Viva l’anarchia!
Urla Bartolomeo Vanzetti prima di sedere sulla sedia elettrica.
Una battuta potente pronunciata dalla voce tonante di Gian Maria Volonté nelle ultime scene del film Sacco e Vanzetti (1971), capolavoro diretto Giuliano Montaldo e scritto dallo stesso regista, da Fabrizio Onofri e infine da Ottavio Jemma. Una frase incisiva che è stata tagliata dalla colonna sonora della versione diffusa in Rai per favorire la vendita sul piccolo schermo. Una battuta che, malgrado le contromisure, risuona comunque attraverso il muto movimento labiale di Volonté.

Il caso giudiziario tra storia e cinema

Sacco e Vanzetti è una pellicola del 1971 coprodotta da Italia e Francia e per questo con un cast piuttosto variegato: Gian Maria Volonté nel ruolo di Bartolomeo Vanzetti, Riccardo Cucciolla in quello di Nicola Sacco, ma anche Rosanna Fratello, Cyril Cusack, Milo O’Shea, William Prince, Marisa Fabbri, Sergio Fantoni e Armenia Balducci. La storia è ambientata nella Boston degli anni ’20 e ricalca la vicenda realmente accaduta che ha interessato i due anarchici italiani, Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco, un pescivendolo e un calzolaio, i quali vennero arrestati il 5 maggio del 1920 in quanto trovati in possesso di alcuni manifesti di propaganda anarchica e delle armi. A seguito di ciò, ai due venne attribuita ingiustamente una rapina avvenuta il 24 dicembre del 1919 all’interno del calzaturificio locale di Bridgewater e conclusasi a South Braintree con un duplice omicidio. Nonostante l’alibi solido e la confessione di uno dei veri responsabili del crimine, nel 1921 il giudice Webster Thayer decise comunque di condannarli a morte, grazie al controverso operato del procuratore Frederik Katzmann. Al fine di comprendere la vicenda, appare necessario inquadrare il caso giudiziario all’interno del clima di violenta ostilità, risentimento e diffidenza, fomentato da pregiudizi xenofobi ed episodi razziali, che si respirava nell’America di Woodrow Wilson nei confronti degli immigrati italiani, degli anarchici e dei comunisti. Per tale ragione, il caso di Sacco e Vanzetti fece il giro del mondo, finendo sui quotidiani internazionali e alimentando numerose proteste che si mobilitarono per chiedere a gran voce la loro liberazione. La notizia raggiunse persino l’élite intellettuale al punto che numerose personalità di rilievo, come Bertrand Russell, George Bernard Shaw, Herbert George Wells e Albert Einstein, si schierarono dalla parte dei due imputati. Malgrado ciò, Sacco e Vanzetti vennero giustiziati sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927.
In quegli anni in Italia il fascismo era salito al potere da pochi anni e stava già dando sfoggio dei suoi strumenti repressivi contro i nemici dello Stato – solo a tre anni prima risaliva l’assassinio dell’onorevole Matteotti; eppure, il Corriere della Sera decise di dedicare un pezzo alla drammatica ingiustizia che coinvolse i due anarchici italiani. Una frase spiccava su quell’articolo di sei colonne: Erano innocenti“.

Poco dopo loro morte, Sacco e Vanzetti divennero dei simboli di libertà e di resistenza contro le ingiustizie perpetrate dagli uomini nei confronti di altri uomini, giudicati pericolosi per l’ordine pubblico a causa della loro diversità razziale, etnica, politica e religiosa. La canzone “Here’s to you” con musica di Ennio Morricone e testo di Joan Baez è la colonna sonora del film di Montaldo, ma anche un inno struggente che consegna alla storia il loro sacrificio, esaltando il coraggio e l’umanità che Sacco e Vanzetti hanno dimostrato sino alla fine dei loro giorni:

«Here’s to you, Nicola and Bart
Rest forever here in our hearts
The last and final moment is yours
That agony is your triumph.»

Le parole della canzone sono ispirate a una dichiarazione che Bartolomeo Vanzetti aveva rilasciato tre mesi prima dell’esecuzione al giornalista Philip D. Strong per il periodico Nord America Newspaper Alliance:

Se non fosse stato per queste cose, avrei probabilmente vissuto la mia vita là fuori, parlando agli angoli delle strade con uomini disprezzati. Sarei potuto morire trascurato, sconosciuto, un fallimento. Ora noi non siamo un fallimento. Questa è la nostra carriera e il nostro trionfo. Nella nostra intera vita non avremmo mai potuto sperare di realizzare una simile missione in favore di Tolleranza, Giustizia e Comprensione fra gli esseri umani come adesso stiamo facendo accidentalmente. Le nostre Parole – le nostre Vite – le nostre Pene – non hanno alcuna importanza. Il vero fine delle nostre esistenze – le vite di un buon calzolaio e di un povero pescivendolo – è aver fatto tutto questo! L’ultimo e definitivo istante ci appartiene – una tale Agonia è il nostro Trionfo!

