È un ormai chiaro che Robert Pattinson sia un attore di indiscutibile talento e straordinaria versatilità. Tuttavia, è difficile dimenticare quanto a lungo sia rimasto legato al personaggio di Edward Cullen nella saga di Twilight. Un destino comune a quello degli attori protagonisti delle due più importanti saghe fantasy degli anni duemila, ovvero Elijah Wood nella trilogia del Signore degli Anelli e Daniel Radcliffe in Harry Potter. Per questo trio, liberarsi dell’ombra dei loro alter-ego è stata un’impresa ardua.
Radcliffe e Pattinson, in particolare, hanno intrapreso percorsi simili nel tentativo di distinguersi dai ruoli che li avevano resi celebri, dedicandosi a progetti radicalmente diversi dai precedenti, ma con risultati differenti. Mentre Radcliffe ha seguito un percorso artistico decisamente atipico, orientandosi verso produzioni indipendenti e performance teatrali, prendendo le distanze dal cinema mainstream; Pattinson ha goduto di una costante ascesa in termini di qualità. Ha ottenuto un notevole successo non solo nei film diretti da autori affermati come David Cronenberg, Werner Herzog o Claire Denis, ma anche nelle opere di registi emergenti nel panorama del cinema d’autore. Film come Good Time e The Lighthouse, diretti rispettivamente dai fratelli Josh e Benny Safdie e da Robert Eggers, devono parte della loro popolarità proprio alle eccellenti performance di Pattinson.
Il lavoro, durato un decennio, svolto dall’attore una volta conclusa la saga di Twilight lo ha ricompensato, permettendogli di ricoprire il ruolo di Bruce Wayne in The Batman diretto da Matt Reeves. Il progetto si inserisce nella corrente cinematografica contemporanea dei “blockbuster d’autore”, film ad alto budget con caratteristiche tipiche dei blockbuster tradizionali, ma realizzati a partire dall’idea di un autore che imprime la propria cifra stilistica. Christopher Nolan è senza ombra di dubbio la figura cardine per questo tipo di cinema, e non è un caso che nel suo Tenet Robert Pattinson ricopra un ruolo primario.
L’immagine dell’attore britannico ha quindi subito una netta trasformazione nel corso degli anni, un percorso con una genesi ben definita che si può individuare nella sua prima collaborazione con il già citato David Cronenberg nel film Cosmopolis.
Distruggere il passato per creare il futuro
“È una cosa tipica del genio. Il genio altera il proprio habitat. La tecnologia è essenziale per la civiltà, perché ci permette di plasmare il nostro destino.”
Vija Kinsky (Samantha Morton)
Il film, tratto dall’omonimo romanzo di Don DeLillo, racconta il tentativo del miliardario Eric Packer (Robert Pattinson) di attraversare Manhattan a bordo della sua limousine per recarsi dal proprio barbiere di fiducia. Ma la visita del presidente degli Stati Uniti, una manifestazione anarchica e il funerale di un rapper bloccano la città, costringendo l’auto di Packer a procedere a passo d’uomo. In questo paradossale contesto, dove il caos del mondo esterno sembra essere irrilevante all’interno della limousine, il protagonista riceve la visita delle persone che compongono il suo mondo sentimentale e professionale fino a raggiungere la meta prefissata.
Ancora una volta, l’attenzione del regista è attratta dalle trasformazioni radicali che influenzano i suoi personaggi, con la differenza che in questo caso il protagonista si trova ad affrontare la mutazione di un intero sistema socio-economico. L’ossessione di Cronenberg per il corpo rimane un tema cruciale, ma non è più il fulcro della riflessione; piuttosto, diventa una conseguenza della crisi in atto.
Cosmopolis è infatti un’opera che racconta una crisi globale e segue un personaggio determinato a non essere coinvolto dal cambiamento inesorabile che lo circonda. La limousine diventa perciò il dispositivo principale per mettere in atto questo isolamento: insonorizzata, antiproiettile e dotata di un’enorme quantità di monitor che forniscono una panoramica in tempo reale di quanto accade nel mondo, permette al giovane Packer di osservare il collasso della società da un rifugio sicuro.
La distanza che si stabilisce tra il protagonista e gli eventi che condizionano la sua attività quotidiana gli conferisce un senso di controllo, o almeno un’illusione di esso. Grazie al suo patrimonio, Packer ha accesso a una vasta gamma di dispositivi tecnologici all’avanguardia con cui tiene sotto controllo ogni aspetto della propria esistenza.
Il possedimento di beni materiali diventa un aspetto cruciale del proprio mondo; l’esercizio di questo potere è l’unico modo rimasto per manifestare il proprio successo. Finché può essere il proprietario di qualcosa di unico il suo mondo sembra ancora rimanere in equilibrio. La limousine è un primo esempio di questo potere, resistendo ai tumulti fino alla conclusione del film e fungendo da rifugio per Eric e chiunque riesca a salirci a bordo.
Tuttavia, emergono altri due esempi che enfatizzano il funzionamento di questo meccanismo ma anche la sua reale fragilità. Da un lato, c’è un aereo militare non funzionante, posseduto da Eric nonostante la sua inutilità, e venerato come un mero simbolo del suo potere economico.
