Dopo cinque anni dal suo ultimo lavoro come regista (il poco fortunato Il tuo ultimo sguardo), Sean Penn torna dietro la macchina da presa per dirigere Una vita in fuga, dramma familiare biografico presentato al Festival di Cannes nel 2021. Il film si ispira alla storia di John Vogel, noto falsario e truffatore statunitense, e racconta momenti della sua vita focalizzandosi sul rapporto conflittuale con la figlia Jennifer, vera protagonista della pellicola e voce narrante di tutta la vicenda.
Per la prima volta Penn dirige sé stesso e, per questa storia familiare, sceglie un cast familiare: i figli dell’attore, Dylan e Hopper Penn, vestono infatti i panni dei figli del criminale statunitense, la prima come vera protagonista della pellicola, il secondo in un ruolo più marginale.
Il film è l’adattamento cinematografico del memoir (inedito in Italia) Flim-Flam Man: The True Story of My Father’s Counterfeit Life, scritto dalla figlia di John, Jennifer Vogel, ma, nonostante si ispiri a fatti e personaggi reali e a vite e rapporti decisamente burrascosi, non riesce mai ad acquisire mordente e a risultare pienamente coinvolgente.
La storia, un lungo flashback narrato con un voice-over a tratti didascalico e ridondante, copre un arco temporale di oltre vent’anni e si divide in tre segmenti corrispondenti a tre differenti fasi della vita di Jennifer, tre momenti in cui viene mostrato l’evolversi del suo rapporto col padre. Da eroe d’infanzia, amorevole ma incostante, a cocente delusione, John Vogel incarna il fallimento di un padre nonché di una provincia Americana in cui è facile perdersi.
Purtroppo, a un incipit narrativo potenzialmente interessante non segue un adeguato sviluppo delle vicende e dei personaggi, che vengono anzi costruiti su premesse inconsistenti e instabili, tanto da risultare spesso non solo bidimensionali, ma anche poco coerenti. Le tre parti del racconto (idealmente infanzia, età del conflitto adolescenziale e prima vita adulta di Jennifer) sono un susseguirsi di avvenimenti ripetitivi e retorici, che mancano di vera consistenza e che sono legati l’uno all’altro da un filo davvero troppo sottile per andare a costituire una trama realmente solida e lineare.
Così, il personaggio di Penn si perde nel corso del film e non resta che un’ombra dal viso stropicciato, un carattere abbozzato mai davvero in grado di riempire il personaggio del vero dramma dei fatti raccontati; e pure il personaggio della figlia, di cui seguiamo il percorso di crescita quasi come nel più classico dei coming of age, si sviluppa in maniera incoerente e con innesti e svolte di trama poco convincenti.
In questa accozzaglia di ripetizioni, personaggi che si perdono e stereotipi vari, anche l’ipotetico sottotesto del rovesciamento del classico American dream non trova la sua giusta collocazione e resta solo uno spunto incollato in maniera posticcia e richiamato fin troppo palesemente da alcuni dialoghi e dal titolo originale Flag Day (giorno della festa della bandiera statunitense e, nel film, giorno del compleanno di John Vogel).
Nonostante la generale inconsistenza, sono comunque da sottolineare alcuni momenti di regia particolarmente ispirata: la scena iniziale, memoria d’infanzia di un paesaggio rurale ammantato di nostalgia vintage (che giova dalla scelta della pellicola in formato 16mm); il bel montaggio alternato dell’unica scena di pseudo azione; i brevi filmati dei ricordi di famiglia. Nota positiva anche la colonna sonora, composta da malinconiche ballate country a cui hanno contribuito Eddie Vedder (che torna a collaborare con il regista dopo Into the wild e che qui sentiamo anche il coppia con la figlia Olivia, al suo debutto), Glen Hansard e Cat Power. Purtroppo però questi aspetti non bastano a salvare un film generalmente difettoso su tutti gli altri fronti.
Insomma, il ritorno alla regia di Penn di poco si scosta dal suo ultimo insuccesso: Una vita in fuga è un film insipido, una storia con del potenziale ma con una sceneggiatura che manca di consistenza e con dei personaggi deboli sulla carta e forzati sullo schermo che mancano dell’autenticità e della credibilità che si addirebbe a dei personaggi reali.
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