“Fin dall’origine della vita, dunque, corpo e anima percepiscono i medesimi moti vitali e li condividono […] Così che la loro separazione ne determina la reciproca fine:
Unica è la loro sopravvivenza, come unica è la loro natura.”Tito Lucrezio Caro
Il legame tra Anima e Corpo è uno dei cardini del pensiero occidentale che, nel corso dei secoli, si è spesso interrogato sulla natura del rapporto tra questi due elementi. Fin dall’Antica Grecia, infatti, i più grandi pensatori hanno cercato di definire i limiti entro i quali lo Spirito e la Materia costituiscano l’Essere umano in quanto tale.
Filosofi come Platone, Cartesio o Sant’Agostino intendono l’anima e il corpo come entità nettamente separate, facendo prevalere la prima sulla seconda: Platone, infatti, considera il corpo come la prigione dell’anima, un luogo in cui essa è costretta e dal quale deve liberarsi. Al contrario altri pensatori, ad esempio Spinoza, intendono l’uomo come unione della sua corporeità e della sua ragione.
Applicando questa visione a un contesto cinematografico, l’opera del regista inglese Steve McQueen può essere letta ed interpretata come un’analisi del rapporto tra Corpo e Anima.
Già nel suo primissimo lungometraggio Hunger (2008), infatti, la correlazione tra Materia e Pensiero è fondamentale. Narrando la storia vera della blanket e dirty protest (ovvero il rifiuto da parte dei prigionieri di indossare gli abiti forniti dal carcere e di radersi barba e capelli, unito all’imbrattamento delle celle con i propri escrementi) di alcuni membri dell’IRA nel carcere irlandese di Long Kesh, il regista mette in mostra dei personaggi che, essendo stati privati di tutto, trovano nel proprio corpo l’unico e ultimo mezzo per ribellarsi.
È proprio in questo senso che il Fisico si fa immagine dello Spirito: i prigionieri infatti, costretti in un sistema che li opprime, riacquisiscono la propria libertà nell’affermazione del potere che hanno su loro stessi, ovvero sul Corpo, il quale diventa vero e proprio protagonista attivo della lotta ideologica. Indossare la divisa carceraria e attenersi alle regole della prigione, quindi, significherebbe sottomettersi a tutto ciò contro cui si battono e contro cui si ribellano.
La riflessione di McQueen si approfondisce nel momento in cui il leader dei detenuti, Bobby Sands (Michael Fassbender), inizia un lunghissimo sciopero della fame per smuovere l’opinione pubblica e ottenere, finalmente, lo status di prigionieri politici per tutti i suoi compagni. In questo senso il rifiuto di mangiare del protagonista può essere letto come la rappresentazione fisica di un concetto, come l’emblema della lotta per la libertà nella quale è impegnato. La distruzione deliberata del Corpo diventa, quindi, affermazione suprema dello Spirito e, in quanto tale, non più un semplice mezzo, ma vero e proprio simbolo di un’Idea.
Dopo questa prima pellicola, Steve McQueen ribalta totalmente la natura del suo discorso con il suo secondo lungometraggio, ovvero Shame (2011).
Se nel film precedente il Corpo veniva sacrificato in una lotta contro un disagio esterno, in Shame la corporeità viene costantemente ricercata dal protagonista per rispondere a un disagio interiore. La storia di Brandon, infatti, è il racconto di una persona tormentata che, vivendo un’esistenza segnata da un passato traumatico e indefinito, cerca di trovare nella soddisfazione fisica una sorta di tregua da questo conflitto dell’anima.
In quest’ottica è importante notare come il Corpo e la Mente del protagonista vivano questo dramma in una simbiosi malata e tossica: Brandon, infatti, ha paura del contatto emotivo e la possibilità di sviluppare un legame e di aprirsi con un’altra persona è talmente spaventosa per lui che il suo stesso fisico la rigetta. In questo senso l’unica scena in cui il protagonista non riesce a fare sesso con una donna diventa emblematica proprio perché quella donna rappresenta tutto ciò che terrorizza il protagonista, ovvero la necessità di mettersi a nudo veramente e di farsi conoscere più profondamente.
Il discorso, però, vale anche nel senso opposto: l’incapacità di raggiungere una soddisfazione emotiva attraverso la fisicità nega al Corpo stesso la possibilità di ottenere un appagamento completo. Il volto di Brandon, nelle scene in cui ha rapporti occasionali, non mostra mai piacere e, al contrario, sembra quasi provare dolore e disperazione, come se sapesse, inconsciamente, che ciò che ricerca veramente non si trova lì.
Maggiore è il disagio della Mente, quindi, maggiore è l’abbandono al Corpo e, sprofondando sempre di più in questa spirale di dipendenza, il personaggio di Fassbender si ritrova in un circolo vizioso autodistruttivo che danneggia chiunque cerchi di stargli vicino, dimostrandosi allo stesso tempo vittima e carnefice di se stesso.
Il concetto di oggettificazione dell’individuo, già molto presente in Shame in quanto Brandon intende le relazione come mera oggettificazione fisica, viene ripreso da McQueen nel film del 2013 12 Anni Schiavo.
In questa pellicola che narra il rapimento e la successiva schiavitù di Solomon Northup, un afroamericano libero, la riflessione del regista si sposta sull’idea di possesso:
il Corpo viene visto come oggetto del possesso e quindi, in altre parole, avere il controllo fisico su una persona significa possederla in quanto Individuo.
In questo senso il tentativo di spersonalizzazione degli schiavi passa, inevitabilmente, dalla violenza corporea. Distruggendo fisicamente gli afroamericani tramite lo sfruttamento nei campi e tramite torture crudissime, infatti, gli schiavisti cercano di privarli della loro dignità e di annullarne completamente l’umanità e l’anima.
Proprio per questo motivo gli schiavi vengono mostrati spesso nudi, quindi metaforicamente “spogliati” della propria identità, e segnati dalle frustate dei padroni, le quali causano ferite tanto fisiche quanto mentali: ogni colpo, ogni sopruso, ogni violenza è, simbolicamente, un tentativo di piegare lo Spirito degli afroamericani, cosicché anche loro accettino di essere ormai possesso degli schiavisti e, in quanto tali, non più umani.
Nonostante Solomon riesca, con estrema fatica, a mantenere un briciolo di dignità, questo sistema lascia inevitabilmente tracce molto profonde sul protagonista. Egli infatti, riuscendo finalmente a tornare a casa, istintivamente si scusa con la propria famiglia per il proprio aspetto, essendo ormai abituato a considerarsi inferiore a causa della condizione bestiale nella quale è stato costretto per tutto quel tempo. In questo sta un ulteriore legame tra Corpo e Anima: il suo aspetto fisico, infatti, è ormai piegato da anni di schiavitù e ciò è anche diretta manifestazione del dramma profondissimo che ha vissuto e che non potrà mai essere cancellato, proprio come le cicatrici che porta addosso.
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