Benvenuti a Rupe, paesino di appena 350 abitanti nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo: qui i lupi vagano liberi di notte, la neve blocca spesso i trasporti pubblici, le pecore si contano anche di giorno e nell’unica classe della scuola elementare ci sono solo sette bambini. Un mondo immobile nello spazio e nel tempo, in cui persino gli abitanti sembrano parlare una lingua sconosciuta. Il nome del luogo in cui si ambienta l’ultimo film di Riccardo Milani è fittizio, ma ricalca da vicino un “mondo a parte” più reale che mai.
Salviamo la scuola, salviamo il paese
Michele (Antonio Albanese) è un insegnante annoiato, insoddisfatto dalla vita che ha trascorso nella periferia di Roma, a cercare di farsi rispettare da ragazzini che neanche tra i banchi riescono a rinunciare al cellulare. Decide così di farsi assegnare provvisoriamente in un piccolo istituto scolastico a Rupe, nel bel mezzo del Parco Nazionale d’Abruzzo: la sua intenzione è ritrovare un legame con la natura, ritirarsi per un po’ in un luogo lontano dalla caotica vita di città. Del resto, lì la gente è molto più semplice, strettamente legata alla propria terra, e i bambini non vedono l’ora di scoprire cosa c’è al di là delle montagne, giusto? Eppure, non tutto è così bello come sembra: la piccola scuola sta per essere chiusa per mancanza di studenti e la vice preside Agnese (Virginia Raffaele) chiederà aiuto a Michele per poter risolvere la situazione. Se muore la scuola, muore tutto il paese. La soluzione arriva sotto forma di un servizio del TG5, in cui si parla dei profughi ucraini in fuga dal conflitto nel loro Paese. Il loro bisogno di accoglienza potrà assicurare la sopravvivenza della piccola Rupe?
Troppe cose tutte insieme?
Milani realizza una commedia molto classica, in cui Albanese resta sicuro nei confini di un personaggio che chiaramente è a suo agio nell’interpretare. Dall’altro lato troviamo una Virginia Raffaele che si cimenta in un dialetto abruzzese all’inizio un po’ forzato (soprattutto per chi è abituato a sentirlo tutti i giorni!) ma pian piano sempre più naturale e rilassato. Insieme sullo schermo, i due ricordano quella coppia che non si sa bene come o da dove sia nata eppure riesce a funzionare piuttosto bene. All’occorrenza fanno sorridere le gag costruite su un buffo Antonio Albanese che si tuffa nella neve in mocassini, non riesce ad accendere la stufa a legna, non capisce bene ciò che gli viene detto dagli abitanti del paesino; l’esagerazione degli stereotipi era prevedibile, ma nonostante ciò non disturba più di tanto. Un po’ meno simpatico l’utilizzo di evidenti filmati stock (che dolore!) in cui si vedono lupi e orsi marsicani aggirarsi nei boschi del Parco. Comprensibile la volontà di inserire gli animali simbolo della zona, ma qui è chiarissimo che non siano stati registrati nel contesto delle riprese del film. Peccato anche per la regia e la fotografia che appaiono più volte semplicistiche e un po’ trascurate.
La scelta di affrontare tematiche di una certa complessità come la fuga della popolazione ucraina dalla guerra, i figli di immigrati che parlano abruzzese meglio degli abruzzesi stessi e l’accettazione del proprio orientamento sessuale, finisce per pesare molto sull’intera storia: è certamente segno di buone intenzioni, tuttavia non si può non notare come alcuni temi siano trattati con superficialità rispetto ad altri e finiscono per risultare ammassati tra di loro, uno sopra l’altro senza un vero e proprio filo conduttore. Il motivo centrale che vede il paesino di montagna come un universo a cui il personaggio di Albanese deve adattarsi pian piano, funziona abbastanza bene nella prima parte del film: nella seconda, per via dell’abbondanza di tematiche complesse, Un mondo a parte finisce per mettere un po’ troppa carne al fuoco senza “cuocere” abbastanza bene tutto. Un buon abruzzese che si rispetti sa bene che gli arrosticini non vanno messi sulla griglia insieme alle costolette d’agnello!