Il film di Montaldo restituisce i fatti storici con scrupolosa fedeltà, arrivando persino a svelare i retroscena più scomodi. La narrazione filmica si sviluppa, infatti, lungo due direttrici, quella giudiziaria e quella politica. Nel primo caso ci si concentra principalmente sulla vicenda di Sacco e Vanzetti, all’interno della quale si esplicano le tematiche inerenti alla corruzione del sistema giudiziario americano, al razzismo e alla xenofobia insite nella società statunitense. Emerge chiaramente come il procuratore Katzman abbia strumentalizzato questi elementi per volgere la condanna a sfavore dei due imputati, giudicati colpevoli per le loro idee e la loro origine più che per i crimini che gli sono stati attribuiti; nel secondo, invece, la questione si estende all’universale e si impegna ad analizzare tanto la risonanza che il caso giudiziario ebbe nell’Europa del tempo quanto il complesso rapporto tra Stato e corpo “estraneo”, sempre guardato con sospetto e ritenuto sovversivo o “anormale” all’interno del sistema costituito.

Bartolomeo Vanzetti, il mattatore che finì sulla sedia elettrica

La pellicola di Montaldo è un boccone amaro da ingoiare dal momento che pone davanti allo spettatore la realtà della vicenda in tutta la sua crudezza. Montaldo non edulcora i fatti in alcun modo, piuttosto si ostina a sostenere e a comprovare la tesi scomoda del delitto di Stato. Tale senso di ingiustizia viene ulteriormente fomentato dal celebre discorso che Gian Maria Volonté declama dinanzi alla corte. Parole che sono state realmente pronunciate da Vanzetti all’epoca della condanna e che, a causa del loro statuto testimoniale, sono state riprese fedelmente all’interno del film:

Sì, ho da dire che sono innocente. In tutta la mia vita non ho mai rubato, non ho mai ammazzato; non ho mai versato sangue umano, io. Ho combattuto per eliminare il delitto. Primo fra tutti: lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. E se c’è una ragione per la quale sono qui è questa, e nessun’altra. Una frase, una frase signor Katzmann, mi torna sempre alla mente: “Lei, signor Vanzetti, è venuto qui nel paese di Bengodi per arricchire”. Una frase che mi dà allegria. Io non ho mai pensato di arricchire. Non è questa la ragione per cui sto soffrendo e pagando. Sto soffrendo e pagando per colpe che effettivamente ho commesso, sto soffrendo e pagando perché sono anarchico… e me sun anarchic! Perché sono italiano… e io sono italiano. Ma sono così convinto di essere nel giusto che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e io per due volte potessi rinascere, rivivrei per fare esattamente le stesse cose che ho fatto. Nicola Sacco… il mio compagno Nicola! Sì, può darsi che a parlare io vada meglio di lui. Ma quante volte, quante volte, guardandolo, pensando a lui, a quest’uomo che voi giudicate ladro e assassino, e che ammazzerete… quando le sue ossa, signor Thayer, non saranno che polvere, e i vostri nomi, le vostre istituzioni non saranno che il ricordo di un passato maledetto, il suo nome, il nome di Nicola Sacco, sarà ancora vivo nel cuore della gente. Noi dobbiamo ringraziarli. Senza di loro noi saremmo morti come due poveri sfruttati. Un buon calzolaio, un bravo pescivendolo, e mai in tutta la nostra vita avremmo potuto sperare di fare tanto in favore della tolleranza, della giustizia, della comprensione fra gli uomini. Voi avete dato un senso alla vita di due poveri sfruttati!

L’appassionata performance attoriale di Volonté si scontra con quella pacata di Cucciolla e ci svela la straordinaria differenza caratteriale dei due protagonisti accomunati dal triste destino: la tenacia speranzosa e idealista di Vanzetti si accompagna alla disillusione di Sacco che, dinanzi alla domanda della corte “avete qualcosa da aggiungere”, congeda il suo pubblico con un “No” secco, pronunciato con sguardo carico di dignità e umana rassegnazione. Il suo vero sentire sarà comunicato in privato al figlioletto Dante con un’ultima lettera struggente che molti anni dopo farà il giro del mondo, divenendo una promessa di lotta continua contro le disuguaglianze. Se Nicola Sacco scelse la via della protesta intima e silenziosa, Bartolomeo Vanzetti preferì quella del pubblico monito e delle parole. Nella loro diversità, tuttavia, erano entrambi consapevoli che la giuria li ha odiati sin dal primo momento in cui hanno messo piede in quell’aula e che i loro primi avvocati li hanno venduti senza farsi troppi scrupoli. Nel trasmettere ciò, mentre Cucciolla si esprime attraverso lo sguardo, Volonté preferisce utilizzare la voce. Due armi, tuttavia, fortemente valide per scalfire l’emotività dello spettatore, testimone impotente del misfatto.
Memorabile è la confessione di una delle guardie che si trovava alle spalle di Volonté durante la scena in tribunale. Dinanzi all’ardore dell’attore nell’interpretare quel monologo, la comparsa non riuscì a trattenersi e scoppiò in lacrime interrompendo la ripresa. Dopo la scena l’uomo andò dal regista estremamente rammaricato e gli rivelò: “A dottò, me scusi, ma ‘sto Volonté me commuove davvero”. Nel 1977, sei anni dopo l’uscita del film e dopo cinquant’anni dall’esecuzione, Michael Dukakis l’allora governatore del Massachusetts, riconobbe ufficialmente l’innocenza di Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco, ponendo fine alla loro agonia, ma rendendo ancora più immortale la loro voce.

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Benedetta Lucidi,
Redattrice.