Nel panorama cinematografico contemporaneo, che si potrebbe definire in maniera quasi storiografica d.T. – ovvero “dopo Tarantino” –,  il citazionismo è diventato ormai una pratica largamente apprezzata e diffusa. Accade spesso, infatti, che anche i registi più affermati inseriscano all’interno delle proprie opere omaggi ad artisti del passato come attestati di stima e ammirazione verso illustri colleghi, oppure per dichiarare orgogliosamente le influenze culturali del proprio cinema. 

Nonostante questa dinamica in molti casi si riveli essere un’arma a doppio taglio se non gestita correttamente, per certi cineasti – come il già nominato Tarantino, ma anche Guillermo del Toro o Yorgos Lanthimos – è diventata ormai un vero e proprio marchio di fabbrica

Tra tutti, però, un regista che ha saputo andare oltre il citazionismo più sterile riuscendo ad amalgamare al meglio ispirazioni esterne e proprio stile personale è sicuramente Guy Ritchie, il quale è riuscito negli anni, nonostante una carriera fatta di alti e bassi, a costruire un proprio vocabolario cinematografico e narrativo unico, fatto di una marcatissima verve britannica agitata – e non mescolata – con una vena pulp di matrice tarantiniana. 

Vocabolario cinematografico al quale appartiene, chiaramente, anche questo Wrath of Man (in italiano La Furia di un Uomo) che, rifacendosi palesemente al cinema di Michael Mann con evidenti citazioni a Heat – La Sfida, propone un solido action-thriller che si distanzia fortemente, però, dal tono grottesco e quasi gangster-comedy che caratterizza i lavori più riusciti del regista, come Lock & Stock (1998), Snatch (2000) o il più recente The Gentlemen (2019).

La storia è, brevemente, quella di Patrick “H.” Hill che, dopo un misterioso passato come vigilante paramilitare in Europa, inizia a lavorare come guardia e autista di furgoni portavalori a Los Angeles. 

Molto presto, però, il susseguirsi di tentate rapine alla compagnia per la quale lavora porterà alla luce profondi traumi e oscuri segreti del vissuto di Patrick, che si rivelerà essere una persona molto diversa da quella che sembra.

Nonostante questa inversione di rotta, Guy Ritchie si dimostra ormai in grande spolvero e confeziona una pellicola che forse non raggiunge i livelli del film precedente, ma che sicuramente risulta convincente sotto molti punti di vista, al netto comunque di qualche debolezza sulla quale si ritornerà più avanti. 

Uno dei principali punti di forza di questo Wrath of Man risiede nell’impianto tecnico messo in gioco da Ritchie, il quale sceglie giustamente di abbandonare il montaggio serrato e sopra le righe stile Lock & Stock per affidarsi a numerosi piani sequenza – tra cui alcuni veramente notevoli e complessi – che contribuiscono in maniera importante alla costruzione e al mantenimento della tensione in più di una sequenza. A fare da contrappunto a questa apparente sospensione del ritmo, sprazzi di azione dinamica e improvvisa bilanciano in modo equilibrato il passo della narrazione, che nonostante non sia mai particolarmente veloce, riesce a mantenersi su binari corretti grazie a un montaggio eccellente e puntuale

Altra nota di merito va sicuramente alla regia, la quale si dimostra matura, ispirata e costantemente funzionale al racconto, piena di guizzi decisamente interessanti e priva di frivolezze inutili. Lo stile di Ritchie è presente, ma si rivela essere più morbido e meno prepotente rispetto al passato, più al servizio della narrazione che dell’estetica. Laddove, quindi, regia e montaggio si attestano su un livello sicuramente notevole, lo stesso non si può dire della sceneggiatura, la quale regala un primo atto sorprendente che brilla per originalità e costruzione dell’intreccio, ma che ricade poi purtroppo in clichè da action revenge movie che, nonostante mettano in scena dei momenti di spessore come la sequenza di tortura con Folsom Prison Blues di Johnny Cash in sottofondo, vanno a rovinare delle premesse narrative decisamente sopra la media messe in campo nella parte iniziale del film. 

Per quanto riguarda il cast, invece, Jason Statham (qui alla quarta collaborazione con Guy Ritchie, a riprova della sintonia tra l’attore e il regista britannico) è assoluto protagonista e si rivela perfettamente convincente e a suo agio nel ruolo dell’anti-eroe glaciale e misterioso, dimostrando ancora una volta, se davvero qualcuno ancora lo mettesse in discussione, un physique du role che non ha eguali al momento nel cinema d’azione americano. Buone anche le prove dei comprimari, su tutte quelle di Holt McCallany (noto al grande pubblico principalmente per la serie Netflix Mindhunter) e di Scott Eastwood nei panni del principale antagonista. 

Venendo alle note dolenti, purtroppo l’intreccio perde di originalità e incisività man mano che la trama procede, cadendo appunto in dinamiche standard ormai largamente note allo spettatore, che si dimostrano prevedibili e poco interessanti, tenute a galla nella seconda parte in maniera fragile e precaria dalla buona messa in scena di Ritchie, che salva la proverbiale baracca a un passo dalla mediocrità più anonima. 

Da rivedere anche la gestione dei flashback e dei flashforward, sulla quale è costruita l’intera narrazione, che appare un po’ traballante e confusionaria e che risulta dannosa in maniera non indifferente per la fluidità del racconto, inevitabilmente appesantito da certe scelte ridondanti e mal gestite.  

Allo stesso modo i dialoghi mancano di quella brillantezza e di quella verve che rappresentano la vera e propria linfa vitale delle pellicole del regista inglese e nonostante qualche doverosa eccezione (come ad esempio la scena del primo dialogo tra i membri della banda di ladri-militari), si perdono in una livello standard, senza infamia e senza lode, che sicuramente non è e non deve essere l’habitat naturale di Ritchie. 

Per concludere, questo Wrath of Man è un prodotto che vale sicuramente la visione, un ottimo thriller d’azione che ha dalla sua un’efficace commistione di generi – come l’heist movie e il revenge movie – che dà spessore a un’opera che, tra una prima parte veramente eccellente e una seconda parte meno riuscita ma comunque solida, si posiziona tranquillamente sopra la media del mare magnum di produzioni action degli ultimi anni. 

Che sia questa la nuova strada scelta da Guy Ritchie, o che sia solamente una “caduta di stile” e un’esplorazione momentanea, è bello vedere il regista inglese tornare finalmente a pellicole di qualità, come questo dittico The Gentlemen – Wrath of Man, dopo qualche passaggio a vuoto di troppo nel decennio precedente, sperando che almeno questa volta riesca a tenere separato il lavoro dall’amore, chiedete a Madonna per conferma. 

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Alessandro Catana, Caporedattore