“What I’m looking for is occurrence, truthful human behavior. We’ve got a kind of road map, and we’re making it up as we travel along.”
Sebbene il suo cinema abbia definito almeno un decennio – gli anni ‘70 – e attraversato oltre cinquant’anni di storia americana, il nome di Robert Altman è ora curiosamente più conosciuto dagli addetti ai lavori che non dal pubblico generalista. A prescindere da questo, la sua opera si trova nel DNA di registi come Paul Thomas Anderson – le narrazioni parallele di Magnolia sono diretta emanazione dei film corali del regista di Kansas City, e a lui è dedicato Il petroliere, uscito un anno dopo la sua dipartita –, ed è stato componente fondamentale della New Hollywood e tra le sue voci più originali e fuori dal coro.
Altman, l’osservatore di Hollywood
Autore estremamente prolifico, Robert Altman ha diretto film, documentari, spettacoli teatrali e numerose serie televisive – tra i suoi primi sforzi da regista due episodi di Alfred Hitchcock presenta-. Destreggiatosi tra i capolavori degli anni ‘70 – tredici film usciti nel decennio – seguiti da una serie di insuccessi commerciali e poi di nuovo altri capolavori dagli anni ‘90, perennemente in bilico tra anticonformismo e integrazione al sistema, è stato il cantore di un’America piccola e dimenticata di perdenti e gente comune, di anime stanche che la macchina da presa di Altman osservava con uguali ironia e compartecipazione.
Il suo è un Cinema dell’osservazione più che del racconto: ma anche un Cinema che si diverte a ribaltare le aspettative di genere e a instillare una punta di velenoso sarcasmo nelle vicende in cui si insinua.
Sfidare il genere – I compari
Le note e la voce di Leonard Cohen scorrono sui titoli di testa del western revisionista di Robert Altman. I compari, datato 1971, rappresenta l’incursione di Altman nel genere cinematografico più tipicamente americano, e uno dei primi con cui impiega il suo stile distaccato per ribaltare clichès e stilemi di un immaginario così ben radicato, dopo il suo exploit nel film di guerra con M*A*S*H.
Il western aveva già subito il crollo dall’interno a opera di Sergio Leone, che ribaltava gli orizzonti romantici del far west per ricostruire dall’interno un nuovo tipo di narrazione. Rispetto alla trilogia del dollaro, a C’era una volta il west o al di molto successivo Gli spietati di Clint Eastwood, il western revisionista di Altman non rappresenta un tentativo di distruzione o ricostruzione del genere, quanto una fredda terza via.
Lontano dal virile pistolero di John Wayne o dal freddo antieroe di Clint Eastwood, il John McCabe di Warren Beatty è al contrario una figura estremamente mediocre, talvolta patetica; spesso ottuso, più cocciuto che coraggioso, ignora la voce della ragione di Constance Miller, a sua volta divisa tra pragmatismo e affetto. Queste figure scevre da qualsiasi connotazione mitologica si muovono nel desolato paesaggio invernale dello stato di Washington, in un mondo maschile regolato da denaro e violenza.
Un più esplicito tentativo di demolire l’immaginario americano si troverà nel suo secondo anti-western, Buffalo Bill e gli indiani, messa alla berlina del mito del conquistatore bianco e della frontiera. Ma giocare con i generi cinematografici sarà una costante per tutta la filmografia di Altman. Dal noir (Il lungo addio) al film di gangster (Gang), dal musical per famiglie (Popeye – Braccio di ferro) al giallo whodunit (Gosford Park), fino all’estrema conseguenza de I protagonisti, dove nel mirino è l’intero sistema hollywood, la fabbrica dei sogni diventata macchina di incubi: la sua non è solo osservazione con il mezzo Cinema ma anche osservazione sul Cinema.
L’arte della lente d’ingrandimento – America oggi
Il gusto di Robert Altman per la satira non si limita ai generi di Hollywood, né rimane – quasi mai – gusto per la sovversione fine a sé stessa. Si intreccia spesso al lavoro sulle psicologie dei personaggi comuni, che è prima di tutto un lavoro sugli attori.
La macchina da presa di Altman – suo segno distintivo lo zoom – accerchia i suoi protagonisti, ne isola i piccoli gesti e sottolinea il trascurato, il dettaglio nascosto che rivela psicologie, drammi e destini. Allo stesso tempo, lascia loro grande libertà espressiva e di interpretazione e incoraggia l’improvvisazione per le battute e le azioni, come riportato da Buck Henry in un aneddoto:
“There are a number of reasons actors like to work for Altman. For one thing, it’s fun. ‘You figure out who the characters are,’ Altman says, ‘and bring me something interesting.’”
Libertà che vuole mettere in risalto l’individualismo dei personaggi, vuole accentuarne peculiarità e nevrosi. E sebbene abbia saputo analizzare gli angoli nascosti dell’America anche in opere con cast ristrettissimi e dall’impostazione teatrale – il microcosmo femminile di Jimmy Dean, Jimmy Dean, il monologo di Secret Honor-, il suo occhio meglio si esprime in storie a più ampio respiro. Tipica di Altman è l’abilità nel dirigere film corali, composti da un ampio ventaglio di personaggi e linee narrative.
Del 1993 è America Oggi, uno degli esempi più complessi, anche per numero di attori protagonisti e linee narrative assieme a Nashville: la tragicommedia di Altman, libero adattamento di nove racconti e una poesia di Raymond Carver, segue una decina di storie parallele di tradimenti, infelicità quotidiane, alcolismo e personaggi sull’orlo di una crisi di nervi nella Los Angeles di fine millennio. Robert Altman mette sotto la lente d’ingrandimento l’intreccio di vite che si disgregano, si incontrano e restano sospese in attesa di una salvezza che non si vede, senza giudicare ma lasciando libertà di giudizio allo spettatore.
Giudicato spesso un film amaro e privo di speranza, America Oggi è tra i suoi lavori più indicativi di un’arte sorniona, di una poetica del comune elevato a universale. Poetica umana che si ritrova in altre commedie corali – il già menzionato Nashville, Un matrimonio, Gosford Park – e che si conclude nel 2006 con Radio america, il capitolo finale di una carriera e di una vita e l’ultimo saluto di Altman ai suoi perdenti e alla “sua” America piccola piccola.
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