La rassegna “Suso Cecchi D’Amico: Scrivere su Misura”, presentata al Festival del Cinema Ritrovato di Bologna, offre uno sguardo sull’opera della più grande sceneggiatrice del cinema italiano.

Suso Cecchi D’Amico nasce a Roma nel 1914, col nome di Giovanna Cecchi, in una famiglia di artisti: il padre Emilio Cecchi era uno scrittore; la madre, Leonetta Pieraccini, una pittrice. Frequenta il Lycée Chateaubriand, lavora in alcuni uffici pubblici in gioventù e nel 1938, a 24 anni, sposa Fedele, figlio di Silvio D’Amico, di cui prenderà il cognome.

Inizia a scrivere sceneggiature, firmandosi inizialmente Susy D’Amico, nella prima metà degli anni ’40. La sua prima sceneggiatura mai giunta sullo schermo si intitola Avatar, tratta da Theophile Gautier, e il primo film effettivamente realizzato con la partecipazione ai testi della nostra è Mio Figlio Professore di Renato Castellani nel 1946. Suso lavorerà ininterrottamente per 60 anni collaborando con tutti più grandi registi italiani tra cui Zampa, Lattuada, Camerini, Pietrangeli, Antonioni, Visconti, Fellini, De Sica.

Come raccontato dal figlio Masolino, curatore insieme alle sorelle Caterina e Silvia della rassegna dedicata alla madre nell’ambito del Festival del Cinema Ritrovato di Bologna:

Quella dello sceneggiatore è un’attività servile, nella quale non a caso romanzieri affermati, orgogliosi della qualità della loro pagina, si sono trovati a disagio. Tutti, scrittori e sceneggiatori, mettono nella preparazione del film il loro talento oltre che per inventare storie, per riprodurre la vita, per entrare nella testa delle persone; e i registi piegano questo talento ai loro fini. Ecco, forse, mi sono detto, dov’era la marcia in più di mia madre, sempre tanto richiesta. Lei univa alla sua capacità di capire e conoscere la gente e il mondo esterno, quella di  capire anche il regista che l’aveva chiamata, e quello che costui aveva in testa. Era una psicologa di registi. Sapeva, o presto imparava, cosa voleva Visconti, cosa Blasetti, cosa Zampa. Così penso che il vero omaggio che le si può rivolgere non consista tanto nel cercare la sua mano, mano che lei non esibiva affatto, in questo o in quel film, ma nel passare in rassegna un numero di pellicole diverse tra loro quanto i registi con cui lei lavorò: registi che appunto, possiamo pensare anche grazie al suo aiuto, in quelle occasioni diedero il meglio di sé.

Il modus operandi dell’epoca prevedeva la collaborazione di numerosi sceneggiatori, tanto che risulta spesso difficile risalire alla genesi di una battuta o di un dialogo, tuttavia il tocco inconfondibile di Suso Cecchi D’Amico la rende la più grande sceneggiatrice della storia del cinema italiano, seconda forse solo a Cesare Zavattini.

E proprio con Zavattini Suso aveva partecipato nel 1948 alla sceneggiatura di Ladri di Biciclette. Una sceneggiatura nata dalle esperienze dirette, dall’osservazione della strada e dei suoi personaggi poi trascritti dagli sceneggiatori. Tutti coordinati da De Sica con uno Zavattini che cercava di tenere le redini del tutto, con la convinzione che la paternità di un film non potesse essere lasciata in mano al solo regista. Gli sceneggiatori erano numerosissimi, alcuni non avevano quasi messo mano ai dialoghi, ma allora andava così. Forse il contributo di Suso al film fu eccessivamente ridimensionato rispetto a quello di Zavattini, ma non era certo trascurabile.

Suso inoltre capì come nessun altro le potenzialità di Anna Magnani sullo schermo, soprattutto nella commedia drammatica.

