Presentato in anteprima alla 42ma edizione del Bergamo Film Meeting nella sezione competitiva Mostra Concorso, classificandosi al terzo posto, The Wall è il nuovo film di Philippe Van Leeuw, regista e direttore della fotografia belga. Dopo Le jour où Dieu est parti en voyage (2009) e Insyriated (2017), Van Leeuw torna dietro la macchina da presa per narrare una controversa storia ambientata sul fragile confine che separa Stati Uniti e Messico.
Interpretata da un’inedita Vicky Krieps (Il filo nascosto, 2017, Stringimi forte, 2021) nelle vesti di antagonista, Jessica Comley è un’ufficiale di pattuglia sul confine fra Arizona e Messico. I suoi principi morali e il suo patriottismo le impongono di fare qualsiasi cosa pur di proteggere gli Stati Uniti: a causa della sua natura violenta, Jessica viene osteggiata dai colleghi, i quali non condividono i suoi metodi estremi. La situazione precipita quando, un giorno, perde il controllo e uccide un migrante ferito sotto gli occhi di un poliziotto, di un nativo americano e di suo nipote.
Ufficiale Comley: un’antagonista complessa
Il film si apre con un’inquadratura ritraente un rosario appeso allo specchietto retrovisore di un’automobile: alla sua guida vi è Jessica Comley che, a causa di uno scatto l’ira, quasi investe un passante. Sin dalla scena iniziale, Van Leeuw dichiara la natura controversa dell’antagonista: alla sua consolidata devozione religiosa si contrappongono l’odio verso coloro che tentano di attraversare il confine, il piacere nell’esercitare l’abuso di potere e l’assoluta assenza di empatia. Comley è totalmente assorbita dal suo lavoro sul confine tanto da farne una ragione di vita: secondo la donna, è necessario adottare qualsiasi misura possibile pur di salvaguardare l’integrità degli Stati Uniti; chi osa pensarla in maniera opposta, non è un patriota.
Tuttavia, anche Comley ha i propri punti deboli: quando non è in servizio, la sua fragilità viene resa palese quando si confronta con la famiglia del fratello, verso la quale Comley ha alzato una sorta di ‘muro’; l’unica che pare in grado di oltrepassare quella barriera è la cognata, allo stadio terminale di un tumore, verso la quale Jessica nutre un profondo affetto dettato dalla lunga amicizia fra le due donne. Vicky Krieps, in questo senso, riesce a restituire le sfumature psicologiche di un personaggio tanto sfaccettato senza mai, tuttavia, scadere nell’eccesso fine a sé stesso: i momenti salienti che dettano non solo l’evoluzione del personaggio, ma anche i punti nei quali la sua personalità risulta più accessibile, sono i silenzi, i tempi morti nei quali Comley mostra il suo lato più vulnerabile. Pur restando un personaggio dal comportamento ingiustificabile, il regista cerca comunque di creare situazioni nelle quali la personalità di Comley, epurata dal contesto sociale, possa essere mostrata in trasparenza, rendendo la sua fragilità percepibile dal pubblico.
America, oggi
Se Jessica Comley racchiude in sé le contraddizioni di un sistema che si ritiene devoto alla religione ma, al contempo, esercita la violenza, il confine fra Stati Uniti e Messico rappresentato in The Wall risulta essere un palcoscenico adatto alla messinscena delle contraddizioni che caratterizzano l’America d’oggi. Philippe Van Leeuw non si risparmia quando evidenzia, da un lato, il persistente attrito fra Nativi e discendenti dei Padri Pellegrini, e dall’altro l’interpretazione ai limiti dell’estremo dei valori impressi nella Costituzione statunitense; il confine, dunque, diviene il luogo nel quale le divergenze esplodono con veemenza.
Oltre al confine in sé per sé, sono le figure dell’anziano nativo e del nipote a sollecitare una riflessione sulla brutalità di quel muro causa di morte e violenze. Pur essendo vittime del sistema a loro volta, i due si fanno portavoce sia delle condizioni estreme nelle quali riversano i migranti che cercano di andare negli Stati Uniti, sia della (necessaria) ribellione nei confronti di abusi come quelli compiuti da Comley. È proprio l’estrema volontà di esprimere la verità e di non sottomettersi al sistema che provoca, in un certo senso, un cortocircuito nella narrazione e nella personalità della protagonista: per la donna, la sua parola “americana” è contro la loro. In questo senso, Van Leeuw non esita nel denunciare l’irriverenza di statunitensi come Comley che fondano il proprio patriottismo sul loro legame di sangue con la terra, ignorando le verità della Storia.
Un film figlio dei suoi tempi
In un’epoca nella quale il confine rappresenta una soglia da proteggere, un luogo da salvaguardare anche a costo della violenza più estrema, The Wall ha il merito d’inserirsi appieno in un dibattito caldissimo – non solo negli Stati Uniti, ma anche in altre aree del mondo vessate dai conflitti. Tuttavia, al termine della visione si prova una sensazione di insoddisfazione: non perché lo spettatore si aspetti di vedere più violenza di quanto mostrata nel corso del lungometraggio; ma perché nell’era della supremazia delle immagini e della loro capacità di circolare velocemente da una parte all’altra del globo, The Wall pare privo di quei momenti volti a sollecitare l’indignazione e il dibattito. Si prova la sensazione che il regista si sia fermato su una soglia (pericolosissima) che fa del film un prodotto dimenticabile, nonostante la presenza di un’interprete principale del calibro di Vicky Krieps.
In virtù della sua complessità psicologica, Jessica Comley aveva tutti i requisiti per divenire un personaggio da sviscerare ancora più a fondo: nonostante l’approfondimento della sua personalità, si ha l’impressione che il suo comportamento non sia determinato solo dal rapporto con la famiglia e dal suo credo religioso, ma che vi siano cause ancora più profonde dovute a traumi non risolti. Van Leeuw, dal canto suo, ha il merito di aver portato sul grande schermo un film volto ad animare il dibattito intorno al delicato tema del confine, come da lui stesso dichiarato nel suo discorso di accettazione del Terzo Premio durante la serata di premiazione della 42ma edizione di Bergamo Film Meeting.
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