Certo, voi mette Scipione co’ ‘sti quattro ladroni che reggono la Repubblica? Ma Scipione è grande, invece le repubbliche, pe’ sta’ in pace, devono esse’ fatte di gente piccola.
Cosa accadrebbe se agli occhi del Senato romano uno dei più integerrimi e gloriosi generali della Repubblica si rivelasse in realtà un uomo piccolo, ladro dei pubblici beni e animato da grezzi istinti? Scipione detto anche l’africano è un film del 1971, scritto e diretto da Luigi Magni e con un cast internazionale d’eccezione composto da Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Woody Strode, Silvana Mangano e infine Ruggero Mastroianni.
E’ una pellicola che il regista definisce sessantottina, in quanto utilizza la materia storica per tracciare un sottile filo rosso tra la Roma repubblicana di Catone il Censore e quella democristiana, prima sotto la guida del socialdemocratico Giuseppe Saragat e successivamente del democristiano Giovanni Leone. A questo proposto Magni afferma:
Era come se questa storia sugli Scipioni fosse raccontata da due ragazzi fantasiosi sulla scalinata della facoltà̀ di architettura. È venuto fuori un film che, pur non avendo riferimenti diretti al presente, aveva sotto traccia tutti i problemi che noi ci portavamo dietro, con una Repubblica un po’ affaticata […]. I giochi di potere, la lotta di classe, in quel caso tra patrizi e plebei, sono elementi che ci appaiono familiari.
Sin dal titolo si può comprendere quale sia l’argomento principale di cui tratterà il film, ovvero il celebre condottiero romano Publio Cornelio Scipione, che il 19 ottobre 202 a.C. sconfisse il cartaginese Annibale nella battaglia di Zama. A seguito di questa impresa, ma ancor più della vittoriosa campagna in Africa, a Scipione venne attribuito il cognomen ex virtute di “Africano”. Scipione detto anche l’Africano sin dal suo titolo fa dell’umorismo sul protagonista, allineandosi con il buffo enigma centrale sull’identità di un tale “Scipione A.” che ha scialacquato i 500 talenti, donati dal Re Antioco di Siria alla Repubblica romana come bottino di guerra. Questo è il dilemma mosso da Catone (Vittorio Gassman): si tratta di Scipione l’Africano (Marcello Mastroianni) o di suo fratello, Scipione l’Asiatico (Ruggero Mastroianni)?
Non v’è alcun dubbio sull’identità del ladro e probabilmente è sufficiente soffermarsi sul titolo per comprenderlo: megalomane com’è, Scipione scrive il suo nome per esteso e talvolta gli sembra persino troppo breve. In aggiunta a questo, come afferma Catone in più occasioni, quello che conta davvero è Scipione l’Africano e non il fratello, nient’altro che una sua scadente imitazione. Malgrado il titolo, il film non celebra gli eroi del passato, piuttosto li osserva con occhio disincantato, mettendo in discussione il culto della loro grandezza. Il Senato repubblicano diventa il palcoscenico per una riflessione originale e moderna: è giunto il tempo “de li omini novi”, figure meno titaniche, più comuni, ma forse reali e più umane.
Il Peplum si fa inchiesta ambientata nell’antica Roma
Embé, che te credevi? Questa non è l’ideale Repubblica de Platone, è la città fangosa de Romolo.
Scipione detto anche l’Africano è un film anomalo nella sua originalità dal momento che riprende il sottogenere “storico” del Peplum per trasformarlo in un’inchiesta giudiziaria in toga.
Nel corso della stesura della sceneggiatura, Magni si è preso diverse libertà e rischi, senza mai tradire la Storia, diversamente dal genere di riferimento, orientato più all’intrattenimento che alla fedeltà storica dei fatti narrati. L’opera di Magni è un tributo scanzonato, nonché una pellicola antitetica, al quasi omonimo Scipione detto l’Africano (1936) di Carmine Gallone, incentrato sulla figura del condottiero all’apice delle sue gesta gloriose. Citazione esplicita al film di Gallone è la presenza dell’attore Fosco Giacchetti, nelle vesti del senatore Aulio Gallo, che nella pellicola del 1936 aveva interpretato il sovrano Massinissa, qui in mano a un titanico Woody Strode – celebre per il ruolo del gladiatore Draba nel film Spartacus (1960) di Stanley Kubrick.
A differenza del personaggio eroico di Annibale Ninchi e Carmine Gallone, lo Scipione di Marcello Mastroianni e Luigi Magni è un uomo stanco, deluso, solo, incorruttibile, carico di tristezza, ma ancora fortemente attaccato ai principi repubblicani e con un inattaccabile senso dell’onore nei confronti della sua amata patria. Scipione è, dunque, un uomo cristallizzato nel passato e ancor più nell’immagine fiera del proprio profilo, inciso sulla superficie di una moneta antica.
