Steven Spielberg: un nome, una garanzia. Lo conosciamo; se ne parla a scuola, su umili siti di recensione cinematografica, nei libri di storia. Storia, appunto: se ne parla spesso al passato. Cosa succede, però, nel momento in cui si volge lo sguardo avanti? Si può coniugare Steven Spielberg al futuro?

Partiamo dal presente. Quello che colpisce dello Steven Spielberg degli ultimi anni è un’inclinazione alla sperimentazione. Iniziando con Ready Player One nel 2018, un ambizioso progetto cinematografico celebrativo della cultura pop e videoludica, passando per il controverso remake di West Side Story del 2021 e culminando con The Fabelmans nel 2022, Steven Spielberg ha negli ultimi anni intrapreso un percorso intelligente di rinnovazione artistica: anziché andare sul sicuro approfittando della sua rinomata fama che gli garantirebbe comunque un minimo di successo al botteghino, il regista statunitense si permette una determinata libertà artistica con il coraggio di qualcuno che non ha nulla da perdere.

Si evolve il suo stile, solitamente sinonimo di una fotografia pulita e meccanica, ma soprattutto si evolvono le idee. Cambiano i generi e non è scontato: Spielberg avrebbe potuto seguire la scia di film come The Post e inscatolarsi in un unico genere, ma sceglie invece –ancora una volta– un rimescolamento di carte che giova al continuo mutamento stilistico che nutre la settima arte e la sua sorte. Che sia un film riassuntivo dei tempi, la rivisitazione di un classico che gli permetta di esplorare nuovi generi o una semi-biografia d’infanzia, il cinema contemporaneo di Steven Spielberg è tanto valido quanto quello del passato per una ricercatezza di idee sempre nuove e al limite di una contenuta sperimentazione.

Prendendo come esempio West Side Story ci si potrebbe chiedere perché un regista affermato come Spielberg si sprechi su uno dei soliti e risentiti remake americani degli ultimi anni. Di fatto, il West Side Story di Spielberg non ha troppo senso di esistere nell’economia dello spettacolo, e lo dimostra un relativo flop al botteghino. Eppure quest’opera ha senso di esistere artisticamente, e non solo per l’effetto nostalgia. Se chiudiamo un occhio su uno specifico miscast – ma la scelta del protagonista ha lasciato perplessi in molti – West Side Story è un prodotto strepitoso dal punto di vista tecnico, che ci ricorda ancora una volta quanto sia fenomenale Spielberg dietro la macchina da presa.

Sorprendentemente, in comune a tutti questi film possiamo tendere un filo rosso che si collega direttamente al passato. Se pensiamo al nome di Spielberg si riescono a disegnare i contorni di una categorizzazione che dimostra la sua mutazione stilistica e narrativa nel tempo; ad alcuni possono venire in mente i suoi esordi come Lo Squalo, Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo ed E.T. L’extraterrestre. Altri ricorderanno titoli reminiscenti di un’infanzia entusiasta come I Goonies, Jurassic Park e Indiana Jones. Altri ancora possono citare pellicole narrativamente più raffinate come Salvate il Soldato Ryan, Schindler’s List o L’Impero del Sole (meritava una citazione). Sia chiaro, Steven Spielberg ha girato film di tutto rispetto anche dopo il duemila: Catch Me if You Can, Minority Report, Lincoln, Munich e Il Ponte delle Spie solo per citarne alcuni. Eppure, non sono i primi titoli a comparire nella nostra mente quando pensiamo a questo Maestro. 

Forse lungo la strada si è andata a perdere un pò di quella iconicità che lo contraddistingueva negli anni Ottanta e Novanta, ma non si è mai persa quella bravura tecnica dietro alla telecamera. Anzi, si è andata a migliorare, facendoci mettere le mani nei capelli per quanto un’opera come il suo West Side Story sia considerata sottovalutata. Non ha senso però andare a cercare uno Steven Spielberg “migliore” o “peggiore”: il bello di Spielberg è il suo continuo mutamento in qualcosa di diverso, una costante evoluzione in qualcosa di nuovo e sorprendente. Soprattutto, però, non si è mai persa quella scintilla negli occhi che ancora oggi ci fa scorgere l’anima di un bambino nel corpo di un settantottenne. Guardando The Fabelmens vediamo nel protagonista, per quanto dotato dei mezzi di qualsiasi americano medio, il potenziale artistico dell’intera umanità. Vedo un uomo come noi farsi piccolo ed essere celebrato come un gigante. Vedo l’uomo più piccolo dell’universo, inteso come il migliore dei complimenti.

Nel documentario intitolato Spielberg del 2017, il regista racconta come i film siano la sua intera vita, e che non avendo avuto la possibilità di ricorrere alla terapia in giovane età, usa ora questo mezzo come sostegno psicologico. Una vera e propria terapia artistica che ha coinciso con una delle più straordinarie carriere cinematografiche della storia del cinema, destinata ad essere ricordata per sempre. Il passato, dunque, per Steven Spielberg, non è soltanto un elemento nostalgico ma piuttosto uno strumento di auto-analisi: i suoi film degli anni Ottanta e Novanta ci sembrano più rappresentativi della poetica del regista perché elevano al quadrato il suo rispetto per l’infanzia, a cui si aggiunge il rispetto che noi proviamo per la sua filmografia, che ci ha formati e fatti diventare gli adulti che siamo oggi. La verità, però, è che Steven Spielberg continua questa forma di rispetto anche nel cinema contemporaneo, semplicemente facciamo più fatica ad accorgercene.

I suoi film, soprattutto quelli più recenti, sono dunque quel che di più anti-hollywoodiano potrebbe essere: hanno bisogno di sedimentare nel tempo per farci rendere conto del loro splendore. Non c’è bisogno di ribadire come Lo Squalo abbia cambiato e definito le regole cinematografiche, ma c’è bisogno di trovare in un controverso Ready Player One tutto ciò che Steven Spielberg è sempre stato: un bambino nel corpo di un adulto, che è la cosa più pura che si possa essere. E con questo in mente, al compimento del suo settantottesimo compleanno, non si può non avere fiducia nei progetti futuri del regista: il suo prossimo film, The Dish, è atteso per il 2026, un’opera di fantascienza con Josh O’Connor, Emily Blunt, Colin Firth, Colman Domingo, Eve Hewson e Wyatt Russell. Il suo nome associato al progetto è già garanzia di un film solido e ben costruito, ma è soprattutto e in primis un azzardo, un salto nel vuoto, un regista consolidato che potrebbe puntare soltanto sul suo nome, ma punta su una versione migliore di sé stesso. Vi chiedo dunque, per concludere, di avere fiducia nello Steven Spielberg del presente e del futuro più che in quello del passato – che poi, alla fine, è lo stesso bambino solo un po’ cresciuto. 

Lara Ioriatti,
Redattrice.