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All’alba del nuovo millennio, la Dreamworks appare ben decisa ad intraprendere varie strade in cerca di un’identità più definita. Nonostante le prestazioni non esaltanti al botteghino dei suoi primi due lungometraggi, lo studio era riuscito a far parlare di sé e in casa Disney in molti avevano già intuito che il loro nuovo rivale non sarebbe stato un fuoco di paglia.

La voglia di esplorare dello studio lascia partire varie direttrici: lo svecchiamento della tecnica tradizionale in chiave neoclassica seguendo Il Principe d’Egitto, la sperimentazione con la claymation grazie alla collaborazione con lo studio britannico Aardman e l’espansione di un’ancora pionieristica CGI, che nel 2000 verrà momentaneamente messa da parte in attesa di calare l’asso l’anno successivo con Shrek. In questo anno quindi trovano spazio due opere decisamente pregevoli, improntate alla commedia pura ma sostanzialmente diversissime tra loro a partire dalla tecnica utilizzata: La Strada per El Dorado (The Road to El Dorado, Eric “Bibo” Bergeron e Don Paul con Will Finn e David silverman, 2000) è una commedia avventurosa, Galline in Fuga (Chicken Run, Peter Lord e Nick Park, 2000) un farsesco escape movie. Di Galline in Fuga parleremo nella prossima tappa del nostro viaggio, poiché stavolta ci soffermeremo  sulla (brevissima) esperienza “neoclassica” della Dreamworks.

Come ricordato nel primo episodio del nostro viaggio, El Dorado mostra notevoli somiglianze con il coevo Disney Le Follie dell’Imperatore (The Emperor’s New Groove, Mark Dindal) con lievi differenze: l’ambientazione americana (meridionale e precolombiana in Disney, centrale e seicentesca in Dreamworks), la forte componente umoristica (slapstick e debitrice dei Looney Tunes da una parte, sorniona e in alcuni momenti davvero poco innocente dall’altra), protagonisti antieroici (Kuzco è un egoista viziato, Miguel e Tullio sono due adorabili farabutti), un’intrusione del fantasy. Volendo confrontare i due film, El Dorado perde la sfida perché nonostante l’irriverenza e le situazioni che aggirano il parental control risulta quasi meno coraggioso del suo rivale, anche a causa (come ne Il Principe d’Egitto) dell’invadente colonna sonora. Le Follie, nonostante fosse stato concepito come un film estremamente drammatico (con colonna sonora di Sting di cui rimangono alcune tracce più o meno riuscite) non è un musical, l’unica canzone prima dei titoli di coda è all’inizio cantata da un avatar di Tom Jones, sembra più una intro di uno show di Las Vegas che uno spettacolo di Broadway. Al netto di questa grossa debolezza troviamo una pellicola sicuramente godibile, che trae forza dalle scenografie, da un character design riuscitissimo, dalla semplicità della sua storia e da un trio di protagonisti veramente interessanti (Miguel e Tullio con la provocante ladruncola Chel) nonostante il villain, lo stregone Tzekel-Kan non regga il confronto con gli irresistibili Yzma e Kronk. Lo scontro diretto con quello che è diventato un cult generazionale, non ha aiutato El Dorado che tuttavia è riuscito a prendersi il suo piccolo posto nella storia del genere.

Restiamo in America anche nel successivo film in cel animation dello studio di Glendale, Spirit-Cavallo Selvaggio (Spirit: Stallion of the Cimarron, Kelly Asbury e Lorna Cook, 2002) L’inquadratura iniziale con un’aquila dalla testa bianca americana in volo sulle praterie mostra subito allo spettatore il vero protagonista: la terra americana. In pieno clima post 11 settembre, la Dreamworks si mostra al mondo con un film libertario, ma anticapitalista, antimilitarista, per certi versi anti WASP. Oltretutto il personaggio principale del film è un purosangue mustang che in nome del realismo non parla, ma i suoi pensieri ci vengono narrati dalla voce narrante fuoricampo prestata da Matt Damon. Altrettanto reale è l’antagonista, emblema della sete di potere e di espansione americana, severo senza risultare estremamente crudele o macchiettistico, e in nome dell’assoluzione di tutto il popolo statunitense alla fine ammette con dignità e rispetto la sconfitta. Il tono del film risulta intenso e drammatico, l’umorismo è leggero e a tratti amaro, quasi a far riprendere fiato tra una catastrofe e un’altra, almeno fino al finale prevedibilmente lieto. La colonna sonora, di Bryan Adams in originale e di Zucchero nella versione italiana, resta fuori campo eliminando la componente musical che aveva danneggiato tanto Il Principe quanto El Dorado, risultando coinvolgente, poetica e capace di restare nella memoria del pubblico. Il film fa breccia nel cuore del pubblico in un anno affollatissimo di prodotti animati riuscitissimi, nonostante la matrice drammatica e politica, ed è davvero un peccato vedere questi personaggi riciclati in decine di prodotti televisivi scadenti.

L’ultimo tentativo di animazione tradizionale della Dreamworks è forse una delle più grandi occasioni sprecate della storia del genere, Sinbad-La Leggenda dei Sette Mari (Sinbad: Legend of the Seven Seas, Patrick Gilmore e Tim Johnson, 2003) casualmente (o magari no) uscito nello stesso anno in cui iniziavano le avventure dell’amatissimo capitano Jack Sparrow, tratto da un racconto de Le Mille e una Notte sembra a tratti figlio dell’ignoranza e della superficialità. La vicenda, originaria del mondo arabo e persiano, viene ambientata in un’indefinita Europa Mediterranea, Siracusa, più che una città magno greca, sembra una Londra del 1500, costumi, scenografie e macchinari richiamano dozzine di epoche diverse, e di certo i pirati dell’epoca non sognavano di svernare alle Fiji. Il character design è riuscitissimo ma non sufficientemente sfruttato a livello mediatico e commerciale, la storia ha spunti interessanti ma confusi, un miscuglio di mitologie diverse, e il racconto di avventura è rallentato dal triangolo amoroso che vede coinvolto il protagonista, doppiato da Brad Pitt. Altro notevole problema sono gli ingombranti inserti in CGI: i mostri incontrati dai nostri eroi (il glaciale Roc, l’isola pesce, le sirene) tradiscono tecnologie troppo acerbe. Non sorprende quindi il risultato estremamente deludente al botteghino, che convincerà la Dreamworks ad abbandonare la sua opera di rivalutazione dei classici disegni animati in favore del computer.

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Nicolò Cretaro, Redattore