Il 21 ottobre di ogni anno si celebra il Ritorno al futuro Day, una giornata che riunisce tutti gli appassionati del capolavoro di Robert Zemeckis. Proprio il 21 ottobre 2023 torna nelle sale cinematografiche di tutta Italia il cult movie che ha fatto sognare intere generazioni di cinefili e pubblici da ogni parte del mondo. La scelta della data, tuttavia, non riguarda in maniera specifica il primo film della trilogia – l’episodio che rivedremo al cinema – ma coincide con il giorno in cui, nel secondo episodio della saga, Emmett “Doc” Brown, Marty McFly e la fidanzata Jennifer Parker salgono sulla DeLorean-macchina del tempo e viaggiano nel futuro, ritrovandosi catapultati nel 21 ottobre 2015.
Sebbene nel 1985 – data di uscita del film – i viaggi nel tempo non fossero un argomento ignoto al grande pubblico, Ritorno al futuro ha avuto il grandissimo pregio di rielaborare questo topos (prima letterario, poi cinematografico) in salsa pop, affrontando, tuttavia, anche dilemmi etici e paradossi insiti nel “problema dei viaggi nel tempo”.
Prima di Ritorno al futuro: da H. G. Welles a Terminator
Pare un’affascinante coincidenza che la pubblicazione del celeberrimo romanzo di H. G. Wells, The Time Machine, e la nascita del cinematografo dei Fratelli Lumières siano avvenute entrambe nel 1895. L’accostamento tra cinema e viaggi del tempo può parere singolare: tuttavia, ben due motivi legano questo rapporto iniziato proprio all’alba del ventesimo secolo. Il primo concerne la fortuna del testo di Wells nella macchina produttiva cinematografica, non tanto per gli adattamenti da esso tratti – L’uomo che visse nel futuro (George Pal, 1960) e il remake The Time Machine (Simon Wells, 2002) – quanto per la straordinaria fertilità del tema dei viaggi nel tempo sviluppato nel genere fantascientifico. Il secondo lavora più sul piano teorico, e coincide con la capacità del cinema di essere esso stesso una macchina del tempo, non solo secondo la prospettiva di poter riprodurre all’infinito momenti di vita accaduti nel passato, ma anche secondo le possibilità tecniche del medium stesso: si pensi, ad esempio, a Démolition d’un mur (Demolizione di un muro) dei Fratelli Lumière, film che mostrava in primis l’abbattimento di un muro, e successivamente la sua ri-materializzazione, resa possibile attraverso il riavvolgimento della pellicola.
Ma il primo vero “viaggio del cinema” nel tempo risale al 1921 con Le avventure di un americano alla Corte di re Arturo (Emmett J Flynn) – seguito dal riadattamento sonoro omonimo del 1931 – tratto a sua volta dal romanzo fantastico di Mark Twain pubblicato qualche anno prima del libro di Wells. Pur avendo “battuto sul tempo” The Time Machine, il romanzo di Twain è dotato di una carica più fantasiosa che scientifica: a differenza dello scienziato “eccentrico e geniale” protagonista del testo di Wells che compie il viaggio su un mezzo costruito ad-hoc, il protagonista de Un americano alla corte di re Artù, Hank Morgan, è uno yankee che torna nel Medioevo per mezzo di una fantastica “trasmigrazione delle anime”; un paradigma che, in una certa misura, ha caratterizzato anche un film italiano sui viaggi nel tempo, Non ci resta che piangere (Roberto Benigni, Massimo Troisi, 1984).
La presenza del topos dei viaggi nel tempo assume connotazioni diverse in base alle epoche e ai paesi di produzione. Se ne La jetée (Chris Marker, 1962) il tema si configura come una riflessione distopica sul potere e sulla minaccia atomica, è con l’avanguardistica serie antologica Ai confini della realtà che il topos viene declinato nuovamente entro i canoni della fantascienza. Nella prima stagione, andata in onda negli Stati Uniti a partire dal 2 ottobre 1959, l’episodio La giostra (Walking distance) è il primissimo esempio che dimostra l’interesse di Rod Serling verso il tema: lo stesso Serling sarà co-sceneggiatore del primo film de Il pianeta delle scimmie (Franklin J. Schaffner, 1968), lungometraggio che tratta il viaggio nel tempo unitamente alle missioni intergalattiche. Oltre al già citato L’uomo che visse nel futuro – e a L’uomo venuto dall’impossibile (Nicholas Meyer, 1979), che prende parzialmente spunto dal romanzo di Wells – è negli anni Ottanta che il viaggio del tempo esplode nella Settima Arte. In particolare, il thriller Terminator (James Cameron, 1984) tratta il tema attraverso la chiave del paradosso temporale e della distopia generata dal timore di una futura ribellione delle macchine.
