Nell’ambito del cinema horror italiano, Pupi Avati è un nome che nel corso degli anni è diventato quasi sinonimo di cult. Il regista romagnolo è infatti una delle figure che, dagli anni ’60 in poi, assieme a figure come Fulci o Bava ha infatti portato in alto il nome dell’horror italiano anche all’estero, grazie soprattutto alle sue sceneggiature mai banali e ad una regia sempre ottima. Partendo dal suo capolavoro più conosciuto La Casa dalle finestre che ridono  del 1976 al suo più recente Il Signor Diavolo  del 2019, ci sono però film che (quasi in maniera inspiegabile) rimangono ancora oggi nascosti ai più. Uno di questi è forse il miglior prodotto che il regista abbia mai creato: Zeder  del 1983.

UN HORROR “MATTUTINO”

Il protagonista del film è Stefano (interpretato da un Gabriele Lavia in formissima), un giovane scrittore che, in cerca di ispirazione per il suo nuovo romanzo, si imbatte in una teoria riguardante i cosiddetti

Terreni K, luoghi in cui “il confine con la morte si fa molto labile” e sembrano capaci di resuscitare i morti.

Da qui il protagonista si ritroverà ad interagire con una mole di personaggi secondari che sono tali soltanto per minutaggio sullo schermo e assolutamente non per importanza o scarsità di scrittura. Si incontrano infatti personaggi scritti benissimo, ognuno con il proprio ruolo nella vicenda e la propria caratterizzazione minuziosa.

La regia e la fotografia si attestano su livelli altissimi, con la quasi totalità delle scene girate durante il giorno sotto la luce del sole, ma riuscendo comunque a trasmettere un senso d’inquietudine ed un’angoscia pari soltanto ai grandi film del genere (come il recente Midsommar  di Aster del 2019 per citarne uno). La recitazione è ottima e riesce ad inserire lo spettatore in località ben precise (anche grazie alle parlate quasi dialettali, che non risultano però mai presenti in maniera eccessiva o fastidiosa, di alcuni personaggi secondari), ma è soprattutto nella scelta delle ambientazioni che Avati svolge un lavoro eccezionale, riuscendo a passare da centro città affollati ad ipogei sotterranei fino ad ex colonie marittime ed edifici in costruzione, il tutto collegato da una storia assolutamente geniale.

PUPI AVATI VS STEPHEN KING

La sceneggiatura, oltre che nella scrittura dei personaggi, mostra una spiccata originalità anche nelle situazioni a cui essi vanno incontro, come spesso accade nei lavori di genere di Avati, anche se qui mostra il fianco a qualche piccolo problema nella gestione di alcune vicende. Non si parla di veri e propri buchi di trama, quanto di accadimenti che avrebbero forse necessitato di una maggiore spiegazione ed attenzione nella scrittura.

Una piccola chicca, che sa quasi di leggenda, riguarda il soggetto del racconto: molto probabilmente  la descrizione dei Terreni K avrà fatto suonare qualche campanello nei conoscitori del genere horror, soprattutto tra i lettori di Stephen King. Il funzionamento di questi terreni, infatti, rimanda molto da vicino a ciò che avviene nel libro Pet Sematary  (divenuto Cimitero Vivente nella trasposizione cinematografica del 1989), tant’è che alcune persone credono in un ispirazione dello stesso King da questo film di Avati (anche le date di uscita confermano questa teoria, con il film romagnolo in anticipo di circa quattro mesi rispetto al romanzo americano).

In conclusione, Zeder  mostra, forse, il miglior Pupi Avati regista e sceneggiatore, con un horror gotico che riesce a spaventare e a creare tensione, forte di una regia salda, una fotografia magnifica sia nelle numerose scene diurne, sia nelle più rare scene notturne, un’ottima recitazione ed una sceneggiatura che, nonostante qualche inciampo, riesce a tenere incollato lo spettatore dall’inizio alla fine, curioso come il protagonista Stefano, di saperne sempre di più sui Terreni K e sugli oscuri segreti che essi celano.

Questo articolo è stato scritto da:

Mattia Bianconi, Redattore