Con Un eroe, vincitore presso il Festival di Cannes 2021 del Grand Prix ex aequo con Scompartimento n. 6 di Juho Kuosmanen, Asghar Farhadi torna a girare un film in Iran, dopo la trasferta spagnola di Tutti lo sanno (2018). Tra i cinque registi nella storia ad aver vinto più di un Oscar al miglior film straniero – gli altri, per dare un’idea, sono Federico Fellini, Vittorio De Sica, Ingmar Bergman e Akira Kurosawa –, Farhadi è uno dei maggiori cineasti contemporanei e ha riportato alla ribalta internazionale il cinema iraniano, affermandosi come il suo autore di punta a fianco dei dissidenti Jafar Panahi e Mohsen Makhmalbaf e dell’ormai defunto maestro Abbas Kiarostami

Un eroe racconta la storia di Rahim, un giovane uomo che si trova in carcere a causa di un debito mai saldato. Durante alcuni giorni di permesso, la sua compagna Farkhondeh rinviene una borsa piena di monete d’oro e gli propone di utilizzarle per ripagare il suo creditore e uscire dal carcere. Dopo qualche esitazione, tuttavia, Rahim decide di riconsegnare il denaro al legittimo proprietario e il suo gesto lo rende un eroe agli occhi della comunità locale che, tuttavia, comincia presto a nutrire dei sospetti su di lui. 

Come spesso accade nel cinema di Farhadi, ciò che dà il via alla vicenda è un evento apparentemente insignificante. Il regista-sceneggiatore, tuttavia, ha la straordinaria capacità di costruire attorno a questo avvenimento (in questo caso la scelta di Rahim di restituire le monete d’oro) una trama di estrema complessità, fatta di sfaccettate relazioni umane e conflitti irrisolti e misteriosi che, a poco a poco, fanno crescere a dismisura le implicazioni di qualsiasi decisione presa o azione compiuta dai personaggi. In Un eroe, infatti, quella che si presenta come una lineare sequenza di eventi viene complicata da una serie infinita di fraintendimenti, mezze verità e vere e proprie bugie. Nessun personaggio, in realtà, pare davvero intenzionato a mentire e a confondere le acque, ma in qualche modo finisce per essere costretto a farlo a causa delle pressioni sociali che riceve. È come se i protagonisti del film fossero una serie di birilli posti in fila: Farhadi, tramite il MacGuffin delle monete d’oro, si limita a dare l’impulso per minare la stabilità del primo e, a poco a poco, tutti quanti finiscono per cadere invischiati in un reticolo inestricabile in cui la verità dei fatti pare smarrita e impossibile da ricostruire. Non ci sono buoni e cattivi nel cinema di Farhadi – ognuno nel film agisce in buona fede e ha le proprie ragioni –, ma solo personaggi di disarmante umanità che, influenzandosi a vicenda, finiscono per essere al contempo vittime e responsabili delle azioni che compromettono le proprie esistenze e per questo, temendo di perdere il controllo sul proprio mondo, si rifugiano nell’egoismo

Tutto questo dà vita a un magistrale thriller di parola che incolla alla poltrona raccontando una vicenda che parte semplice e finisce intricatissima, senza che né lo spettatore né i personaggi riescano a spiegare come si sia giunti fino a quel punto. È merito di una sceneggiatura che, mai schematica o didascalica, racconta con impressionante finezza tutta la complessità dei rapporti umani in una società – quella iraniana – in cui gli uomini vivono ancora a stretto contatto gli uni con gli altri (in questo senso si spiega la scelta di Farhadi di ambientare il film non nella moderna Teheran, bensì nella più provinciale Shiraz) e tentano di aiutarsi a vicenda, pur finendo inevitabilmente per dover combattere ciascuno la propria personale battaglia per la sopravvivenza e la reputazione, anche a scapito degli altri e sempre tenendo in considerazione le rigide norme che regolano la vita nel regime degli ayatollah. Il regista-sceneggiatore, inoltre, rende ancor più complesso e affascinante il quadro arricchendolo con un interessante discorso sulla pervasività dei social media che, ormai diffusissimi anche nel paese mediorientale, finiscono per inquinare ulteriormente la trasparenza delle relazioni. 

Un eroe è un film di sconfitti, in cui ogni personaggio si batte, a modo proprio, per la giustizia e la verità, ma a prevalere è il caos derivato dalla collisione di interessi divergenti. A fare le spese di tutto ciò, come spesso accade nel cinema di Farhadi, sono i bambini che, testimoni e vittime impotenti, assistono alla rovina delle proprie famiglie, mosse da buone intenzioni ma fatalmente devastate dal rovinoso concatenarsi degli eventi e dalle proprie responsabilità. E il vero eroismo di Rahim sta proprio nella dignità con cui, in definitiva, risparmia al piccolo figlio balbuziente Siavash l’umiliazione indicibile di essere anch’egli coinvolto nelle contese degli adulti e accetta il proprio destino con il sorriso sulle labbra. 

Interpretato da uno splendido cast guidato da un grande Amir Jadidi, bravissimo nell’esprimere con il proprio volto tutta la speranza dell’inizio e la disillusione della fine, Un eroe è un grande film sulla contemporaneità che, se forse non raggiunge gli strazianti picchi emotivi di About Elly e Una separazione, conferma l’eccezionale talento di Farhadi che, con il suo cinema complesso e stratificato e la sua macchina da presa implacabile nell’indagare i chiaroscuri dei suoi personaggi e delle sue storie, racconta l’impossibilità di vivere e agire da giusti in una società in cui la verità non esiste più.

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Jacopo Barbero, Vicedirettore