Flusso-canalizziamoci nel 1955
Doc: Allora, dimmi, ragazzo del futuro… chi è il presidente degli Stati Uniti nel 1985?
Marty: Ronald Reagan.
Doc: Ronald Reagan?! L’attore?! E il vicepresidente chi è? Jerry Lewis?! Suppongo che Marilyn Monroe sia la First Lady! E John Wayne è il ministro della guerra!
– Marty McFly e Doc in una scena del film
Che cosa cambia, effettivamente, con l’uscita nelle sale cinematografiche di Ritorno al futuro? Che cosa apporta di nuovo il film di Zemeckis al topos dei viaggi nel tempo nella storia del cinema? Il paradigma de L’uomo che visse nel futuro non pare più consono al pubblico degli anni Ottanta che accorre in sala per vedere film come I predatori dell’arca perduta (Steven Spielberg, 1981), Ghostbusters (Ivan Reitman, 1984), Nightmare (Wes Craven, 1984) o E.T. – L’Extraterrestre (Spielberg, 1982). Ritorno al futuro, dal canto suo, incorpora e stravolge in chiave pop e contemporanea una delle più grandi chimere della storia dell’umanità.
La macchina del tempo non è più un marchingegno costruito ad-hoc dall’eccentrico scienziato protagonista de L’uomo che visse nel futuro, bensì una DeLorean, un mezzo di trasporto in tutti i sensi, veloce e, soprattutto, cool per l’epoca (il modello è stato prodotto dalla DeLorean Motor Company dal 1981 al 1982). Sì, perché a differenza dell’adattamento del romanzo di Wells – ambientato alla fine dell’Ottocento – Ritorno al futuro si cala direttamente nella propria contemporaneità, facendo leva su riferimenti culturali ben noti al pubblico degli anni Ottanta: in questo modo, il viaggio nel 1955 produce sì uno straniamento nel pubblico più giovane che si identifica con il protagonista adolescente Marty, ma richiama anche l’attenzione di un’intera generazione cresciuta negli anni Cinquanta.
La discrepanza temporale tra le due epoche produce non un terrificante straniamento, bensì il tono comico caratterizzante l’intera pellicola: basti pensare all’iconica scena “Johnny B. Goode”, il momento in cui Marty si fa travolgere dalla sua passione per il rock dinnanzi agli studenti degli anni Cinquanta che, giustamente, non riescono a comprendere quella musica che “piacerà ai loro figli”.
L’iconicità di Ritorno al futuro
Molti sono gli elementi che hanno reso il film di Zemeckis un cult movie senza tempo, dalle sequenze alle citazioni iconiche, dai costumi agli oggetti di scena. Certamente la freschezza con cui Ritorno al futuro ha rimodulato il topos dei viaggi nel tempo ha giocato un ruolo fondamentale nel decretare il successo dell’intera trilogia.
Se avessi un po’ più di tempo… ehi, un momento, ho tutto il tempo che voglio: ho una macchina del tempo!
– Marty McFly in una scena del film
Certamente questa leggerezza non è da intendersi come una trattazione sconclusionata del tema dei viaggi nel tempo. Ritorno al futuro, pur limitandosi alla narrazione di una micro-storia che coinvolge Marty e il contesto socio-culturale in cui vive, elabora alcuni problemi imprescindibili, come il “Paradosso del nonno” – esperito dallo stesso Marty nel momento in cui sembrano vanificarsi le possibilità che il padre si fidanzi con la futura moglie – il “Paradosso di conoscenza” – Marty suona “Johnny B. Goode” e un membro della band fa ascoltare il pezzo a Chuck Berry prima che questi abbia effettivamente composto la canzone – e il “Paradosso della co-esistenza” – nei film successivi si verifica il problema della compresenza di ben quattro macchine del tempo.
Fra paradossi e momenti iconici, Ritorno al futuro ha saputo lasciare un’impronta indelebile nella Settima Arte proponendo una narrazione alternativa, intrisa di umorismo e riferimenti pop, al tema dei viaggi nel tempo. E sicuramente l’istituzione del Ritorno al futuro day non è che una diretta conseguenza di questa profonda affezione verso il cult movie di Zemeckis.
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