Presentato alla 77esima edizione del Festival di Cannes, Vivre, Mourir, Renaître ha aperto il 40esimo Lovers Film Festival a Torino.
Gael Morel, passato dietro la macchina da presa dopo aver esordito come attore nel 1994 in Les Roseaux sauvages di André Téchiné, porta sullo schermo un triangolo amoroso ai tempi dell’AIDS.
Alcuni di voi potrebbero pensare “c’era davvero bisogno di un altro film sull’AIDS?”.
Vi porrό la domanda che Morel ha fatto a chi ha avuto la vostra reazione: “potete nominarne almeno quattro?”.
Il regista ha affermato che nessuno dei suoi interlocutori è riuscito ad andare oltre al terzo titolo.
Quindi sì, era necessario riportare questo tema all’attenzione del pubblico, denunciare una realtà dolorosa che rischia di tornare ad essere molto attuale.
Il tentativo è ben riuscito?
La trama è la seguente: Emma (Lou Lampros) e Sammy (Theo Christine) si conoscono al liceo e si innamorano. Sammy non nasconde di aver avuto esperienze con altri uomini e Emma accetta la bisessualità del compagno.
Dopo anni, Sammy incontra Cyril (Victor Belmondo, nipote del mitico protagonista di À bout de souffle), fotografo e vicino di casa. Tra i due nasce una forte intesa e l’attrazione li spinge ad iniziare una relazione.
L’amore che Emma prova per Sammy e l’affetto che la lega a Cyril, considerato come un amico prezioso fino ad allora, le impedisce di allontanarsi quando scopre il tradimento.
Il triangolo sembra poter funzionare ma l’AIDS colpisce subdolo e feroce: Sammy scopre di essere sieropositivo e che gli restano pochi mesi da vivere. Assieme a lui, anche Emma, incinta del secondo figlio, risulta affetta dalla malattia.
La loro esistenza viene sconvolta in un istante.
Cosa fare quando nessuno ha delle risposte e l’unica opzione sembra la morte?
E cosa resta a chi sopravvive?
Le inquadrature equilibrate e vibranti, dense di colore e bellezza (merito sicuramente anche del direttore della fotografia, David Chambille), non riescono a salvare una pellicola estremamente didascalica.
Il non detto sembra non esistere: tutto è esplicitato e anche ripetuto più volte.
I dialoghi, co-scritti da Morel e Laurette Pomanss, risultano spesso banali o forzati.
Inoltre, tutta la storia si sviluppa in una bolla all’interno della quale temi come la discriminazione, la paura e l’odio causate dall’ignoranza, sempre più malauguratamente attuali, non esistono.
Ricordiamoci che proprio in quegli anni, in Italia, veniva mandato in onda lo spot AIDS: se lo conosci lo eviti, se lo conosci non ti uccide che stigmatizzava la malattia e chi ne era colpito.
Le scene girate in una Campania paradisiaca (mare, gelato e balli popolari) o la corsa sulle note di Modern Love di Bowie non sono sicuramente elementi innovativi ma i presupposti erano buoni.
È sempre importante rendere protagoniste del grande e del piccolo schermo forme d’amore differenti da quella eteronormativa e monogama, mostrare che esistono relazioni non tossiche (a differenza di come certi film e letterature vorrebbero far credere), sottolineare quanto siano fondamentali la prevenzione e l’educazione affettiva e sessuale.

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