Sono passati cinquant’anni dalla morte di uno dei registi italiani più influenti del ventesimo secolo, Pietro Germi. Grande maestro della commedia all’italiana, le sue opere presentano una spiccata dose di satira e di critica verso la società e la popolazione italiana, con tutte le sue tradizioni e gli enormi difetti portati avanti dalla iper abusata frase “si è sempre fatto così”. Il suo primo grande successo arriva nel 1956 con Il Ferroviere, una delle ultime espressioni del Neorealismo italiano al cinema: attraverso la storia che sceglie di raccontare, Germi offre uno spaccato profondo e struggente del popolo italiano dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, tra conflitti generazionali, lotte per migliori condizioni lavorative, cambiamento rapido dei valori a cui molti italiani all’antica non riescono a stare al passo. Poi il capolavoro assoluto Divorzio all’italiana (1961), con protagonisti Marcello Mastroianni e Stefania Sandrelli, vincitore del premio per la miglior commedia al Festival di Cannes e dell’Oscar per miglior sceneggiatura originale nel 1963. Germi era genovese, ma ambienta la sua opera più celebre in Sicilia, terra alla quale si sente particolarmente legato e del cui popolo critica senza scrupoli atteggiamenti, stili di vita e mentalità, con un’ironia a tratti feroce. Forse non tutti sanno che Divorzio all’italiana fa parte di una trilogia dedicata proprio a una certa parte della società italiana e ai suoi costumi, insieme a Signore & Signori (1966) e Sedotta e abbandonata (1964). Sarà proprio di quest’ultimo che andremo a parlare oggi, un’opera di cui non si discuterà mai abbastanza, estremamente importante nel panorama del cinema italiano.
L’onore e la famiglia
La famiglia siciliana degli Ascalone è radunata in sala da pranzo e stanno tutti dormendo, tutti tranne la sedicenne Agnese (Stefania Sandrelli), impegnata a studiare sul tavolo; anche Peppino Califano (Aldo Puglisi) è sveglio e approfitta della situazione per sedurre la giovane, nonostante sia promesso sposo di Matilde, sua sorella. L’uomo trascina la ragazza in giardino e i due hanno un rapporto sessuale; consapevoli del terribile errore cercano di mantenere il segreto, ma Agnese è divorata dal senso di colpa nei confronti della sorella e si comporta in modi sempre più strani e preoccupanti. Non ci vorrà molto a scoprire che la giovane è incinta e, sebbene non abbia intenzione di rivelare chi sia il padre, la verità esce presto fuori.
Per il padre Vincenzo (Saro Urzì) la situazione è più tragica che mai: sono gli anni ‘60 e un nome onorevole è la cosa più importante per una famiglia siciliana. Com’era consuetudine all’epoca, Vincenzo si reca da Peppino e gli impone di sposare Agnese per “riparare il danno all’onore”, ma il giovane non vuole saperne più niente: Agnese non è più vergine e per questo nessun uomo vorrebbe mai sposarla, giusto? Il film, sulle note della fantastica colonna sonora di Carlo Rustichelli, esplora coraggiosamente le contraddizioni della mentalità siciliana del tempo, che spinge le famiglie Ascalone e Califano a un vero e proprio conflitto, fatto di stratagemmi e situazioni al limite del grottesco che culminano in un tentativo di matrimonio riparatore che non andrà in porto.
Il paese non può sapere cosa sta succedendo, bisogna farsi vedere sempre perfetti, sorridenti, camminare a testa alta tra le vie, e mai far intendere che qualcosa non stia andando per il verso giusto. Eppure si sta pian piano creando un’atmosfera da Far West nel piccolo paesino, e quella che dovrà pagarne le conseguenze peggiori sarà proprio la povera Agnese, giovane vittima di un sistema così grande e così complicato, davanti al quale i suoi sentimenti valgono meno di zero.
Germi e lo sconforto verso il popolo italiano
Un anno dopo l’uscita di Sedotta e abbandonata, nel 1965, avviene una vicenda che inizierà a mettere in discussione la società italiana e i suoi costumi, quella della coraggiosa Franca Viola: rapita e violentata ripetutamente dall’ex fidanzato che aveva rifiutato, Franca avrebbe dovuto accettare di sposarlo per poter estinguere il reato e “riparare l’onore” della sua famiglia. Eppure la ragazza, grazie anche al supporto della sua famiglia, ebbe il coraggio di rifiutare le nozze, dichiarando apertamente che a perdere l’onore non è chi subisce un crimine del genere, ma chi lo commette. Fino a quel momento non si era mai messo in dubbio che la violenza carnale fosse un reato contro la morale e non contro la persona.
Oggi conosciamo queste vicende, insieme a tutto ciò che successe dopo, e guardare Sedotta e abbandonata porta un dolore ancora più grande: la povera Agnese, di appena sedici anni, subisce un’ingiustizia dopo l’altra, molte delle quali per mano del suo stesso padre, la persona che più avrebbe dovuto proteggerla. Alcune delle sequenze del film ci mostrano quanto Agnese stia soffrendo, quanto si senta in colpa e allo stesso tempo tradita dalle persone che più ama. Viene scrutata senza pietà dagli altri abitanti del paese, che in una celebre scena la inseguono per la strada gridando appellativi poco carini, la circondano e la osservano come tante maschere deformi con gli occhi vuoti, mentre le musiche di Rustichelli ci lasciano senza respiro, esattamente come lei.
Ciò che traspare da Sedotta e abbandonata è un generale sentimento di sconforto da parte di Germi, uomo originario del nord Italia ma comunque molto vicino e molto affezionato al popolo meridionale. Il regista, non solo qui ma anche in altre opere come Divorzio all’italiana e In nome della legge (1949), riesce a celebrare il sud Italia ma anche a criticare aspramente lo stile di vita, i pregiudizi, la cultura e i costumi di un popolo che fa fatica ad abbandonare le sue mentalità e tradizioni, per quanto dannose possano essere. Sono arrivati gli anni ‘60 e Pietro Germi sta pian piano perdendo la fiducia verso la società meridionale, si sta convincendo che la sua cultura non riuscirà mai a cambiare davvero e a scrollarsi di dosso le sue convenzioni. Magari Franca Viola sarà riuscita a dargli un barlume di speranza, una piccola luce che avrebbe potuto aiutare anche la povera Agnese, di cui Germi celebra il coraggio, la forza e la brama di libertà.
Oggi Sedotta e abbandonata ci sembra appartenere a un tempo così lontano da noi che quasi ci dimentichiamo quanto sia stato importante nel panorama cinematografico di un paese complesso come il nostro, costantemente diviso tra chi si attacca alle tradizioni e chi vorrebbe sempre puntare al futuro. Spesso amiamo proclamarci un popolo moderno, un popolo cambiato, ma riusciamo realmente a chiederci quanta strada sia stata fatta da allora? E soprattutto, quegli occhi neri che scrutavano Agnese e la inseguivano per le vie del paesino sono davvero scomparsi del tutto?

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