Sin dall’inizio della sua produzione, The Warrior – The Iron Claw, film del 2024 diretto da Sean Durkin, non è passato affatto inosservato. Nel corso dell’anno appena conclusosi, già molte indiscrezioni e immagini erano affiorate dai set del film e approdate sul web: fra queste, le fotografie ritraenti un irriconoscibile Zac Efron, nei panni del lottatore di wrestling Kevin von Erich, avevano lasciato tutti a bocca aperta. Il neolaureato della Hollywood Walk of Fame è protagonista quasi assoluto di questa pellicola di 132 minuti che rievoca splendori e miserie della famiglia Adkisson – divenuta von Erich – che negli anni Ottanta ha lasciato un’impronta significativa nel mondo del wrestling statunitense.
Sean Dunkin, regista indipendente classe 1981, confeziona la sua opera terza mescolando stilemi del cinema mainstreamstatunitense con chiari rimandi ai canoni della New Hollywood. La dinastia von Erich, “maledetta” a causa della serie di lutti che l’hanno colpita, viene decostruita interamente attraverso un processo di messa in predicato del machismo e della fame (insaziabile e velenosa) di successo.
Padre padrone nella vita e sul ring
La prima scena di The Iron Claw si apre con Fritz von Erich (Holt McCallany) intento a sfogare la sua rabbia (controllata) sul proprio avversario durante un incontro di wrestling. La forza bruta dell’uomo e la sua violenza sono i primi due elementi che vengono presentati nel film: grazie all’uso del ralenti e di una fotografia in bianco e nero, Sean Dunkin ci parla della ferinità del wrestling, epurandolo da quella componente teatrale che, di contrasto, ricorre nei successivi incontri immortalati nel film. Nonostante il protagonista delle vicende sia il secondogenito Kevin, è il patriarca della famiglia von Erich il vero fulcro delle vicende, il personaggio che decide, attraverso il proprio pugno duro, le sorti dei figli. Fritz non ha mai vinto il titolo mondiale dei pesi massimi, una mancata attribuzione voluta da terzi, come è solito ripetere: la sua “fortuna” sono i suoi cinque figli maschi, i quali vengono cresciuti “a pane e wrestling”.
Fritz instilla nella mente della sua prole il terrore del fallimento, dei corpi non scolpiti, dell’opinione della gente (sia sul ring che nella vita quotidiana); la moglie Doris (Maura Tierney), dal canto suo, si preoccupa di crescere i propri ragazzi “nel timore di Dio”. Le regole che scandiscono la routine e le relazioni della famiglia von Erich vengono presentate mediante tre inquadrature tanto silenziose quanto impattanti: esse mostrano prima un crocefisso (il culto verso il divino), poi una teca nella quale vengono custodite delle pistole da collezione (il culto della violenza), infine un espositore dei trofei conquistati negli anni dai “campioni” von Erich (il culto verso il successo). Fritz è sia vittima che artefice di un sistema che glorifica la performance ma che contempla il timor di Dio, che consente la coesistenza della devozione religiosa e delle armi da fuoco. Con questi tre culti cresce i propri figli, facendo loro da agente, motivatore e mentore da chiamare “signore” al posto di “padre”.
Non si torna indietro
Nella sua primissima apparizione sullo schermo, di Zac Efron non vediamo gli occhi, il volto, non udiamo il suo respiro: Dunkin mostra prima di tutto un dettaglio del suo avambraccio, dei muscoli e delle vene che paiono esplodere sotto la pelle abbronzata; “dai, alzati, andiamo a correre” è la prima battuta del suo personaggio, rivolta al fratello che, invece, preferisce restare a letto a dormire. Il regista non esita nel mostrare fin da subito come la fisicità di Kevin sia stata compromessa inevitabilmente dalle lunghe sessioni di allenamento spese nel garage/palestra di casa. Dunkin ci lascia facilmente intendere la sua posizione critica nei confronti di chi nutre un’ossessione deleteria verso i corpi scultorei, riflessione che a più riprese viene esplicitata nel corso del film. Kevin, nonostante sia un figlio devoto al padre e alla sua causa, si rivela fin dal suo esordio in scena come ingabbiato in un corpo costruito ad hoc, e dal quale è impossibile liberarsi. Ma la deformità di Kevin è motivata da una buona causa, come spiega lui stesso nel corso del film: è il wrestling, uno sport tanto violento quanto caratterizzato da una componente spettacolare, attraverso il quale Kevin cerca di conquistarsi l’affetto del padre, nonostante questi dichiari fin da subito che il suo “preferito” è e resterà sempre Kerry (Jeremy Allen White), discobolo in procinto di volare a Mosca per le olimpiadi.
Non è possibile scindere i legami di sangue: allora la famiglia diviene al contempo rifugio e prigione di Kevin, il quale tenta, stringendo i denti, di tagliare il cordone ombelicale quando conosce la giovane Pam (un’opaca Lily James). Efron, in questo senso, si dimostra molto bravo nel mettere in scena la scissione interiore di Kevin, nonché il dolore che egli prova in reazione ai terribili accadimenti causati (a quanto pare) dalla “maledizione dei von Erich”. A pari merito Jeremy Allen White, il “preferito” di casa von Erich ma, al contempo, il più silenzioso e introverso dei fratelli, il cui legame viscerale è il cuore drammatico di The Iron Claw.
“Uomini forti, destini forti, uomini deboli, destini deboli”
Kevin, Kerry, David (Harris Dickinson), Mike (Stanley Simons): è intorno all’affetto e alla complicità tra i fratelli von Erich che si dipana la resistenza verso un regime machista che attribuisce vittorie e fallimenti alla sola volontà individuale, che non contempla altro dolore all’infuori di quello fisico. Quella narrata da Sean Dunkin è una storia americana, una storia triste che sconvolge proprio perché realmente accaduta: non serve avere alcuna nozione di wrestling per provare empatia verso Kevin e i suoi fratelli, e in effetti la “competizione” protagonista del film potrebbe essere una qualsiasi, come ad esempio i concorsi di bellezza tanto in voga negli Stati Uniti.
È un sistema che Dunkin condanna attraverso la storia della famiglia von Erich senza, tuttavia, scavare veramente a fondo in alcuni temi, come ad esempio le ricadute psicologiche dell’eccessivo allenamento o il consumo di sostanze stupefacenti. Certamente al regista statunitense va il merito di aver riportato sui grandi schermi il wrestling dopo l’illustre precedente diretto da Darren Aronofsky, The Wrestler (2008). Tuttavia, The Iron Claw sfrutta la meccanica di un certo linguaggio cinematografico ben collaudata, senza rifiutare la sperimentazione, ma soltanto accarezzandola: “si sarebbe potuto osare di più” è il pensiero che risuona nella mente dello spettatore al termine della visione. Oltre alle ottime interpretazioni di Zac Efron e Jeremy Allen White, al film di Sean Dunkin va attribuito quanto meno il merito di aver fatto conoscere al pubblico del 2024 una storia “maledetta” forse troppo in fretta dimenticata.
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