“Il personaggio di Scipione mi sembra particolarmente interessante, giacché racchiude in se e nella sua storia tutte le contraddizioni che caratterizzano la vita di un uomo, e quindi di una società; in ogni tempo, senza distinzioni di civiltà e di regimi politici. Scipione era stato indubbiamente un uomo importante, aveva salvato la Patria in un momento decisivo per le sorti di Roma, ma purtroppo come sempre accade, gli uomini importanti alla fine risultano scomodi, danno fastidio: uno stato come quello romano, aveva bisogno di Scipione per vivere e di eliminarlo per sopravvivere”.
– Luigi Magni
La costruzione dei personaggi si basa su un gioco di somiglianze e di opposizioni: se l’onorevole sovrano Massinissa (Woody Strode) è il doppio dell’eroe epico Scipione, Catone è invece la sua nemesi, in quanto tesse gli intrighi nella speranza di gettare fango sulla fama imperitura dell’Africano. Sempre al Censore, infatti, è destinato il ruolo di avvocato dell’accusa, mentre il Senato diviene giudice del destino dello “sconosciuto” Scipione A. Similmente al protagonista, Catone è un uomo solo ma, a differenza dell’eroe, vive ancora con sua madre e trae piacere dalla compagnia di numerosi gattini – oltreché dagli strenui tentativi di incastrare Scipione. Un profilo, insomma, estremamente grottesco che mal si accorda con la raffinatezza di intelletto del celebre “Censore”. Scipione l’Asiatico, al contrario, incarna l’uomo nuovo decantato da Catone e dunque l’opposto del condottiero che sconfisse Annibale a Cartagine. Vigliacco, cinico, pragmatico e “sperperone”, l’Asiatico non risparmia battute taglienti del calibro di “’A Repubblica de li impicci” e non si fa problemi a mangiare a sbafo in compagnia degli schiavi. Questi ultimi si trovano comicamente a proprio agio nella loro condizione priva di libertà, al punto che hanno persino da ridire quando l’Africano decide di liberarli. Non è una casualità che il ruolo dell’Asiatico sia stato affidato a Ruggero Mastroianni, fratello minore di Marcello, celebre montatore e grande amico di Magni, che lo volle a tutti i costi, pur non essendo un attore. A proposito di questa esperienza cinematografica condivisa con il fratello, Marcello Mastroianni ironizzò in un’intervista:
“[Io e mio fratello] Una volta facemmo anche un film assieme. Il regista Gigi Magni lo volle a tutti i costi. Il film si chiamava Scipione detto anche l’Africano. E lui era Scipione detto l’Asiatico: un politicante ladrone. Del resto, son passati duemila anni, ma sempre lì stiamo. […] Quando Scipione detto anche l’Africano uscì, mia madre andò a vederlo. E mi disse: “Be’ Marcello, sì, tu sei bravo come sempre. Però il roscetto (sarebbe mio fratello Ruggero, che era rosso di capelli) – il roscetto è meglio di te!”.
– Marcello Mastroianni
Si può dunque comprendere quanto Scipione detto anche l’Africano non sia il classico film epico in costume, ma una commedia cinica che svela le ipocrisie dietro ai giochi di potere e il lato decadente di una Repubblica in cui non c’è più posto per gli incorruttibili e gli onesti. D’altronde, come rivela Catone, questa non è la Repubblica ideale di Platone, ma quella fangosa di Romolo e Remo, nata in seguito a un fratricidio. Controparte umana di questa mitica vicenda è l’esilarante scambio tra i due fratelli lungo rive del Tevere. Questo momento tragicomico sembra alludere sinistramente alla morte di Remo per mano di Romolo.
Scipione[Porgendo il gladio al fratello]: Tie’.
Scipione Asiatico: Che devo fa’?
Scipione: … romanamente!
Scipione Asiatico: No… ‘sti gesti saranno belli, ma io non li ho mai capiti.
Scipione: Uno Scipione non sopravvive al disonore!
Scipione Asiatico: Ma io sopravvivo benissimo a tutto!
Una Roma di ruderi e sognatori
“Me pare de esse’ un postero di me stesso. Ma nun me sarò sopravvissuto?”
Ulteriore elemento caratterizzante della pellicola è l’ambiente in cui si finge la scena, ovvero le rovine romane che divengono il palcoscenico dove gli attori recitano in tuniche colorate, toghe e calzari. Non si parla tanto di ruderi, quanto piuttosto di “una città vecchia, antica”, come afferma la scenografa Lucia Mirisola. La Roma di Scipione detto anche l’Africano è fatta “dal vero” e non dal cartone. E’ una Repubblica di pietre che respirano, specialmente nelle scene in Senato e nelle numerose sequenze notturne dedicate ai momenti intimisti di Scipione l’Africano e a quelli in cui Catone tesse gli intrighi. Nel corso del film, lo stesso spazio del Senato romano si trasforma nel palcoscenico di un teatro all’aperto con tanto di cavea dove siedono gli spettatori. Durante il processo, espediente impiegato spesso in ambito teatrale, i senatori assurgono al ruolo di coro, intervenendo e reagendo ai continui battibecchi tra Catone e Scipione.
