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Benvenuti nel terzo e ultimo appuntamento sulla storia della Panavision. Dopo aver vissuto avventure emozionanti dallo Spazio interstellare alle isole tropicali, passando per gare da alta velocità e sfide ingegneristiche mai affrontate prima, raggiungiamo la nuova rivoluzione del Cinema: le cineprese digitali. Lo sviluppo della Panaflex Millennium aveva portato la Panavision a riprogettare ogni singolo componente attraverso il feedback ottenuto sul campo, ottenendo uno strumento dall’eccezionale ergonomia e qualità. Però il cinema stava cambiando ancora più in fretta di quanto si potesse immaginare, grazie l’ascesa delle tecnologie digitali e al loro rapido sviluppo. Negli anni ‘90 tra i professionisti del settore si iniziava già a sperimentare cosa poteva offrire il cinema digitale, e colossi come Sony erano già al lavoro sulle tecnologie del nuovo millennio. Da lì a poco qualcuno avrebbe decretato la fine della pellicola.
Già negli anni ‘60 e ‘70 erano disponibili i primi sensori digitali basati sulla tecnologia MOS, che poi sarebbe poi diventata la base dei sensori CCD, molto più sfruttabili in ambito professionale. Sul finire degli anni ‘80 la Sony iniziò a sponsorizzare il concetto di electronic cinematography, introducendo sul mercato la prima cinepresa HDTV, la HDC-100, con la quale venne girato il lungometraggio Giulia e Giulia, un film drammatico prodotto dalla RAI nel 1987, uno dei primi film HD in assoluto. In meno di dieci anni avremmo avuto il primo film che avrebbe fatto un uso intensivo di tecniche di post produzione digitali (Rainbow, 1996) e il primo Feature Film interamente filmato e post prodotto in digitale, Windhorse. Girato interamente in Tibet e Nepal nel 1996 con un prototipo di cinepresa digitale Sony DVW-700WS e post prodotto con Avid e da Vinci. Un vero assaggio della cinematografia contemporanea!
Nel 1998 arrivarono le prime HDCAM, che permettevano di registrare 1920×1080 pixel con sensori CCD, e l’idea della digital cinematography iniziò a prendere piede sul mercato.
Il vero punto di svolta avvenne nel maggio del 1999, quando George Lucas decise di integrare alla produzione a pellicola alcune riprese digitali nel film Star Wars: Episodio I – La Minaccia Fantasma. Le riprese digitali vennero unite senza problemi a quelle tradizionali e questo lo portò ad annunciare che avrebbe diretto il prossimo film interamente in digitale ad alta risoluzione.
È in questo momento che entra in gioco la Panavision. Su spinta di George Lucas viene messa in contatto con Sony per lo sviluppo e la produzione della Sony HDW-F900, la prima cinepresa digitale che rispondeva agli standard cinematografici dell’epoca. Il suo contributo fu fondamentale per il successo di questo apparecchio, basato su un sistema a 3 Sensori RGB CCD da 2/3” capaci di una risoluzione di 1920×1080 pixel per un totale di 6.3 milioni di pixel, permetteva riprese in alta risoluzione a 24fps e un sistema di filtri ND e CC per espandere le possibilità di ripresa in presenza di molta luce e un miglior color match con la pellicola. Questo sistema presentava però due problemi: le lenti sviluppate fino a quel momento non erano adatte a un sensore digitale che per sua natura rifletteva molta più luce causando numerose aberrazioni che portavano a un crollo della qualità di immagine. Panavision si fece carico di sviluppare i primi obiettivi dedicati al digitale con la serie: Primo Digital. Queste lenti erano dotate di una risoluzione superiore di 2,5 volte, in quanto il sensore utilizzato era molto più piccolo rispetto al negativo digitale; questo comportava anche uno scostamento tra l’angolo di ripresa e la lunghezza focale rendendo necessari adattatori e lenti specifiche per poter effettuare riprese grandangolari. Inoltre, sviluppò un corpo macchina compatibile con tutti gli strumenti e accessori più utilizzati, fornendo una cinepresa pronta a integrarsi con i sistemi già esistenti. Il risultato fu sorprendente, nonostante fosse solo l’inizio di una nuova tecnologia con numerose limitazioni e difficoltà operative, il film presentava un’alta qualità di immagine e non faceva certo rimpiangere la pellicola. Questo successo spalancò le porte al cinema digitale, che rappresentava un’alternativa più economica e maneggevole rispetto alle cineprese tradizionali. Le major spingevano verso le produzioni di questo tipo, e in poco tempo tutti i più grandi produttori iniziarono a proporre le loro soluzioni sul mercato, non solo Panavision ma anche ARRI, Sony, RED, Blackmagic e Canon.
