Whimsical: insolito e strano in una maniera che può essere divertente o fastidiosa

(definizione del Cambridge Dictionary)

Come “Willy” divenne “Wonka”

Chi di noi non è cresciuto con almeno una versione della storia di Charlie Bucket, Willy Wonka e la sua magica fabbrica di cioccolato? Che si tratti del libro di Roal Dahl (1964), del primo adattamento cinematografico con protagonista Gene Wilder (1971) o della più recente collaborazione tra Tim Burton e il suo attore feticcio Johnny Depp (2005), La fabbrica di cioccolato è una storia che accompagna da decenni generazioni di lettori e spettatori.

Wonka, al cinema in questo momento, è l’ennesimo esperimento cinematografico che cavalca l’onda nostalgica emersa negli ultimi anni: un prequel, in forma di musical, dedicato alla figura del bizzarro maestro cioccolatiere e alle origini del suo incredibile successo, prima che diventasse capo del suo indiscusso impero. Per emergere nello spietato mondo dell’arte dolciaria, Willy dovrà scontrarsi con un gruppo di industriali senza scrupoli collusi con la polizia locale e cercare di emergere conquistandosi il favore popolare. 

Al timone di questa operazione, che strizza evidentemente l’occhio più al Wonka con Wilder che a quello di Depp (oltre a riprenderne due canzoni, ripropone anche il design degli Oompa Loompa, le creaturine che aiutano il signor Wonka nella sua fabbrica), abbiamo Paul King, regista di Paddington e Paddington 2, pellicola per un breve periodo ha battuto Quarto potere nella classifica dei film migliori secondo Rotten Tomatoes e che, in Il talento di Mr. C, il personaggio interpretato da Pedro Pascal cita come uno dei suoi preferiti, preferendolo addirittura a Il gabinetto del dottor Caligari.

A vestire i panni che furono di Wilder e Depp, abbiamo Timothée Chalamet. L’attore ventisettenne, “esploso” con Chiamami col tuo nome e da allora divenuto uno dei volti più conosciuti ed amati della (e dalla) sua generazione, cerca probabilmente di “liberarsi” dal ripetuto casting in ruoli spesso simili a cui è rimasto legato negli ultimi anni. Si tratta infatti della prima volta in cui Chalamet, che ha un passato scolastico di esibizioni in musical, balla e canta al cinema (per la sua performance canora ha ricevuto sia critiche che lodi) e la prima volta in un film diretto principalmente ad un pubblico di bambini.

Come aveva già avuto modo di fare in The French Dispatch, inoltre, Chalamet sperimenta con stilemi di recitazione esagerati, in sintonia col tipo di mondo abitato dal suo personaggio. Il risultato è per lo più riuscito, pur mancando una certa malevolenza e una doppiezza che erano presenti (neppure troppo) sottopelle nel Wonka di Wilder, qui chiaramente richiamato specialmente in alcune espressioni dell’attore. A volte, tuttavia, l’attore ricade in alcuni dei suoi modi di fare e nelle sue inflessioni più “classiche”, rendendo difficile vedere il personaggio Wonka e non, appunto, Chalamet stesso.

Dal punto di vista recitativo, merita certamente una menzione anche Hugh Grant (che ha reso molto chiaro quanto poco abbia apprezzato lavorare al film) nella parte dell’Oompa Loompa. Il personaggio appare poco ma fornisce un contraltare divertente specialmente col suo humour “secco” e con la sua attitudine estremamente seria in opposizione a tutte le cose fantastiche che stanno accadendo attorno a sé.

Più debole, forse, l’interpretazione della co-protagonista Calah Lane, che rende meno riuscite alcune delle scene più emotivamente pregne che la vedono coinvolta con Chalamet. Si tratta comunque di un fatto più che giustificabile, vista la giovanissima età dell’attrice (classe 2009).

Assurdo Q.B. (Quanto Basta)

Il problema sopra riportato, a dirla tutta, non è di Chalamet soltanto, ma del film nella sua interezza, che in alcuni frangenti soffre di una certa dissociazione tra intenti e stile.

Wonka è nella sua forma migliore quando si poggia sull’assurdo e sul whimsical (traducibile come  “stravagante”), riecheggiando lo stile e lo humour di Roal Dahl con alcune trovate genuinamente interessanti ed ispirate. A queste istanze di totale immersione nell’assurdo, tuttavia, non si accompagna sempre una corrispondenza in termini di recitazione o messa in scena, con ricadute nel sentimentalismo hollywoodiano, specialmente nel terzo atto, piuttosto che nell’esagerazione e nella stilizzazione (si vedano come contraltari i film di Wes Anderson o la serie Netflix Una serie di sfortunati eventi). 

Va comunque apprezzata la scelta di appoggiarsi su un genere, il musical, che ha già in sé un certo seme di esagerazione e di sospensione dell’incredulità (e che per questo, a volte, è difficile da vendere o da “digerire” per certi spettatori). I numeri musicali, oltre a possedere una loro marca stilistica (cosa che non tutti i film musical possono dire di avere), sono diretti in maniera generalmente competente, e le nuove canzoni, scritte da Neil Hannon, non sono particolarmente originali ma sono decisamente orecchiabili, in particolar modo il brano A World of Your Own.

In ultima analisi, Wonka è un film senza picchi di infamia né di particolare lode, ma svolge bene il suo lavoro di film d’intrattenimento e per le famiglie. Pur ricadendo in alcuni espedienti rivolti ad un pubblico esclusivamente infantile (specialmente alcuni fat jokes), essi non risultano essere sufficientemente frequenti da repellere un pubblico di adulti, che anzi probabilmente troverà di che divertirsi per un paio di ore di spensieratezza.

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Silvia Strambi,
Redattrice.