Nella storia del cinema fantascientifico esistono pellicole che, mettendo in scena dinamiche e scenari futuribili, si rivelano essere in realtà rappresentazioni tristemente profetiche, anticipando aspetti spesso critici e disfunzionali della realtà contemporanea, anche con decenni di anticipo.
E’ sufficiente pensare a film come Videodrome (1983) e eXistenZ (1999) di Cronenberg, che hanno in qualche modo preannunciato rapporti malati tra umano e tecnologico, per capire come il genere Sci-Fi sia in grado di riflettere non solo sulla società futuro prossimo e non, ma anche su quella del presente.
Appartiene a questa cerchia di grandi opere anche il film oggetto dell’analisi qui proposta, ovvero Strange Days della grande Kathryn Bigelow, datato 1995, il quale si inserisce nel solco di pellicole capostipiti – perlomeno a livello di atmosfere cyberpunk – come Blade Runner (1982) o 1997: Fuga da New York (1981) per raccontare gli ultimi due giorni del 1999, in un mondo violento e allo sbando, che teme l’Apocalisse profetizzata con l’arrivo del nuovo millennio.
Sceneggiato da James Cameron e Jay Cocks, il film segue la storia di Leonard “Lenny” Nero (un Ralph Fiennes in stato di grazia), che è il più importante spacciatore della droga più diffusa e consumata a Los Angeles, ovvero dei piccoli floppy-disk che permettono di vivere – virtualmente– esperienze reali registrate in POV da altre persone, da una semplice corsa sulla spiaggia, fino ad una rapina al cardiopalma in un quartiere malfamato.
Il ritrovamento di una di queste clip, contenente un misterioso e terribile omicidio, spingerà Lenny ad addentrarsi e ad indagare nel più profondo mondo criminale, sullo sfondo di una città segnata da violentissime rivolte sociali, mentre l’Apocalisse – forse – è alle porte.
N.B. L’analisi del film in questione conterrà spoiler, invitiamo chi non lo avesse visto a recuperarlo per non perdersi uno dei capolavori degli anni ’90, se non forse anche qualcosa di più.
VIRTUALITA’ E REALTA’: UNA SOVRAPPOSIZIONE CONTEMPORANEA
Nonostante sia uscito ormai quasi trent’anni fa, Strange Days resta ad oggi un film estremamente attuale, in qualche modo addirittura profetico, nella sovrapposizione tra vita reale e vita virtuale che mette in scena: non è un caso, infatti, che il personaggio di Fiennes venda il suo prodotto utilizzando la frase “This IS life”, evidenziando come – nel mondo descritto dalla Bigelow – la dimensione digitale abbia ormai la stessa importanza e la stessa concretezza della realtà.
E’ impossibile non vedere all’interno di questa pellicola una strabiliante anticipazione del mondo social contemporaneo, che vive del bisogno quasi cyber-voyeuristico di immergersi nelle esperienze altrui e – in qualche modo – di entrarci nel modo più diretto possibile, di vivere la realtà altrui letteralmente in soggettiva. Storie Instagram, Vlog Youtube, video su Tik Tok, foto su Facebook: nella società di oggi l’esistenza virtuale accompagna di pari passo quella reale, al punto che per molti – anche magari a causa di un meccanismo ormai automatico e istintivo – un evento non ha significato fino a che non è condiviso e “traslato” nel mondo digitale, così che possa essere fruito e quindi, per definizione contemporanea, vissuto anche da altre persone attraverso la dimensione virtuale.
Non sbaglia la Bigelow a descrivere questa tecnologia come una vera e propria droga, che spinge i propri consumatori a ricercare clip sempre più estreme e a trascorrere sempre più tempo all’interno dello SQUID (questo il nome dell’apparecchio neurale che permette il collegamento) fino al punto in cui la realtà concreta diventa invivibile e l’unica soluzione rimane il rifugiarsi costantemente nella finzione, che appare migliore, più desiderabile e più semplice dell’esistenza analogica.
Allo stesso modo, nel mondo contemporaneo la fruizione della dimensione social ha ormai acquisito le caratteristiche distintive di una dipendenza: accompagna quotidianamente la giornata di tutti e occupa un dato quantitativo di tempo che varia da persona a persona, ma che molto difficilmente è nullo, senza contare che per molti trascorrere un intero giorno senza poter accedere ai propri profili social sarebbe sicuramente non auspicabile, se non addirittura impossibile.