Il risultato è una commedia che si lascia guardare volentieri, ma che inevitabilmente precipita nella seconda metà e in particolare nel finale: si cerca di dare una conclusione ottimista alla storia che tuttavia si scontra un po’ con il retrogusto amarognolo dei momenti più importanti. Vivere in un “mondo a parte” come la valle dell’Alto Sangro non significa solo escursioni in montagna, picnic al lago di Barrea, zuppe di verdure appena raccolte e formaggi di pecora stagionati nel fieno: significa anche essere costretti a spostarsi di molti chilometri per frequentare un liceo, ritrovarsi in labirinti di conflitti generazionali, faticare per trovare il proprio posto in ciò che si trova al di là dell’Appennino marsicano. È un mondo complesso di contrasto costante (con gli altri e con se stessi), a cui purtroppo il film non riesce sempre a dare l’attenzione e la profondità richieste. Non stiamo dicendo che fosse necessario un finale tragico, ma sarebbe stata una mossa più interessante congedare il pubblico con un finale più aperto o che lasciasse dei dubbi sul destino dei personaggi, così come lo stesso mondo in cui si ambienta instilla insicurezze e dubbi nel cuore dei propri abitanti. Insomma, less is more, soprattutto in un posto in cui, come ricorda anche il personaggio di Raffaele, “la rassegnazione si mangia a morsi come la scamorza”.
Gli abruzzesi: un mondo davvero a parte
Riccardo Milani ha casa a Pescasseroli, uno dei paesini dell’alta valle del fiume Sangro a cui si ispira Rupe e in cui sono state girate alcune scene del film. In zona tutti lo sanno, e probabilmente il modo perfetto per vedere Un mondo a parte sarebbe quello di rintanarsi nel primo cinema della zona (in cui il film sta riscuotendo un successo strepitoso!) e aspettare che durante la visione qualcuno vi dica “ma guarda, lui lo conosco, è così anche nella realtà”. Al di fuori di Albanese, Raffaele e pochissimi altri attori di professione, infatti, tutto il resto del cast è composto da abitanti dei comuni marsicani a cui Rupe fa riferimento, alcuni direttamente nominati, altri citati con nomi di fantasia (ma la verità si sa). Sebbene non stiamo parlando di persone con una formazione in recitazione, la scelta del regista si rivela efficace nel concedere un certo grado di realismo alla storia e all’ambientazione: il buon Riccardo Milani ha sicuramente le sue conoscenze nei vari paesini e sa come gestirle. Il cast non attoriale è forse l’elemento che funziona meglio all’interno del film: la maggior parte dei personaggi si comporta in modo molto naturale e si inserisce perfettamente nella narrazione, dando un notevole contributo soprattutto nelle scene comiche costruite sulle tradizioni abruzzesi o sugli stereotipi più famosi riguardo la regione. Una nota di merito anche ai bambini della zona, inizialmente un po’ impostati ma comunque naturali e divertenti nei loro modi di fare. Riconosciamo che i loro nomi nel film possono sembrare assurdi e costruiti appositamente per stupire lo spettatore, tuttavia vi assicuriamo che nomi simili sono più che frequenti nella zona anche oggi! Insomma, è una frase fatta ma dietro lo stereotipo c’è sempre un fondo di verità.
In conclusione, Un mondo a parte sarà apprezzato maggiormente da chi conosce e vive da vicino l’Appennino marsicano: Riccardo Milani strizza l’occhio più volte a quelle persone che immaginiamo incontri durante le vacanze estive o in settimana bianca. Non stiamo parlando di un’opera rivoluzionaria o particolarmente profonda, ma di un film tutto sommato nella media e a suo modo simpatico nel portare alla luce realtà che molti non hanno mai visto da vicino, seppur procedendo di stereotipo in stereotipo verso un finale un po’ deludente. Albanese e Raffaele si sono sicuramente divertiti a interpretare i loro personaggi, e magari, senza aspettarsi un’analisi approfondita delle tematiche affrontate, potrete divertirvi anche voi con le battutine sarcastiche del bidello Nunzio e i discorsi comici in dialetto abruzzese. D’altronde, la montagna fa questo effetto.
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