“Down in the shadow of the penitentiary
out by the gas fires of the refinery
I’m ten years burning down the road
Nowhere to run,
ain’t got nowhere to go
I was born in the U.S.A”“Giù nell’ombra del penitenziario
o tra le fiamme a gas della raffineria
Sono dieci anni che vago per la strada
Nessun posto dove scappare
Nessun posto dove andare
Sono nato negli USA”Bruce Springsteen – Born in the USA, 1984
Con queste parole si chiude una delle canzoni più fraintese della storia della musica. Dietro a quello che sembra essere un inno patriottico da stadio si nasconde, in realtà, il grido disperato di una generazione di giovani, distrutta da una guerra inutile e brutale.
Tra gli anni 70 e 80, infatti, moltissimi artisti, si sono impegnati politicamente per denunciare la follia del Vietnam: dalla musica, con autori come il sopra citato Springsteen, Dylan, i The Doors, fino ad arrivare al cinema. L’alienazione e la distruzione dell’individuo a causa della guerra è, infatti, una delle tematiche che permea tutta la produzione della Nuova Hollywood, portando a capolavori come Taxi Driver, Il Cacciatore e Apocalypse Now.
Un altro esempio di un film fortemente influenzato dal contesto socio-politico dell’epoca è sicuramente Quel pomeriggio di un giorno da cani di Sidney Lumet del 1975.
Questa pellicola, che racconta di una rapina realmente avvenuta a Brooklyn nell’agosto del ’72, si presenta nei primi minuti come un semplice Heist Movie, ma diventa molto presto la rappresentazione di uno spaccato sociale, un drammatico film intimista e di denuncia politica.
Il protagonista, interpretato da un giovane Al Pacino, è Sonny Wortzik, un reduce del Vietnam che, insieme al suo amico Sal (il compianto John Cazale, menzione d’onore per la sua interpretazione), si improvvisa rapinatore in un torrido pomeriggio d’estate.
Fin dalle primissime scene Lumet tratteggia un personaggio che si distacca fortemente dai canoni del gangster classico. Sonny, infatti, è presentato come una persona comune, impacciato ai limiti del grottesco nella situazione criminale in cui si trova, risultando così allo stesso livello dello spettatore che, inevitabilmente, si ritrova ad empatizzare con lui fin da subito.
Il personaggio di Sonny è estremamente interessante in quanto perfetta rappresentazione della gioventù dell’epoca.
Memorabile è la scena in cui il protagonista incita la gente al grido di “Attica!” ricordando la rivolta nella prigione di New York in cui i detenuti, per lo più di colore, presero in ostaggio 33 persone per ribellarsi contro le condizioni di vita disumane nel carcere. In quell’occasione ci furono più di 200 feriti e quasi 30 morti tra civili e detenuti, tutti per mano dell’esercito, inviato su preciso ordine del governatore della città.
Una delle tematiche portanti della pellicola, infatti, è la profonda sfiducia della società verso le istituzioni, tanto che e il rapinatore diventa un eroe, un simbolo della rivolta contro gli omicidi e gli abusi di potere delle forze dell’ordine, della lotta dell’oppresso contro l’oppressore.
Questo sentimento viene sintetizzato perfettamente da un dialogo in cui un agente dice al rapinatore che se dovrà ucciderlo lo farà, sostenendo che quello è il suo mestiere, e al quale Sonny risponde “Se qualcuno deve uccidermi spero che lo faccia perché mi odia a morte e non perché è il suo mestiere!”.
Il crollo psicologico del protagonista durante la pellicola è quindi, metaforicamente, il crollo di una generazione intera, per la quale è impossibile riadattarsi e rientrare nella società civile dopo aver vissuto l’orrore della guerra.
In quest’ottica le parole di Sonny, nella scena in cui incontra la madre, “sono un fallito ma’, un emarginato” diventano emblema dell’alienazione del protagonista, un uomo che ormai ha perso qualsiasi punto di riferimento nella propria vita.
In un mondo che ha masticato e poi sputato il protagonista, quindi, perfino l’amore viene negato. Sonny è infatti innamorato di Leon, un giovane ragazzo che viene rinchiuso in un ospedale psichiatrico in quanto omosessuale, il loro è il dramma di due persone che si amano in modo profondo, ma per le quali è impossibile vivere insieme in una società che li discrimina in quanto ritenuti diversi e malati.
È importante notare come la scena madre della pellicola, ovvero la stesura del testamento di Sonny, avvenga dopo la definitiva separazione degli amanti. Vedendosi portare via, infatti, l’unica cosa positiva rimasta nella sua vita, il protagonista capisce che in questo mondo non è rimasto più nulla per lui e accetta la possibilità di morire, lasciando, in un ultimo ed estremo gesto d’amore, tutti i suoi soldi a Leon, cosicché possa realizzare il suo sogno e sottoporsi a un intervento per cambiare sesso.
Lumet, quindi, realizza un film estremamente attuale, una pellicola che, nonostante sia uscita quasi 50 anni fa, resta da vedere per comprendere come la società di oggi non sia poi così diversa da quella di ieri, oltre che per ammirare uno dei personaggi emblematici della Nuova Hollywood, diventato simbolo dello smarrimento sociale post-Vietnam e della lotta contro tutte le oppressioni nei confronti delle minoranze.
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