Vengono generalmente ricordati con ben poca nostalgia quegli anni Novanta e primi del Duemila in cui, di tanto in tanto, fiorivano nel panorama cinematografico alcuni progetti con l’obiettivo di adattare popolari videogiochi alla pellicola, spesso fallendo miseramente. Erano i tempi di Super Mario Bros (Morton & Jankel, 1993), di Mortal Kombat (Paul W. S. Anderson, 1995) e Street Fighter (Steven E. de Souza, 1994), per proseguire poi con pellicole come Doom (Andrzej Bartkow, 2006) e i vari Resident Evil di Anderson. 

Se tra quel mare di pellicole mediocri, se non proprio scadenti (divenute poi per molti fan delle saghe videoludiche dei guilty pleasure e andando ad inserirsi nella categoria dei “so bad is so good”), si staglia qualcosa di complessivamente apprezzabile, come il Silent Hill di Christophe Gans diretto nel 2006 (questo non vale per il suo terrificante sequel, Silent Hill Revelation 3D di M. J. Bassett uscito nel 2012), rimane indubbio come prendere un videogioco e portarlo al cinema sia sempre molto più complesso di quanto ci si potrebbe aspettare. Ciò si traduce spesso in prodotti finali “brutti”, basti pensare all’adattamento di Monster Hunter, diretto, guarda caso, proprio da Paul. W. S. Anderson. 

Ma qualcosa forse sta cambiando. Abbiamo avuto pellicole come Sonic – Il film (Jeff Fowler, 2020) di cui arriverà presto un sequel, o Pokèmon: Detective Pikachu (Rob Letterman, 2019) che puntano a un pubblico di giovanissimi creando storie semplici ma divertenti e complessivamente ben strutturate; per un pubblico più maturo si sono visti invece (ri)nascere Mortal Kombat e Resident Evil, affidati questa volta rispettivamente a Simon McQuoid e Johannes Roberts, pellicole di certo non perfette ma che risultano comunque godibili soprattutto per un fan.

Si arriva così al 17 Febbraio, data di uscita italiana dell’atteso (e agognato) Uncharted, film tratto dall’omonima saga di videogiochi i cui protagonisti Nate e Sully sono qui interpretati dal giovane Tom Holland e dall’uomo d’azione Mark Wahlberg. Forse siamo di fronte ad un punto di svolta.

SIC PARVIS MAGNA

“L’errore sta nel voler replicare nel film, fedelmente e pedissequamente, quello che si è già visto e raccontato nel videogioco”

Queste le parole del regista Ruben Fleischer (conosciuto ai più per aver diretto il primo Venom e quelle piccole perle dei due Zombieland) sul perché, secondo il suo punto di vista, i film tratti dai videogiochi hanno, fino a quel momento, fallito. Un ragionamento di certo sensato, ma che finisce con il caricare la pellicola di numerosi sforzi, che non sempre riescono a pagare.

Il protagonista di Uncharted è sempre Nathan Drake, che qui vediamo ancora ragazzo (a differenza del gioco in cui è già un cacciatore di tesori adulto ed esperto) e alle prese con piccoli furti. È infatti l’incontro con Victor Sullivan a portare il giovane bartender e ladro direttamente nel mondo dei grandi cacciatori di tesori, spingendolo a imbarcarsi nella ricerca del grande tesoro perduto di Magellano. Un punto di partenza classico che forse sa di già visto ma che è tipico di queste produzioni. Se nel gioco, però, l’esile premessa narrativa basta e avanza per gettare il giocatore in un tripudio di esplosioni e scontri a fuoco, qui si presenta una prima parte della pellicola estremamente statica, con una struttura che alterna momenti da espionage movie con tanto di enigmi da risolvere a scazzottate e inseguimenti piuttosto piatti che non riescono a coinvolgere appieno lo spettatore.

Si presenta poi una seconda parte dove le sezioni più calme e ragionate lasciano lo spazio alla spettacolarità dell’azione, che però ancora una volta risulta troppo pregna di “già visto” e che fallisce nel caricare del tutto lo spettatore di quell’adrenalina che ci si aspetterebbe da un prodotto di questo tipo.

ACTION DA MANUALE

Purtroppo anche sul lato della sceneggiatura il film non brilla di genialità e sviluppa le premesse sopra citate in maniera abbastanza banale e scontata, portando anche lo spettatore meno esperto a intuire dove la pellicola voglia andare a parare. Se, come già detto, la caratterizzazione di Nate e Sully, per quanto abbastanza classica, risulta apprezzabile soprattutto grazie agli interpreti, in egual maniera non si può dire dei personaggi secondari: la Chloe di Sophia Taylor Ali non riesce a scrollarsi di dosso la parte della “bella e dannata” che cerca di avvicinarsi a Nate ma finisce per non fidarsi mai di nessuno; la Braddock di Tati Gabriel cerca di imitare il carisma della Nadine vista in Uncharted 4 ma senza riuscirci; infine ingiustamente sprecato risulta anche il Santiago Moncada di Antonio Banderas, che finisce per essere il classico villain stereotipato e nulla di più.

Dopo il lungo elenco di difetti, risulta doveroso sottolineare in primis i lati positivi della pellicola, presenti soprattutto sul lato tecnico, con una regia classica ma comunque funzionale e che riesce almeno a non rendere caotiche le scene d’azione – anche grazie a una buona fotografia e a un buon montaggio – e in secundis come, nonostante tutto, la visione del film risulti comunque divertente. Sono inoltre presenti numerosi Easter Egg, alcuni più palesi e altri meno, dall’intera saga videoludica che faranno sicuramente sorridere ed emozionare i fan.

CONCLUSIONI

In conclusione siamo di fronte a un film tutt’altro che perfetto, eccessivamente stereotipato e che non riesce a coinvolgere pienamente lo spettatore a causa di una scrittura piuttosto scialba sia dei momenti più calmi sia di quelli più movimentati. Preme sottolineare come, però, non si tratti di un brutto film, ma semplicemente ad un film mediocre che poteva mostrare molto di più. 

Resta quindi la speranza che si tratti semplicemente di un punto di partenza, di una rampa di lancio per futuri progetti (vista anche la partecipazione di una divisione Playstation creata appositamente per gli adattamenti dei vari brand videoludici), magari anche con alcuni miglioramenti.

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Mattia Bianconi, Redattore