Ad esempio L’Onorevole Angelina di Luigi Zampa del 1949, ispirato a dei fatti di cronaca, proteste mosse soprattutto da donne nella periferia romana ci mostra la nostra eroina improvvisarsi leader politica per farsi carico delle necessità della sua gente. L’Onorevole Angelina è forse la più politica tra le commedie neorealiste. In bilico tra femminismo e conservatorismo familista, tra pulsioni rivoluzionaria e rinuncia al populismo, vediamo Angelina scatenare guerre, deludere ed essere delusa, passare da popolana a condottiera, per poi crollare e risalire. Non c’è fiducia nel cambiamento, ma c’è speranza. Anche se la speranza porta rinunce. Angelina deve rinunciare alla politica per riuscire a tenere in piedi la sua famiglia, suo marito rinuncia alla sua posizione di pater familias per riconciliarsi con la moglie, perfino il borghese (qui umanissimo) rinuncia ai suoi profitti. Gli individui si sacrificano per il bene della collettività che tuttavia non tarda a mostrarsi rabbiosa e ingrata verso chi si è esposto per essa. Ma come spesso avviene in questo tipo di cinema italiano, tutto si perdona.

Nella Città L’Inferno di Renato Castellani (1958) invece vede la Magnani interpretare Egle, un’assidua frequentatrice del carcere romano di Rebibbia. Ispirato al romanzo autobiografico Via delle Mantellate di Isa Mari, il film è frutto del grande lavoro di documentazione di Suso Cecchi D’Amico che ha passato molto tempo negli ambienti della piccola criminalità.

A metà tra il neorealismo e il cinema verità (molte delle comparse sono vere detenute) il film nella sua apparente amarezza è in realtà un acquerello di amicizia e cameratismo femminile.

Le detenute sono tutte amiche e amorevoli tra loro, non c’è ostilità nemmeno verso suore e sorveglianti o verso chi cerca di approfittarsi dell’altra, la stessa Cecchi D’Amico disse che “i criminali le sembravano tutti simpatici”. Sembra che nessuna di loro voglia davvero andarsene, che la vita di carcere sia migliore delle alternative di miseria e sopraffazione nel mondo esterno. Il carcere, al contrario dell’Italia del dopoguerra, in questo film non sembra una giungla crudele in cui combattere per la sopravvivenza. Difficile crederlo, ma il fascino resta.

La collaborazione più iconica tra Suso e Anna resterà sicuramente Bellissima, di Luchino Visconti (1951). Il tramonto del neorealismo. La borgata romana volge per la prima volta esplicitamente lo sguardo al cinema. Anna Magnani all’apice della sua carriera interpreta una madre che carica sulle spalle di sua figlia sogni e aspettative da stella del cinema. Sono i sogni della madre che nemmeno lei sapeva di avere. Si accettano inganni, umiliazioni, miseria e a tratti anche la violenza. Anche qui il finale sembra assolvere tutti, come ogni film italiano. Sembra sempre che non ci sia spazio per i cattivi.

Visconti dirigerà nuovamente la Magnani, nei panni di sé stessa e su sceneggiatura di Suso in Anna, episodio del film collettivo Siamo Donne (1953) in cui vediamo la nostra attrice in un banalissimo litigio con un tassista dagli effetti esilaranti.

La versatilità di Suso le permette di spaziare dalla desolazione umana nelle opere di Michelangelo Antonioni come I Vinti (1952), fino a storie prettamente napoletane (ambiente a lei familiare) come il film di camorra Processo alla Città (Luigi Zampa, 1952) o il melodrammatico La Contessa Azzurra (Claudio Gora, 1960) Interessante notare in entrambe il ruolo del protagonista Amedeo Nazzari, grande amico di Suso. Se ne La contessa Azzurra vediamo il classico donnaiolo mediterraneo, in Processo alla Città vediamo un uomo solo contrastare una città intera, cercando di bonificare un clima infame senza potersi fidare di nessuno. Suso non apprezzò il casting di Nazzari, figura troppo sicura di sé che poco si prestava ad essere “sconfitto in partenza”.

Nella fase di levante della sua carriera, nel 1984, dopo aver toccato Boccaccio e Casanova, troviamo quello che è probabilmente il più grande film di donne della storia del cinema italiano. Certo, il regista è un uomo, Mario Monicelli, così come quattro sceneggiatori su cinque, ma il tocco di Suso e un cast corale in cui spiccano Liv Ullman e Catherine Deneuve rendono unico Speriamo Che sia Femmina. Film crepuscolare, amaro: un pezzo di cinema nordico trapiantato in Toscana. L’aristocrazia contadina ormai allo stremo, una banda di donne in cerca di se stesse (senza uscire dalla propria tenuta possibilmente) con un contorno di maschi imbecilli. Film anni Ottanta nato vecchio, contro il nuovo che avanza, ma dal fascino unico, e meraviglioso testamento di una meravigliosa autrice.

Nicolò_cretaro
Nicolò Cretaro,
Redattore.