cui avevano lavorato anche dei giovani come Andreas Deja, John Lasseter e Tim Burton. Il character design dei personaggi non realistici è abbastanza efficace anche se poco ispirato (e l’animazione è a tratti abbozzata), e si vedono i primi effetti in CGI, oltre a un ritorno al formato panoramico dopo anni. Ma la poca competenza degli sceneggiatori e dei registi, che infatti non avranno una lunga carriera in Disney (Ted Berman cambierà strada, Richard Rich da trent’anni non fa altro che dirigere sequel de L’Incantesimo del Lago) ha contribuito al disastro di un film che avrebbe potuto sancire la fine dell’animazione Disney come la conosciamo oggi. Sicuramente non è un film riuscito, ma è un’opera che merita di essere ricordata.

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