Dopo l’esordio nel 1978 con Ecce Bombo, dopo il Premio alla Regia ricevuto nel 1993 con Caro Diario e la Palma d’Oro conquistata nel 2001 con La Stanza del figlio (con un Mulholland Drive che ancora grida vendetta), Nanni Moretti torna a Cannes con il suo primo film basato su soggetto non originale, nella fattispecie il romanzo omonimo di Eshkol Nevo, composto da tre drammi borghesi ambientati nello stesso condominio, situato ovviamente a Roma, quartiere Prati. Vittorio e Dora (Nanni Moretti e Margherita Buy) sono due professionisti alle prese con il figlio fresco colpevole di omicidio stradale; Monica (Alba Rohrwacher) è una neo-mamma che soffre per la lontananza continua del marito (Adriano Giannini), per gli spettri del passato e la paura di impazzire come sua madre; Lucio (Riccardo Scamarcio) sospetta un possibile abuso subito dalla figlioletta ad opera del vecchietto vicino di pianerottolo che se ne prende cura quando i genitori non ci sono.

Tre vicende estremamente drammatiche che non vengono né smorzate dalla consueta ironia morettiana (anzi di morettiano forse ci sono solo i maglioni a collo alto e il tango illegal sul finale) né supportate da una narrazione coinvolgente, complice anche un cast di assoluto spessore in cui nessuno degli attori riesce a fornire un’interpretazione all’altezza della propria carriera. 

Le figure femminili risultano assolutamente presenti in funzione dell’uomo, anche quando questi è assente, e magari ciò dovrebbe essere propedeutico all’obiettivo a cui tende ciascuna di loro: riuscire a vivere senza il marito, perdonare e avere un rapporto civile con il fedifrago, scegliere di dare un taglio al passato, affrontare la vita adulta. Nel caso di Monica non è nemmeno chiaro se il suo percorso sia verso la pazzia o la salute, se verso l’indipendenza personale o verso la conciliazione col marito, e la sua bizzarra ultima inquadratura confonde ancora di più il tutto.

Il condominio probabilmente dovrebbe apparire come luogo di “prigionia” ma non è reso a pieno nemmeno dal monologo di Margherita Buy nel terzo atto. Il duplice salto temporale, 5 anni in entrambi i casi, non ci fornisce una vera evoluzione, i personaggi e il loro ambiente risultano identici sia all’interno che all’esterno (eccezion fatta per i bambini, per ovvie ragioni). L’epoca di ambientazione è sì contemporanea ma completamente slegata dalla società attuale, e non basta certo una scena a narrare il dramma dell’odio xenofobo. Il senso di giustizia, la lealtà familiare, la convivenza con il dubbio sono tutti temi che nel film vengono trattati con una sufficienza stucchevole, in una maniera che ricorda più Muccino che il Moretti che conosciamo tutti, e in questo caso è veramente difficile non restare delusi.

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Nicolò Cretaro, Redattore