Sin dal suo debutto il 12 gennaio 2014 sul canale via cavo HBO (3 ottobre su Sky Atlantic in Italia) True Detective è diventato un prodotto di culto, con un grande successo sia di critica che soprattutto di pubblico, grazie soprattutto ai suoi protagonisti Rust Cohle e Marty Hart di Matthew McConaughey e Woody Harrelson, che sono divenuti tra i poliziotti più iconici della televisione contemporanea. Dopo il clamoroso risultato della prima stagione, il creatore e sceneggiatore Nic Pizzolatto torna nuovamente decidendo di donare al prodotto una natura antologica, proponendo per la seconda stagione un cast di personaggi completamente diverso e un’ambientazione inedita, con un approccio al racconto sperimentale che – nonostante un cast di tutto rispetto, che contava tra i protagonisti nomi come Colin Farrell, Rachel McAdams e Kelly Reilly – fin da subito non convinse appieno gli spettatori, che tuttora ritengono questa stagione un prodotto decisamente sottotono e dimenticabile.

L’insuccesso non porta certo la produzione a chiudere i battenti e nel 2019 Pizzolatto tenta con la terza stagione un “ritorno alle origini”, affidando le redini a Mahershala Ali – allora ancora fresco di Oscar da Moonlight e Green Book – e Stephen Dorff nei panni di due detective impegnati in un caso di rapimento che si dipana nell’arco di trent’anni di indagini. Tornano quindi gli skip temporali, la bravura degli attori nel gestire a livello visivo il passare degli anni sulle spalle dei loro personaggi, e un mistero fitto nel cuore di una cittadina più piccola rispetto alla Louisiana della prima stagione. Un piccolo capolavoro – per certi diversi forse migliore al primo ciclo di episodi – capace di dimostrare come la serie, dotata della giusta direzione, fosse ancora capace di dire qualcosa.

Nonostante Pizzolatto avesse dimostrato di non essere sempre automaticamente sinonimo di qualità, quando arrivò l’annuncio che la quarta stagione sarebbe stata affidata ad un differente showrunner i dubbi e le paure cominciano subito a farsi prepotentemente largo tra i fan, dubbi che dopo la messa in onda dei primi due episodi il 14 gennaio si sono concretizzati in una domanda: cos’è davvero True Detective?

Percorso diverso, stessa meta

In maniera simile alla Vinci della seconda stagione, questa stagione è ambientata ad Ennis, fittizia cittadina dell’Alaska nella quale vivono il capo della polizia locale Liz Danvers (Jodie Foster) e l’agente della statale Angeline Navarro (Kali Reis), vecchie colleghe dal passato turbolento costrette a collaborare nuovamente per indagare sulla misteriosa scomparsa di otto ricercatori stazionati alla Tsalal, una stazione di ricerca. Se il cambiamento di protagonisti ormai non desta alcuna sorpresa, ben diversa è stata la presenza di Issa López come nuova sceneggiatrice e regista: si abbandonano i luoghi caldi e paludosi delle stagioni precedenti per recarsi nelle fredde distese dell’Alaska durante la notte polare, periodo in cui la notte prende il sopravvento per sei mesi ininterrottamente, le fonti d’ispirazione abbandonano il western ed il noir vertendo maggiormente verso un racconto tra il thriller e l’horror ed una durata ridotta a soli sei episodi definiscono in maniera abbastanza netta l’intenzione della regista messicana di distaccarsi dal materiale d’origine.

Al di là delle differenze, la serie pone fin da subito davanti agli occhi dello spettatore numerosi (forse troppi) elementi che rimandano in realtà a quanto visto in precedenza – la presenza della spirale, la citazione a Hildred Castaigne, la presenza di Travis Cohle, personaggi che parlano del tempo come di un “cerchio piatto” – creando un effetto bizzarro, poiché se in un primo momento ci si eccita cogliendo i vari richiami, presto subentra il dubbio che tutto ciò sia stato inserito come mero fanservice piuttosto che come elemento imprescindibile e necessario per il giusto proseguimento della trama, nonostante tutto ottenga sempre una spiegazione più o meno plausibile.

