Volendo fare una cernita dei film horror tratti da romanzi appartenenti al genere si otterrebbe una lista praticamente infinita: già soltanto con gli infiniti adattamenti dai racconti di Stephen King si riempirebbero pagine intere, ai quali andrebbero poi aggiunti i grandi romanzi gotici, i racconti divenuti ormai dei classici e le nuove storie che giorno dopo giorno arrivano in libreria. Proprio a quest’ultima categoria appartiene The Watchers, romanzo scritto da A.M. Shine e preso come ispirazione da Ishana Night Shyamalan – figlia del ben noto cineasta M. Night Shyamalan – per il suo lungometraggio d’esordio, di cui firma sia la sceneggiatura che la regia. Qualcosa però non è andato per il verso giusto e ciò che Ishana ha portato in sala è, di fatto, ben lontano dalle riuscite pellicole del padre dell’ultimo periodo.

Osservatori, tra cinema e social media

Dopo una tipica corsa da pellicola dell’orrore tra i fitti alberi di una buia foresta, il film ci presenta Mina (Dakota Fanning), una giovane artista che per portare a termine una consegna finisce per perdersi in una misteriosa foresta in Irlanda che sembra senza via d’uscita. Dopo un velocissimo tramonto, la ragazza si ritrova ad inseguire una anziana signora (Olwen Fouéré) fino ad una strana abitazione: composta da una sola stanza con un tavolo, alcune sedie, un divano ed un televisore, ma soprattutto uno specchio come parete. All’interno sono presenti anche Daniel (Oliver Finnegan) e Ciara (Georgina Campbell), costretti di giorno a percorrere la foresta in cerca di una via di fuga e di notte a rintanarsi nella stanza per proteggersi dalle misteriose creature che li osservano attraverso lo specchio.

Da qui il film si dipana per 102 minuti con una storia interessante alla base, soprattutto nel pescare direttamente dal folklore del luogo per inserire creature conosciute anche a livello internazionale – che non approfondiremo per evitare spoiler sgradevoli – e nel presentare nel sopracitato specchio un interessante spunto di riflessione sul concetto di osservatore. Da un lato si presenta infatti l’inevitabile parallelismo proprio con lo spettatore stesso in attesa che i personaggi agiscano per portare avanti la storia – non a caso una delle regole presentate dal personaggio di Madeline è proprio “non volgere le spalle allo specchio”, rispettando quindi la regola teatrale del mai voltare le spalle al pubblico – mentre dall’altro si sviluppa quel concetto di giudizio continuo che si sperimenta attraverso i social, piattaforme in cui ognuno posta i propri contenuti mettendoli alla mercé di osservatori (e giudicatori) di cui noi non vedremo mai il volto.

(Poco) Orrore attraverso lo specchio

Tutti questi aspetti, tuttavia, potrebbero essere ricevuti come una supercazzola di Tognazziana memoria, in quanto l’obiettivo della pellicola si manifesta piuttosto nel semplice tentativo di creare tensione e spavento, dando vita nel complesso solo a banali jumpscare e ad appena un paio di sequenze effettivamente riuscite e capaci di generare la giusta ansia. Se il setting infatti funziona e l’idea di base riesce ad attirare lo spettatore, il film decide però di procedere nel racconto presentando uno dietro l’altro i vari elementi che compongono la narrazione accompagnando però ciascuno di essi con corpose sezioni dialogate – quando non nella forma di veri e propri monologhi – con lo scopo di spiegare per filo e per segno tutto quanto. Se ciò permette anche allo spettatore più distratto di rimanere costantemente all’interno del racconto senza perdersi, comporta al tempo stesso una forte mancanza di tensione, soprattutto con l’avanzare del minutaggio, dal momento che essa, si sa, molto spesso deriva proprio da quel “non sapere”.

Se sul lato narrativo la pellicola mostra più volte il fianco a problematiche tutt’altro che secondarie, sul lato tecnico il tutto si assetta su un livello tutto sommato godibile, soprattutto grazie all’ottima ambientazione, al design dello strano edificio in cui i personaggi trascorrono buona parte del tempo ed alla regia di Ishana che, anche se con qualche scivolone, riesce a creare alcuni scorci interessanti per quanto, troppo spesso, abbastanza anonimi.

Il comparto attoriale porta infine a casa la partita senza infamia e senza lode, con i personaggi comprimari imbrigliati in ruoli di fatto secondari e dalla poca rilevanza e una Fanning nel ruolo di protagonista le cui doti ben altro che scadenti faticano comunque a portare lo spettatore a empatizzare con un personaggio decisamente odioso per cause di sceneggiatura.

Conclusioni

L’esordio sul grande schermo di Ishana Night Shyamalan è purtroppo una pellicola estremamente dimenticabile, dalla premessa di certo interessante ma che non riesce a srotolare nel modo giusto puntando eccessivamente ad una over-exposition, una spiegazione didascalica e superflua di tutto ciò che avviene a schermo, togliendo così anche quel poco di tensione rimasta dopo i banali jumpscare di cui la pellicola risulta infarcita. Sul lato tecnico la situazione si dimostra invece decisamente meno problematica, con una regia accettabile anche se spesso anonima, ma soprattutto grazie a ottime location e scenografie.

È decisamente troppo presto bocciare in toto la carriera della giovane Ishana, che confidiamo capace di rifarsi con le future pellicole, ma di certo non è ancora giunto il momento in cui il grande M. Night uscirà di scena per far spazio alla propria discendenza.

Mattia Bianconi
Mattia Bianconi,
Redattore.