Al nome di Roger Corman è stata spesso associata la definizione di artigiano del cinema, un artista capace di creare opere notevoli e iconiche con pochissimi mezzi durante tutta la sua carriera, nonché uno di quei registi e produttori che, dopo aver avuto un’importante influenza sulla storia della settima arte, sono finiti nel dimenticatoio negli ultimi decenni. Definito come il “papà del cinema pop”, il suo lavoro pionieristico nel mondo del cinema indipendente ha portato alla realizzazione di più di 50 film come regista e più di 300 lungometraggi come produttore, facendo da mentore a nomi pesantissimi come Francis Ford Coppola, Ron Howard, Martin Scorsese, Jonathan Demme, Peter Bogdanovich, Joe Dante e James Cameron, e lanciando le carriere di star come Peter Fonda, Jack Nicholson, Dennis Hopper, Bruce Dern e Sylvester Stallone, influenzando notevolmente il movimento della New Hollywood negli anni ‘60 e ‘70. 

Da regista, il ciclo di pellicole più fortunato della carriera di Roger Corman è senza ombra di dubbio la serie tratta dalle opere del grande scrittore americano Edgar Allan Poe, realizzata per l’American International Pictures e legata a doppio filo anche a un’altra figura mitologica del cinema horror anni 50’ e 60’: l’istrionico e troppo dimenticato Vincent Price, definito per la sua recitazione semiseria e il suo atteggiamento da aristocratico il contraltare statunitense di Boris Karloff. Il contributo alla riuscita di molte delle migliori opere del ciclo va anche accreditato alle sceneggiature di Richard Matheson, famoso scrittore statunitense autore del libro Io sono leggenda, trasposto e pesantemente rivisitato nel 2007 dall’omonimo film con Will Smith, ma soprattutto nel 1964 con il delizioso L’ultimo uomo sulla terra per la regia del nostrano Ubaldo Ragona e di Sidney Salkow con protagonista Vincent Price, film a cui si deve il merito di aver ideato e messo in scena dei proto-zombie, i quali hanno ispirato il grande George A. Romero per il suo La notte dei morti viventi. Questo microcosmo ideato da Poe e filtrato dalla mente di Corman si compone di sette pellicole, non tutte ugualmente riuscite, ma che compongono un progetto caratterizzato da una grande uniformità stilistica, spesso di impostazione teatrale, con la narrazione sviluppata in poche ambientazioni visto il basso budget a disposizione, e capace di creare piccole chicche che entrano di diritto nella storia del cinema. 

HOUSE OF USHER

La prima opera è House of Usher del 1960, basato sul racconto “The Fall of the House of Usher”, realizzata con l’utilizzo di soli quattro attori, capitanati da un perfetto Vincent Price, i cui personaggi vengono schiacciati dal peso di un destino superiore e incontrollabile che annienta la loro razionalità. Il regista ha il merito di creare tensione e un’atmosfera estremamente cupa, rendendo viva la casa degli Usher, con i suoi tremolii e gli inquietanti ritratti di famiglia. Questa pellicola, come negli altri film di questo ciclo, prende solo ispirazione dagli scritti di Poe, prelevandone l’elemento di terrore  più semplice da comprendere per chiunque: la sepoltura prematura, tema ripreso anche in alcuni dei film successivi, tra cui uno intitolato proprio Premature Burial. Con questa prima opera Corman imposta le regole e lo stile che avrebbe esasperato nelle pellicole successive, costruendo un film riuscito e ancora oggi considerato un cult.

THE PIT AND THE PENDULUM

Appena un anno dopo arriva nei cinema The Pit and the Pendulum, basato sull’omonimo racconto, che si rivela essere una delle punte di diamante di questo ciclo di pellicole, nonché forse l’opera più famosa di tutta la filmografia di Corman. A fianco di un ispirato e luciferino Vincent Price, uno dei ruoli più importanti all’interno del film viene affidato all’iconica Barbara Steele, attrice britannica protagonista di La maschera del demonio, capolavoro del regista nostrano Mario Bava. Anche The Pit and the Pendulum viene costruito come un’analisi psicanalitica, approccio comune in quasi tutti i titoli ispirati da Poe, rappresentando di fatto una discesa negli abissi dell’inconscio, simboleggiati in questo caso dalla camera delle torture, posta nel profondo della terra e realizzata attraverso le maestose e mai così ispirate scenografie di Daniel Haller. Durante tutta la pellicola Corman gioca molto con la palette cromatica, realizzando flashback in bianco e nero con sfumature di blu, che va a provocare una sensazione di malessere e a ricordare gli oscuri meandri dell’inconscio. Un film posato e al contempo psichedelico, The Pit and the Pendulum è un piccolo capolavoro da riscoprire per i fan dell’horror e del cinema in generale. Il medesimo racconto di Poe fu nuovamente adattato trent’anni dopo da Stuart Gordon, un altro maestro del cinema horror a basso budget, famoso principalmente per la pellicola Re-Animator.

