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Nella prima metà degli anni 2000 la Dreamworks intraprende una alquanto singolare collaborazione con lo studio britannico Aardman, leader indiscusso nel campo dell’animazione in stop motion

Con questo termine indichiamo qualsiasi tecnica di animazione basata sul movimento diretto di oggetti fisici (pupazzi, materiali modellabili, disegni ritagliati, ecc..).

Questa raffinatissima tecnica di animazione ha radici molto antiche, a partire dai primissimi lungometraggi animati della storia quali El Apóstol (Quirino Cristiani, 1917) realizzato tramite l’utilizzo di cartoncini di carta (cutout animation), considerato il primo lungometraggio animato della storia ma ormai andato perduto, o in Le Avventure del Principe Achmed (Die Abenteuer des Prinzen Achmed, Lotte Reiniger, Carl Koch, 1926) il più antico pervenutoci. Senza contare i molteplici utilizzi come effetto speciale grazie all’opera di artisti come Ray Harryhausen e a personaggi come le gigantesche creature in King Kong (Merian C. Cooper, Ernest B. Schoedsack, 1933)

Negli anni ‘80 e ‘90 il pubblico si interessa nuovamente alla stop motion grazie al successo dei lavori animati di Tim Burton, come il cortometraggio Vincent (1982) e Nightmare Before Christmas (1993), o della Aardman stessa.

La società di animazione viene fondata a Bristol nel 1976 da Peter Lord e David Sproxton e si specializza in claymation, l’animazione dei modellini in plastilina. Negli anni ‘80, grazie ad artisti come Nick Park e lo stesso Lord, sforna opere come la serie Conversation Pieces nel 1983, il videoclip del brano Sledgehammer di Peter Gabriel nel 1986, ma soprattutto il cortometraggio Creature Comforts (Park, 1989), vincitore di un Oscar, per poi esplodere con la creazione del duo composto dallo strampalato inventore Wallace e dal suo protettivo cane Gromit. La collaborazione con la Dreamworks risulta senza dubbio inaspettata, ma nonostante alcune crepe ha portato a noi opere decisamente pregevoli.

Tra i tre film nati da questa collaborazione il primo, senza dubbio il più riuscito, è Galline in Fuga (Chicken Run, Lord e Park, 2000). In un allevamento di polli più simile ad un lager che ad una fattoria la gallina Gaia è l’unica desiderosa di fuggire al di là del recinto e sogna di portare in salvo tutta la sua comunità che ovviamente non è del suo stesso avviso. L’arrivo, o meglio l’atterraggio, del gallo americano Rocky Bulboa farà scattare in tutte la scintilla della libertà, anche per sfuggire al piano dei due avidi allevatori: una nuova linea di pasticci di pollo.

Tra l’escape movie e il film di guerra puro, tra riferimenti ai campi di concentramento nazisti e a La grande fuga (The Great Escape, Sturges, 1963) con Steve McQueen, abbiamo una dissacrante versione della vicenda biblica di Mosè ambientata nella campagna inglese tanto cara alla Aardman, che di solito vi ambienta le strambe avventure di Wallace & Gromit o di Shaun la pecora.

Gaia è la classica protagonista Dreamworks, sognatrice inascoltata ma determinata. La coppia di antagonisti ricorda un po’ Yzma e Kronk, demoniaca ma altamente comica lei, idiota e inefficiente lui. Il gallo Cedrone che vanta un passato nella Royal Air Force sembra provenire direttamente da uno sketch dei Monty Python. Rocky, lo yankee che arriva a salvare la situazione rivelandosi tranquillamente un buffone, sembra quasi simboleggiare la stessa Dreamworks che arriva con tutta la sua irriverenza a insidiare il più rilassato umorismo inglese. Il film risulta maturo, capace di intrattenere grandi e piccini, a iniettare sane dosi di paura, azione e violenza, rilasciando anche una piccola stoccata animalista.

Per il secondo film, i ragazzi della Aardman decidono di far scendere in campo proprio la loro coppia d’oro: Wallace & Gromit, già protagonisti di tre cortometraggi che hanno fruttano due Oscar su tre nomination. E anche La Maledizione del Coniglio Mannaro (The Curse of the Were-Rabbit, Park, Steve Box, 2005) si porterà a casa la statuetta, forse in maniera un po’ più generosa. Se Galline in Fuga traeva ispirazione da escape movie e film di guerra, La Maledizione del Coniglio Mannaro scende nel terreno dell’horror puro, ovviamente in salsa comedy. La figura della creatura mannara (coniglio al posto del lupo) incarna l‘archetipo della bestia, tema che diventerà ricorrente in moltissimi dei successi degli anni a venire (basti pensare a Madagascar o a Dragon Trainer). Ovviamente la vera bestia si rivela essere l’uomo. Le citazioni si sprecano, dai classici della Hammer a Donnie Darko, la climax del “terrore” è ben costruita, nonostante non si punti davvero a spaventare lo spettatore, l’uso delle soggettive e la mancata presenza a schermo del mostro nella parte iniziale denotano grandissima cura, ma se per le Galline 84 minuti erano sufficienti, per raccontare la storia del Coniglio risultano un po’ limitanti.

Giù per il tubo (Flushed Away, Davide Bowers, Sam Fell, 2006) è ad oggi l’ultima collaborazione tra i due studi ed è senza dubbio l’anello debole della catena. Se finora la Aardman non aveva mai cercato lo scontro frontale con Disney e Pixar, qui è più che palese l’en garde nei confronti del coevo Ratatouille (Brad Bird, Jan Pinkava, 2007). Ma Remy, il ratto con il sogno di diventare un grande chef, siede ad altezze che il nostro Roddy può solo ammirare da lontano.

Il genere di riferimento è lo spy movie, con richiami ai film di gangster, a quelli sulle grandi rapine, alla Pantera Rosa e perfino al topos del viaggio lungo il fiume, o meglio la fogna. Il film si regge sulla forte dicotomia tra il protagonista, che vive nella sua bambagia autocelebrativa (anche della Dreamworks stessa, vista la collezione di DVD del nostro eroe), e il sudicio Sid  che lo trascina letteralmente nelle fogne di Londra, magari l’ennesima rappresentazione della Dreamworks che invita la compagna britannica a sporcarsi le mani.

Il film è gradevole ma la struttura fin troppo classica, con il protagonista che vuole tornare a godere le sue comodità ma una volta raggiunto il suo scopo capisce il gusto dell’avventura grazie all’amore e all’amicizia. In ogni caso non basta un grande cast (Hugh Jackman, Kate Winslet, Ian McKellen) a rendere il film memorabile

Il vero peccato tuttavia, sta nella sostituzione totale della claymation “reale” con il suo rendering digitale, sia per venire incontro ai gusti del pubblico sia perché sarebbe stato veramente impossibile gestire un set inanimato con una tale presenza di acqua. L’immagine è più fluida e spettacolare ma assolutamente meno affascinante. La claymation nei primi anni 2000 è sicuramente vintage, e un’eccessiva contaminazione con la CGI, per di più non perfetta come quella a cui ci stava abituando la Pixar, spinge i due studi a non proseguire la collaborazione, nonostante le voci su un eventuale quarto film da contratto, la Dreamworks non sembra coinvolta nello sviluppo del sequel di Galline in Fuga

Negli anni successivi la Aardman continuerà la sua opera di contaminazione tra claymation e CGI con risultati più o meno convincenti. Quanto alla Dreamworks, tra il 2000 e il 2005 aveva tirato fuori un paio di progetti interessanti.

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Nicolò Cretaro, Redattore