Dall’altro, c’è il funerale del rapper Brutha Fez. L’evento, che interferisce nei piani di Eric di sistemarsi il taglio di capelli, procede per tutta la giornata per volere dei familiari, affinché i fan possano rendergli omaggio. Tuttavia, la casa discografica vorrebbe sfruttare l’evento a fini commerciali, mostrando un capitalismo estremo privo di qualsiasi valore morale.
Ciò che sconvolge Packer sono le implicazioni del suo rapporto con la musica di Fez. Viene sottolineato, infatti, che in uno dei suoi due ascensori viene riprodotta esclusivamente la musica del rapper. L’incredula reazione alla notizia della morte mette così in discussione l’idea del possesso come mezzo di controllo sugli aspetti della propria vita, quasi come se Packer fosse stato convinto di aver posseduto il rapper.
Ma l’ossessione del protagonista per il controllo raggiunge il culmine nella sequenza in cui viene raggiunto da un medico che lo sottopone a uno scrupoloso check-up a bordo del veicolo, un rituale che si compie quotidianamente. Al termine della visita, il medico, prevedibilmente, gli comunica di godere di ottima salute. Tuttavia, dopo un accurato esame della prostata, gli rivela che questa ha una forma asimmetrica.
Tutta questa faccenda è storia
“Sai qual è il difetto della razionalità umana? Finge di non vedere l’orrore e la morte con cui si concludono le sue macchinazioni”
Vija Kinsky (Samantha Morton)
È evidente che il personaggio interpretato da Pattinson sia un individuo che ripone una fede incrollabile nel potere del denaro, facendo affidamento su di esso per potersi estraniare dai problemi del mondo, mantenendo però uno sguardo attento su di essi, convinto di poterli evitare. Cronenberg decide di strutturare il film procedendo per mezzo di un costante accumulo di elementi che minano questa sicurezza, controbilanciati dalla genialità e dalla prontezza del giovane. Emerge così la figura di un uomo così ambizioso da credere di poter resistere da solo al cambiamento in corso; in diversi momenti, infatti, osserva divertito i manifestanti anarchici che annunciano il collasso della società capitalistica.
Ma aldilà delle apparenze, Packer non è immune allo sgretolamento del proprio impero. Le dinamiche che per lui erano un esercizio di potere attivo si trasformano in strategie di autoconservazione all’interno della bolla in cui ha scelto di vivere, ma che inconsapevolmente determinano la sua rovina.
Il confronto finale con Benno Levin (Paul Giamatti) è fondamentale per riuscire a chiarire la reale caratterizzazione del personaggio. Quest’ultimo si trova per la prima volta a fare qualcosa a cui sembra non essere più abituato: ragionare al di fuori dei propri schemi. Quasi tutte le interazioni con gli altri personaggi erano prevalentemente un tentativo di affermare le proprie idee e la propria visione del mondo. In questa sequenza, invece, si misura con un personaggio che rappresenta l’altra faccia della medaglia, ciò che il sistema in cui ha sempre creduto sta lasciando alle spalle.
Packer si ritrova sconfitto dopo aver puntato contro l’aumento del valore dello Yuan cinese; difatti, non è stato in grado di interpretare il suo andamento imperfetto. Il segreto del suo successo risiedeva nella capacità di organizzare tutto secondo una logica precisa, ispirata alle strutture matematiche presenti in natura. Adottando questa visione come unica possibilità, Packer ha eliminato l’imprevedibilità dall’equazione che governava la sua vita e il suo successo. Ma cercando di isolarsi e di ignorare la casualità, si è reso più vulnerabile quando questa, inevitabilmente, si è presentata.
“Più è visionaria l’idea, più persone rimangono indietro.”
Vija Kinsky (Samantha Morton)
La crescita dello Yuan e l’asimmetria della prostata sono proprio gli elementi caratterizzati dalla casualità che hanno definitivamente portato Eric a riconoscere il fallimento della sua strategia. Nella sequenza finale, Benno rappresenta quindi una sorta di riflesso capovolto ed oscuro di Eric, una diversa vittima del medesimo sistema. Un uomo finito, del tutto disinteressato all’autoconservazione, che anziché razionalizzare, asseconda le proprie paranoie, noncurante del fatto che queste possano o meno essere reali – ad esempio, è convinto che i propri genitali si stiano ritirando all’interno dell’addome.
Avendo lavorato per Eric, Benno ha assimilato la sua visione del mondo, razionale e calcolatrice, ma questa lo ha consumato al punto da fargli perdere fiducia in qualsiasi tipo di struttura. Per Benno, l’irregolarità è la norma. Mentre Eric controlla quotidianamente il proprio stato di salute, Benno non tiene nemmeno più il conto dei propri anni di età.
Stilisticamente distante dalla produzione più nota di Cronenberg, privo del tipico gusto per ciò che è organico e viscerale, Cosmopolis è ad ogni modo un’opera che arricchisce la filmografia del regista. Aggiungendo questo tassello al mosaico della mutazione che è il suo cinema, Cronenberg trasforma anche l’immagine di Robert Pattinson. L’attore si dedica qui a un personaggio algido, con cui è impossibile entrare in sintonia, risultando anzi decisamente respingente, se non addirittura ripugnante se confrontato con i ruoli precedenti.
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