Così come in Strange Days, dunque, il costruirsi un’esistenza virtuale parallela, fatta di esperienze altrui e di immagini costruite, è l’unico modo per evadere da una realtà scadente e deludente, allo stesso modo oggi il crearsi e il mostrare alla comunità una vita apparentemente perfetta su Instagram è per molti una via efficace per convincersi – in maniera auto ingannatoria – di vivere effettivamente un’esistenza perfetta, fino a che la dimensione virtuale diventa concretamente più importante di quella reale, relegata al ruolo di un dietro le quinte fatiscente, alle spalle di uno stupendo palco dorato.
Un film, quindi, che parlava del contemporaneo con almeno venticinque anni di anticipo, dipingendo un’immagine, purtroppo, estremamente preoccupante della natura umana rapportata alla tecnologia, ma che, nonostante ciò, offre una visione lucida e illuminante della società attuale, oltre che innumerevoli spunti di riflessione per comprendere meglio questi tempi ormai irrimediabilmente dipendenti dal virtuale.
L’APOCALISSE E’ OGGI: UNA SOCIETA’ MORENTE
Il mondo descritto dalla Bigelow in Strange Days è chiaramente un mondo pre-apocalittico, fatto di ferocissime rivolte sociali, esercito e carri armati nelle strade, polizia corrotta e fascista, violenza e anarchia che dilagano ovunque, il tutto causato – e in qualche modo giustificato – dalla fine del mondo imminente. Ciò che il film, però, vuole forse raccontare è un mondo in realtà già apocalittico, nel quale non importa se la distruzione totale avverrà a mezzanotte dell’ultimo giorno del millennio, perché di fatto sta avvenendo comunque per mano dell’uomo e non per mano divina. E’ geniale, in questo senso, la battuta pronunciata nel film da uno speaker radiofonico: “Ma a mezzanotte di quale città? Mezzanotte di Los Angeles? Quale è il fuso orario di Dio?”.
La regista, dedicando così tanto minutaggio al contesto e allo sfondo sociale in cui si svolge la narrazione principale, vuole – almeno secondo l’interpretazione di chi scrive – denunciare e criticare aspramente alcuni aspetti disfunzionali e purtroppo caratteristici della società americana, su tutti probabilmente la questione razziale e la violenza delle forze dell’ordine, che continuano ad essere un problema irrisolto ancora oggi. E’ difficile, infatti, non accostare le rivolte rabbiose che seguono l’esecuzione di Jeriko One, leader e punto di riferimento della comunità afroamericana nel film, con i tumulti causati nel 2020 dal terribile omicidio di George Floyd, laddove entrambi vengono brutalmente uccisi dalla polizia e diventano immediatamente simboli della lotta contro la repressione violenta della minoranza (con la differenza fondamentale che il primo è un personaggio di finzione, mentre il secondo, purtroppo, era un uomo in carne ed ossa).
La Bigelow, attraverso questa trama secondaria, riesce a costruire un’efficacissima denuncia nei confronti dello stato americano, qui rappresentato dal corpo di polizia, il quale viene palesemente descritto come fascista, violento, xenofobo e al limite del totalitario, un sistema politico in cui l’oppressore ha sempre la meglio sull’oppresso attraverso la forza.
In questo senso non deve ingannare il finale solo apparentemente lieto che, essendo la perfetta conclusione del percorso di Lenny Nero, si limita ad essere speranzoso per quanto riguardo il livello individuale del protagonista: la non-avvenuta Apocalisse di fine millennio non ha nulla di positivo o di ottimistico, in quanto la società dipinta dalla regista è destinata ad autodistruggersi in ogni caso, con o senza la fatidica mezzanotte dell’ultimo giorno del 1999, anche al netto di un breve e momentaneo attimo di giustizia e speranza.
Il pessimismo di questo film, quindi, riguarda la natura della società americana e delle sue contraddizioni culturali, messe in scena tramite scontri e conflitti che esistono – ed esistevano già nel 1995 – nella realtà contemporanea, nonostante non ci sia nessuna Apocalisse biblica alle porte.
Nonostante siano passati quasi 30 anni, dunque, quest’opera magnifica continua a parlare del presente in maniera sorprendente, forse perché – proprio come quelli di Lenny Nero – anche quelli di oggi sono veramente, ma veramente, Strange Days.
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La violenza “fascista”… era già ridicolo usare questo termine negli anni ’70 figuriamoci oggi anche perché il fascismo che come sempre non c’entra nulla, fu un movimento politico ed oltretutto proprio durante il fascismo in Italia nacquero il cinema moderno ed i vari festival. Il film fantascientifico della Bigelow vuole mostrare la violenza dilagante ovunque in un futuro alienante senza più ideologie, nella solita Los Angeles alle porte col 2M. Sarà proprio grazie ad un capo della Polizia che i cattivoni verranno smascherati, quindi nonostante il caos il significato sta nella possibilità d’avere sempre una speranza con il trionfo della giustizia.