È il 1961, lo psicologo statunitense Stanley Milgram, memore degli eventi accaduti durante la Seconda Guerra Mondiale, pone un quesito che cambierà l’intera storia della psicologia: i soldati nazisti erano realmente delle persone senza scrupoli o si comportavano come tali per obbedire agli ordini dei superiori? È possibile che qualcuno si senta in dovere di rispettare l’autorità anche quando gli viene ordinato di commettere azioni che vanno contro i propri principi morali? Solo qualche mese prima stava iniziando il processo a Gerusalemme contro Adolf Eichmann.
L’esperimento
Nell’agosto 1961, Milgram spedisce alcuni annunci in cui chiedeva a persone comuni di partecipare a un “esperimento sulla memoria”, e una volta raggiunto un numero adeguato di candidati, si approccia a mettere in atto il suo piano. Ora immaginate di essere voi una delle cavie: Milgram vi conduce all’interno di una stanza e vi piazza davanti al pannello di controllo di un quadro elettrico con tanto di interruttori e leve. Il vostro compito è quello di “interrogare” un’altra persona, situato in un’altra stanza, dettando alcune coppie di parole che “l’allievo” avrebbe poi dovuto ripetere alla perfezione, senza possibilità di sbagliare. In caso di errori, il vostro compito è quello di punire l’allievo, infliggendo una scossa elettrica che aumenta di intensità man mano che gli errori si fanno più frequenti. Una vera e proprio tortura quindi, legittimata ed esortata dallo stesso Milgram che, presente nella vostra stanza, vi ordina di continuare per non mettere a rischio l’importanza dell’esperimento. L’allievo continua a sbagliare e voi continuate, a malincuore, ad infliggere scariche elettriche, mentre dall’altra stanza arrivano urla di dolore, pianti, suppliche di smettere, e alla fine un tonfo seguito da un inquietante silenzio. Ogni tanto vi voltate verso Milgram, dubbiosi e in conflitto con voi stessi, vi chiedete se tutto questo sia necessario mentre lamenti di dolore provengono dall’altra stanza, ma lo sperimentatore è impassibile e vi ordina “non ha scelta, deve continuare o l’esperimento fallirà!”. Milgram vi ha messo alla prova, ha spinto i candidati al limite della loro resistenza psicologica e li ha praticamente costretto a torturare una persona innocente, facendo leva sulla sua autorità. Pur in conflitto con la propria moralità, un’alta percentuale di cavie ha agito obbedendo agli ordini, così da diventare un semplice strumento del superiore per esercitare il proprio potere.
Il legame con Oppenheimer
L’ultima opera di Christopher Nolan uscita questa estate non poteva evitare di occuparsi delle dinamiche di potere che si fanno più evidenti durante un periodo complesso come quello della Seconda Guerra Mondiale. Il fisico J Robert Oppenheimer, direttore del progetto per la creazione della bomba atomica, si colloca in una posizione particolare per quanto riguarda i rapporti tra autorità all’interno del film. È a capo del laboratorio di ricerca, a lui si devono rivolgere tutti i collaboratori del progetto Manhattan: all’interno di Los Alamos Oppenheimer è l’autorità massima. Eppure, il film ci rivela man mano che Robert è soltanto un pesce piccolo al servizio di un pesce più grande; in lui è riposta la fiducia per la risoluzione del conflitto, tuttavia la sua è solo un’illusione di autorità. Il personaggio del generale Groves incarna il potere superiore a cui Oppenheimer è costretto a obbedire, a qualunque costo: la necessità di mettere fine alla guerra e sconfiggere i giapponesi vengono continuamente rimarcate dalle autorità militari, così che Oppenheimer si senta praticamente costretto a portare avanti il progetto nonostante la sua coscienza stia iniziando a rendersi conto delle implicazioni morali di questa difficile scelta.
Oppenheimer è voi, ignare cavie dell’esperimento, illusi di avere in mano un qualche tipo potere sugli altri ma completamente sottoposti a chi è sopra di voi, lo sperimentatore che vi intima di continuare a premere quei tasti sul quadro elettrico. Ogni passo che Oppenheimer compie verso la realizzazione dell’atomica, dalle lavagne riempite di formule ai primi test, altro non è che le scosse elettriche da voi inflitte durante l’esperimento di Milgram. Oppenheimer ha fatto ciò che gli era stato chiesto di fare in virtù di un bene superiore, così come voi povere cavie avete obbedito agli ordini dello sperimentatore, scegliendo di ignorare la propria coscienza e tappandovi le orecchie davanti alle urla di dolore di chi si trova dall’altra parte (della storia).
Ciò che lo psicologo non vi ha mai detto, però, è che dietro quel muro non c’è uno sfortunato allievo con elettrodi attaccati su tutto il corpo, bensì un attore pagato per fingere lamenti, grida e svenimenti. Le scariche da voi inflitte non sono mai andate a colpire un essere umano, tuttavia avrebbero potuto farlo. E voi non avete fatto nulla per sottrarvi all’azione. Milgram vi ha ingannati per dimostrare al mondo un’importante verità: in presenza di un’autorità forte in grado di dare ordini, il sottoposto non riesce più a considerarsi libero di agire con la propria testa, ma diventa uno strumento al servizio dell’autorità.
Robert Oppenheimer deve continuare l’esperimento, non ha più scelta.
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