“Come mai sei caduto dal cielo,
Lucifero, figlio dell’aurora?
Come mai sei stato steso a terra,
signore di popoli?Eppure tu pensavi:
Salirò sulle regioni superiori delle nubi,
mi farò uguale all’AltissimoE invece sei stato precipitato negli inferi,
nelle profondità dell’abisso!”Isaia 14, 12-15
Blade Runner, 1982, capolavoro di Ridley Scott e della storia del cinema che ha cambiato per sempre l’immaginario fantascientifico moderno.
La trama la conosciamo tutti: Los Angeles, 2019, un gruppo di Replicanti ribelli e pericolosi fugge dall’Extra Mondo per raggiungere il loro creatore, il Dottor Eldon Tyrell, nel tentativo di eliminare il loro limite di vita programmato e liberarsi dunque dalla loro condizione di schiavitù. Sulle loro tracce si metterà Rick Deckard, ormai ex poliziotto, che avrà il compito di scovare Roy Batty e compagni e ritirarli.
Fino a qui niente di nuovo, ma se il personaggio di Harrison Ford non fosse il protagonista? Se fosse, per assurdo, l’antagonista? Analizzando i personaggi presenti in Blade Runner è chiaro come la figura più complessa, più sfaccettata e l’unica che compie, di fatto, un vero e proprio “percorso” (un ipotetico viaggio dell’eroe) sia appunto Roy Batty.
Un esempio dell’architettura distopica e futuristica di Blade Runner, uscito nel 1982 e ambientato nel 2019.
Il leader dei Replicanti è talmente interessante da un punto di vista simbolico e filosofico da poter essere paragonato a un Lucifero Fantascientifico, lui e il suo gruppo infatti fuggono dal Paradiso, rappresentato dall’Extra Mondo, cadendo ribelli in un luogo infernale e oscuro come la Terra che ci viene presentata da Scott (non è un caso se alcune tra le prime parole pronunciate da Roy siano proprio “Avvampando gli angeli caddero”).
In effetti i Replicanti vengono descritti come una vera e propria razza superiore, più forti e più intelligenti degli umani, lo stesso Tyrell durante l’incontro con Batty lo ammira ed è orgoglioso di ciò che ha realizzato, la sequenza in questione è indubbiamente una delle scene più intense di tutto il film, il momento in cui Creatore e Creatura si trovano uno di fronte all’altro.
Qui più che mai il parallelismo Dio-Lucifero è efficace: Roy chiama “Padre” l’uomo che lo ha creato e dal quale è considerato come un Figliol Prodigo, il prediletto e più amato tra tutti (altro evidente richiamo religioso). Egli infatti viene definito come l’essere perfetto, la luce più luminosa, che però bruciando più intensamente delle altre è destinata inevitabilmente a spegnersi più in fretta nella gloria della sua stessa perfezione.
L’opera di Alexandre Cabanel “The Fallen Angel” rappresentante Lucifero.
Tutto questo, però, non è sufficiente. Nonostante lui sia un Replicante, dipinto fino a quel momento come freddo e privo di sentimenti, è spinto dal più umano degli istinti, la voglia di vivere e l’affermazione di sé come individuo e non solamente come creatura, egli vuole infatti elevarsi sullo stesso livello del suo Creatore, vuole essere uguale a Dio e comprendendo che ormai è destinato a morire uccide Tyrell, cosicché almeno nella morte non ci sia più differenza tra Uomo e Macchina
Il punto di svolta dell’evoluzione del personaggio di Roy è tutto qui, egli prende coscienza di sé e capisce che i suoi sentimenti non sono diversi da quelli degli umani, l’amore che prova per Pris è reale, la disperazione e il dolore per la sua morte lo colpiscono così come colpirebbero chiunque, dove sta quindi la differenza tra lui e gli uomini? La conclusione del film ci mostra chiaramente che questa distanza non esiste.
Dopo il combattimento finale tra Batty e Deckard, il replicante si dimostra addirittura più umano degli umani salvando colui che ha ucciso tutti i suoi compagni e che avrebbe ucciso anche lui (di nuovo non è casuale che Roy appaia con una colomba tra le mani, simbolo biblico di purezza), capendo alla fine del suo percorso che ciò che è davvero importante non è la sua origine, non è l’artificiosità dei suoi ricordi, bensì ciò che egli ha provato nella sua vita, il timore di morire che sente in quel momento, la paura e la consapevolezza che tutto quello che ha visto e che ha fatto svanirà nell’oblio “come lacrime nella pioggia”.
Al contrario Deckard, vero villain della storia in questa chiave di lettura, ci viene dipinto per tutta la pellicola come l’Umano, legittimato ad uccidere gli Androidi in quanto inferiori, nella scena d’amore con Rachel (anch’essa un Replicante) emerge infatti la sua convinzione atavica di essere superiore in quanto Uomo e la fa sua quasi contro la volontà della donna. Ironicamente l’ultima scena del film ribalta completamente tutto ciò su cui questa mentalità gerarchica si basa, Deckard stesso è solo una pedina, un angelo inconsapevolmente sottomesso a Dio, un assassino prigioniero delle sue convinzioni, convinto di un’umanità che non gli appartiene e che non gli è mai appartenuta.
Harrison Ford nei panni di Rick Deckard.
Il monologo finale di Roy Batty, interpretato da Rutger Hauer (che qui ha, in buona parte, improvvisato).
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Grazie!