Dopo qualche anno di sviluppo e affinamento, la Panavision introdusse la Genesis HD, una cinepresa dotata di color sampling 4:4:4, risoluzione HD e un sensore in formato Super 35mm che permetteva di utilizzare tutte le ottiche progettate per i 35mm mantenendo lo stesso angolo di campo. Presentava un singolo sensore CCD (questo riduceva le problematiche legate ai riflessi del sensore) con 12,4 megapixel di risoluzione, e un pattern RGB. La risoluzione finale dell’immagine prodotta era di 1920×1080 con un aspect ratio di 1.78:1 (16:9). La parte elettronica, nonostante i cattivi rapporti, era ancora prodotta da Sony, che nel frattempo aveva ampliato e sviluppato la sua linea di cineprese professionali chiamata Cinealta. Venne utilizzata per la prima volta in Superman Returns (2006) e l’ultimo film ad essere girato fu TED (2012).
A leggere le specifiche non sembrerebbe nulla di speciale, già da diversi anni un comune smartphone è in grado di girare video in Full HD e addirittura in 4k! Una riprova dell’altissima qualità di questo sistema di ripresa la possiamo trovare in Apocalypto (2006). Il film è ambientato in foreste tropicali e deserti dell’America centrale, con condizioni di luce al limite e ripreso quasi interamente senza l’ausilio di fonti artificiali. L’abilità di Dean Semler ha permesso di esprimere tutte le capacità del sensore di operare con pochissima luce e in scene ad alto contrasto mantenendo una qualità altissima e una palette di colori invidiabile. Per il film venne sviluppata un apposito LUT ispirato alla Kodak’s Vision2 500T 5218, che portò il direttore della fotografia a cambiare il proprio modo di valutare esposizione e colori sul campo innovandone il workflow. Per un ulteriore approfondimento potete consultare:
https://theasc.com/ac_magazine/January2007/Apocalypto/page1.html
Schiacciata dalla concorrenza, che ormai offriva soluzioni più innovative e dotate di maggiore risoluzione, la Panavision decise di non sviluppare più cineprese digitali e concentrare le proprie energie nell’ambito degli obiettivi e degli accessori. In questo periodo Hollywood assistette all’ascesa di RED e delle sue cineprese compatte e dalla qualità di immagine mai raggiunta prima di allora. Inoltre Canon, attraverso l’introduzione della funzione video sulle proprie reflex, portò il formato da 35mm nelle mani di fotoamatori e professionisti, Blackmagic iniziò a produrre corpi sempre più compatti ed economici e Sony stabilì una leadership nel settore delle grandi produzioni cinematografiche e televisive con la linea Cinealta e Venice.
Ma il continuo sviluppo della cinematografia digitale e il parallelo declino della pellicola rappresentavano un settore troppo ghiotto per starne fuori. Il mondo cambiava nuovamente e bisognava stabilire una nuova leadership con prodotti che puntano alla massima qualità possibile. I debiti accumulati sul finire degli anni ‘90 e le continue acquisizioni da parte di altri operatori del mercato non giovavano di certo alla stabilità della compagnia, che, nonostante questo, riuscì a portare sul mercato nel 2016 la Millennium DXL. Rappresentava la nuova generazione di cineprese digitali essendo dotata di un sensore da 35 megapixel che garantiva un output in 8K in formato RAW e una gamma dinamica di 16 stop (con la versione DXL2). L’elettronica è derivata dai modelli prodotti dalla RED, ma la color science e la compatibilità con le famose ottiche Panavision e la nuova serie T offre l’unica soluzione sul mercato in grado di produrre il formato anamorfico con una risoluzione di 4k.
Ad oggi la Panavision è finanziariamente instabile, specialmente dopo la fallita acquisizione da parte della Saban Capital nel 2019, e il suo futuro in un mercato così competitivo non è facile da prevedere. Quel che possiamo dire è che dalla sua nascita ad oggi attraverso l’impegno, la creatività e l’intuito delle persone che ci hanno lavorato ha rappresentato un punto di riferimento per le produzioni cinematografiche di tutto il mondo, fornendo strumenti di altissima qualità e capaci sognare sia in sala che sul set.
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