Pertanto Night Country – prima volta inoltre che la serie utilizza un sottotitolo – ad uno sguardo poco attento potrebbe sembrare un’operazione sbagliata e poco riuscita, ma si sbaglierebbe. L’intento della López, condivisibile o meno che sia, è infatti semplicemente quello di creare una facciata diversa per una storia che si inserisce pienamente negli stilemi che la serie ci ha insegnato ad amare: le protagoniste sono infatti due persone le cui vite sono costellate di problemi, che faticano a riappacificarsi con gli altri e con sé stesse, che vivono il caso in maniera sempre più ossessiva. In questo le interpretazioni di Jodie Foster e Kali Reis mostrano decisamente i muscoli, riuscendo a dare vita a due personaggi capaci di fare subito breccia nel cuore dello spettatore senza aver nulla da invidiare ai precedenti protagonisti sia nei momenti investigativi, dove dimostrano un grande acume, coraggio e spirito d’iniziativa, sia nei momenti più intimi in cui le due ne escono spesso ferite, proprio come succede a tutti nella vita reale.

Se anche per la coppia di poliziotti padre-figlio Hank e Peter Prior come anche per Leah Denvers, la figliastra di Liz, la sceneggiatura svolge un buon lavoro nel caratterizzarli adeguatamente e gli interpreti riescono a metterli in scena ottimamente, lo stesso non si può dire per Christopher Eccleston e Fiona Shaw, limitati eccessivamente all’interno di due ruoli poco approfonditi e che, se dotati di maggiore spazio, avrebbero potuto senz’altro essere più incisivi.

Modificare il paradigma

Come anticipato poco sopra, l’horror si dimostra fin dalle prime sequenze come uno degli elementi centrali in questa nuova stagione. Una novità per una serie come questa, soprattutto se ciò che viene messo in scena pesca a piene mani da quell’horror di stampo sovrannaturale fatto di fantasmi e mostri spaventosi di pellicole come La cosa, Shining o Alien prese come ispirazione dalla López sia in fase di scrittura che di messa in scena, tanto che diversi momenti sembrano usciti direttamente dai film appena citati. Sicuramente per alcuni questo rappresenta un aspetto più che positivo, soprattutto visto l’ottimo occhio della regista per la messa in scena di questi elementi supportato da un ottimo comparto di make-up e di effettistica nella realizzazione di diverse scene – di cui fa parte anche Guillermo Del Toro –, mentre per molti altri si è fin da subito posto come uno scoglio, un elemento esterno che niente ha a che vedere con il prodotto creato da Pizzolatto anni prima. Difficile definire chi abbia ragione e chi torto, soprattutto a fronte di una storia che, al di là di questi elementi centrali soprattutto sul fronte scenico, si srotola nel corso degli episodi e soprattutto sul finale in maniera decisamente concreta, dando le risposte a molte domande senza mai lasciare quella sensazione di pezzi mancanti.

Ad arricchire la narrazione legata al caso si inserisce intelligentemente la cultura del luogo, lontana dalle croci e dai sermoni cattolici e ben radicata nelle usanze degli Iñupiat, nativi dell’Alaska che manifestano un rapporto unico con il luogo che abitano e soprattutto nel rapporto con i morti, riflettendo anche sul loro adattamento agli usi e costumi della società moderna ed alla cultura dello sfruttamento industriale.

Piccolo plauso va poi a tutto il reparto della messa in scena, dalla fotografia ai costumi fino alla decisione di filmare numerose riprese sul territorio riuscendo così a far percepire da ogni frame il freddo ed il buio percepito dalle protagoniste e l’aria che si respira in quelle zone. Altro cambio non da poco è sul fronte delle musiche, non più curate dal veterano della serie T Bone Burnett ma da Vince Pope che rimescola alcune tracce dal sapore squisitamente country tipiche della serie con altre più pop e contemporanee – su tutte i titoli di testa, che passano dal Far from Any Road della prima stagione a Bury a friend di Billie Eilish, la quale contiene al suo interno ben più di un legame con ciò che si vedrà poi a schermo durante le puntate. 

Conclusioni

Con True Detective: Night Country ci si trova davanti ad una stagione fortemente diversa, non solo per la sostituzione di Nic Pizzolatto con Issa López quanto più per la scelta di quest’ultima di creare “la sua serie” ambientando la storia in zone cromaticamente opposte alle procedenti ed inserendo numerosi elementi horror. Ciò non significa però che il tutto sia stato stravolto in maniera irresponsabile: le fondamenta di True Detective ci sono e si vedono soprattutto nella caratterizzazione delle due protagoniste, interpretate magistralmente dalla coppia Foster-Reis, e nel loro approccio alla risoluzione di un mistero tutt’altro che banale. Night Country è quindi, semplicemente, una stagione diversa che lascia allo spettatore la decisione di accettare il cambiamento e lasciarsi trasportare in una storia inquietante e travolgente oppure se tornare con il proprio telecomando sulle stagioni precedenti e tuffarsi nel rewatch di stagioni passate che rimarranno comunque lì, inscalfite dalla nuova rotta.

Mattia Bianconi
Mattia Bianconi,
Redattore.