“Sulla storia romana ho letto tanto, io facevo lettere all’università e mi sono sempre interessato alla storia, anche a quella contemporanea. C’è una frase di Marco Aurelio che mi piace molto: “Se non sai da dove vieni, non sai dove vai, ma non sai neanche dove sei”. Per questo in generale ritengo che conoscere la storia sia importante. Allo stesso tempo però in Scipione detto anche l’Africano ci siamo sbizzarriti con la ricostruzione di quella Roma tra scenografia e costumi. Lucia [Mirisola] ha inventato delle scenografie che si legavano bene ai ruderi archeologici. Infatti abbiamo girato pochissimo a Cinecittà, la gran parte del film l’abbiamo realizzata in varie zone tra Paestum, Pompei, la villa Adriana a Tivoli. Non volevamo fare la Roma di cartone, quella finta di tanti altri film, cercavamo una certa veridicità, tanto che a Pompei abbiamo ricostruito alcuni elementi architettonici e degli affreschi e i turisti gli facevano le foto scambiandoli per originali. Anche i costumi erano molto fantasiosi e colorati, quando di solito nei peplum classici si privilegiava, a torto, il bianco.”
– Luigi Magni
Sono stati scelti numerosi set all’aperto come il perimetro della villa di Literno dove la famiglia degli Scipioni viene costretta agli arresti domiciliari per ordine di Catone. I resti della fortificazione sono situati nel comune di Itri, in provincia di Latina. Lo spazio del Senato, invece, si trova nell’area archeologica di Pompei, in Via del Tempio d’Iside. Inconfondibile è il Teatro Marittimo di Villa Adriana dove il generale Massinissa rivela a Lucio Cornelio Scipione “l’Asiatico” la verità su sua moglie Sofonisba, da lui assassinata. Numerose scene sono state girate a Villa Ada e negli studi di Cinecittà, dove le location originali sono state talvolta ricostruite e trasformate in set artificiali. In aggiunta a ciò, alcune pitture parietali sono state realizzate ex novo dagli scenografi e collocate all’interno dei monumenti. Il regista racconta che, all’epoca delle riprese, numerosi turisti scattarono delle fotografie, convinti che quelle opere fossero autentiche. La formula è la stessa che Magni ha adottato per scrivere la sceneggiatura: la finzione incontra la realtà e si mescola con essa, o meglio, con la Storia.
Accanto all’ambiente in cui si muovono i personaggi, un altro elemento caratterizzante dello stile di Magni è senz’altro l’utilizzo comico del romanesco popolare all’interno di una storia sofisticata e di materia storica. Il regista approfondisce questo aspetto nel corso di una conferenza dell’ANAC (Associazione nazionale autori cinematografici) sottolineando il peso che la popolazione ebraica ebbe nella diffusione del giudaico romanesco, parlato da tutti i personaggi di Scipione detto anche l’africano:
“Noi abbiamo ereditato da questo romanesco, fatto di molti vocaboli che non ci appartengono e sono giudaico romaneschi. Quel tipo di ironia e di satira viene dal giudaico romanesco. Gli ebrei vennero a Roma nel 200 a.c. e praticamente ai tempi di questa storia qua e loro hanno portato anche questo tipo di umorismo che è rimasto. Ridere delle disgrazie, ridere delle cose serie. Tutto si può ridere e questo è diventato anche una tradizione romana.”
– Luigi Magni
In conclusione, Scipione detto anche l’Africano è un film comico che brulica di Vita, nonostante le rovine in cui è ambientato, il fatalismo intrinseco e lo sguardo disincantato dei suoi personaggi. E’ una pellicola, infatti, che si interroga sul momento in cui i grandi si rendono drammaticamente conto di essere diventati inutili alla loro contemporaneità. Per tale ragione, si conclude nel modo più comico e amaro possibile con uno Scipione non più in armatura scintillante e in groppa al suo destriero; vestito di abiti di tela e con un sacco da peregrino in spalla, il protagonista si allontana sopra un carretto al grido di: “ingrata patria, non avrai le mie ossa”. L’ultima parola è destinata a Giove capitolino (Turi Ferro) che sconsolato scuote la testa, mentre un latrato addolorato spezza il silenzio notturno: “zitta Lupa, che te piagni!”.

Scrivi un commento