THE PREMATURE BURIAL

Nell’anno successivo Corman torna al cinema con The Premature Burial, tratto dall’omonimo racconto, unico film realizzato senza Vincent Price, sostituito in questo da un bravo Ray Milland e usufruendo di un giovane Francis Ford Coppola come assistente alla regia. Il film rappresenta il primo passo falso della serie, nonché forse la pellicola meno riuscita tra le sette opere. L’assenza di Richard Matheson alla sceneggiatura si sente e il film risulta essere eccessivamente statico e realizzato con poco mordente, dando l’impressione più di una volta di assistere a un cortometraggio allungato su 80 minuti. Pur molto artigianali, vanno segnalate le ottime scenografie di ispirazione gotica e le musiche.

TALES OF TERROR

Nello stesso anno di The Premature Burial, a dimostrazione della maestria e prolificità con cui Corman era in grado di realizzare numerosi progetti in poco tempo e con ottimi risultati, esce Tales of Terror, film a episodi che adatta i racconti Morella, The Black Cat, The Cask of Ammontillado e The Facts in the Case of M. Valdemar. Nel secondo episodio compare anche il grande Peter Lorre, stretto amico di Vincent Price e famoso per la sua interpretazione in M – Il mostro di Düsseldorf di Fritz Lang. Se nel primo dei tre blocchi Corman si limita a mettere in scena una storia sulla falsariga di quanto già fatto precedentemente, nel secondo, che unisce  The Black Cat e The Cask of Ammontillado il regista comincia a sperimentare la riuscita unione tra ossessioni psicologiche tipiche dei racconti Poe e la commedia, realizzata grazie alla splendida prova di un ubriachissimo Peter Lorre, mentre nel terzo spinge sull’acceleratore della componente horror, con la presenza di un leggero splatter non usuale per i film dell’epoca.

THE RAVEN

Passa un altro anno e Corman produce The Raven, filmato in appena 15 giorni e ispirato all’omonima poesia di Poe che in questo caso funge solo da incipit. La drammaticità e la disperazione della controparte letteraria viene qui completamente abbandonata a favore della commedia e del fantasy, in un’opera che smonta i meccanismi dei film horror. Corman colleziona per questa occasione un cast di eccezione: a fianco di Vincent Price troviamo nuovamente un ubriachissimo Peter Lorre, il grande Boris Karloff e un giovanissimo Jack Nicholson, che si era messo precedentemente in mostra in un altro film cult del regista: The Little Shop of Horrors. The Raven è un film volutamente parodistico, con Price e Lorre battitori liberi nel creare gag spassosissime, a cui Karloff fa da contraltare con la sua recitazione sempre posata. Nonostante il basso budget, la cura della messa in scena è ineccepibile e il film regala un meraviglioso duello di magia, realizzato attraverso trucchi di montaggio e con una straordinaria inventiva che fa impallidire la staticità e normalità di molta magia messa in scena ad esempio della saga di Harry Potter. Uno dei capitoli più riusciti del ciclo.

THE MASQUE OF THE RED DEATH


Nel 1964 è il turno di quello che per il sottoscritto è il miglior film di Roger Corman,
The Masque of the Red Death, caratterizzato da scenografie di stile barocco unito al gotico di grande fascino. L’impostazione teatrale è sempre presente, anche se in questo caso il numero di ambientazioni aumentano. Alla nebbia dell’esterno fa da contraltare l’esplosione dei colori nel castello del diabolico Principe Prospero (un cattivissimo Vincent Price), colori simboleggianti anche una progressiva connessione profonda col maligno, con l’alternarsi di diverse stanze all’interno dell’edificio caratterizzate da colori sempre più tendenti al rosso. Numerosi sono i riferimenti a Il settimo sigillo di Bergman e stilisticamente sembra che Stanley Kubrick abbia preso ispirazione da questo film per alcune scene di Eyes Wide Shut. Questa opera risulta essere sicuramente la più politica tra quelle del ciclo, con Corman che ci mostra un medioevo decadente e sull’orlo dell’abisso, rappresentato da una casta di nobili volgari e corrotti, e da un ceto meno abbiente costretto dai potenti e dalla pandemia a compiere efferatezze e ad abbandonare la propria natura umana. Su un mondo come questo l’epidemia della Morte Rossa è pronta a calare la sua scure democratica, portando morte in ogni angolo del Principato. Un capolavoro del cinema horror e del cinema tutto.

THE TOMB OF LIGEIA

Il rapporto di Corman con Edgar Allan Poe si conclude nel 1965 con The Tomb of Ligeia, basato sul racconto Ligeia, che risulta essere il capitolo più luminoso con  il maggior numero di ambientazioni diurne, prive di nebbia e in generale meno debitore dello stile gotico, dell’intero ciclo. Proprio con l’ultimo capitolo il regista sembra voler tornare ad essere più fedele ai toni dell’opera originale, dopo aver sperimentato diverse interpretazioni con i film precedenti. La pellicola tuttavia, pur impreziosita dall’onnipresente e deliziosa interpretazione di Vincent Price, al netto di alcune interessanti sequenze oniriche realizzate con uno stile psichedelico e giocando molto con la deformazione dell’immagine, mostra il fianco a una certa stanchezza nella messa in scena, risultando nel complesso un passo indietro rispetto al grande acuto di  The Masque of the Red Death

Con  The Tomb of Ligeia si chiude il rapporto di Corman con Edgar Allan Poe, sette pellicole di diverso livello che rappresentano in ogni caso un unicum nella storia del cinema, legate a nomi di grandi artisti e filtrate dalla mente geniale del regista del Michigan.

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Luca Orusa, Caporedattore